FONTANELLA, Girolamo
Nacque intorno al 1612 probabilmente a Napoli, dove condusse la sua breve esistenza e svolse la sua attività letteraria.
Non sono noti i dati essenziali della sua biografia, né è possibile ricostruire i suoi studi o le fasi della sua formazione letteraria. Sappiamo soltanto che fu iscritto all'Accademia degli Oziosi, mentre si desume dalle dediche delle sue raccolte e da quelle di singoli componimenti il prestigio sociale goduto dal poeta, legato a figure eminenti del mondo napoletano, a letterati locali, come G. Manso - il biografo di T. Tasso - e ad artisti forestieri, come la pittrice A. Gentileschi, che a Napoli soggiornò tra il 1630 e il 1637.
Tutto l'universo del F. si può perciò cogliere solo nei suoi versi riuniti in tre raccolte: Ode (Bologna 1633, poi Napoli 1638), Nove cieli (Napoli 1640), Elegie (ibid. 1645, pubblicata postuma). Proprio per la vicinanza temporale dei tre volumi non si può rinvenire una linea di sviluppo nell'arte del F., che ai suoi esordi fu attratto dalla forma dignitosa dell'ode, come appare nella prima composizione a stampa pervenutaci, L'incendio rinovato del Vesuvio (Napoli 1632), e nella raccolta intitolata appunto a questa forma strofica.
Dell'Ode esistono due edizioni, di cui la prima, del 1633, è preceduta da una dedica di B. Cavalieri al padre G. Certani, mentre la seconda, del 1638 e assai più ampia, è divisa in tre libri: il primo (e in effetti tutta l'opera) è offerto ad Anna Carafa, principessa di Stigliano e viceregina del Regno di Napoli; il secondo a don C. Pinello marchese di Galatane; il terzo a don G. Acquaviva d'Aragona, la cui presenza - essendo questi uomo d'armi - viene giustificata dal F. con un'ingegnosa similitudine tra campo di battaglia e poesia. Un impianto unitario sorregge tutta la composizione del libro, che costituisce una sorta di lode del creato, dalle sue forme più alte e maestose (il cielo, gli angeli, il tempo, la fama) agli oggetti più umili della realtà. Quest'afflato religioso si coglie nella stessa disposizione dell'opera, che si apre con le solenni sestine di endecasillabi e settenari dedicate Al cielo e, attraverso frequenti richiami moralistici (fitti soprattutto nel secondo libro), si conclude con una serie di componimenti di argomento sacro, culminanti in quello dedicato Alla Resurrezione del Salvatore.
Numerose sono in tutta la raccolta le dichiarazioni di poetica, sia negli stessi versi, sia nelle prose che li accompagnano. Il F. appare innanzitutto preoccupato di rintuzzare le accuse che possono essere mosse alle sue "giovinili fatiche" e perciò biasima "l'opinione di coloro, i quali per maturare i parti de' loro ingegni aspettano l'età più matura" (A don Cosimo Pinelli), sostenendo che "i furori poetici" si addicono più alla "vaghezza de' giovani" che a "un animo agghiacciato di senettù". E in effetti il F., che allo Jannaco è apparso "il più puro poeta del secolo", possedeva una freschezza espressiva che ben si adattava ai suoi enunciati teorici privi di pedanteria, ma non di una certa consapevole originalità.
Ma il preziosismo concettistico non invade tutta la scrittura del F., il cui animo era disposto istintivamente alle tenerezze dell'idillio e sembrava appagarsi della contemplazione di una natura soavemente leggiadra. Non era chiaramente in gioco solo un'attitudine naturale: dietro l'elogio della quiete e della "villa" c'era la forza della tradizione bucolica locale, che il poeta dovette intensamente amare, se è vero che, in una scena di arcadica tranquillità, ricorda la figura del "gran Sincero" (nell'ode Alla sepoltura del Sannazaro), e al Tasso fa riferimento, oltre che per echi e memorie testuali, anche per il richiamo, nell'ode più scopertamente idillica (I piaceri della villa. Alla signora Isabetta Coreglia) all'onomastica dell'Aminta: "Vieni, o saggia Nerina, / pastorella gentil, musica ninfa". C'è nei versi del F. una ricerca dell'ameno e del tenero, che il Croce, suo ammirato scopritore, ha definito come "freschezza d'impressioni" (1947, p. 333), scagionando il poeta da ogni possibile collusione con i "deliri" della scuola marinista. E in effetti nell'Ode, nonostante i prestiti dimostrati da poeti contemporanei (Preti, Stigliani, Materdona), si rivelano un'attenuazione delle stravaganze barocche e una riduzione del virtuosismo immaginifico a ricerca dell'inedito, dell'originale. Così, nella proposta di nuovi modelli di muliebrità, il poeta non compone un catalogo di femminili deformità, bensì celebra una bellezza ora letterariamente meno codificata (La bella bruna), ora sorpresa in fogge. e attitudini inconsuete (La bella ricamatrice, La bella saltattice, A bella donna chuccellava con archibugio). Il gusto del piccolo e del grazioso rende meno drammatico il compianto secentesco sulla fugacità del tempo e il dominio della fortuna, anche quando esso circonfonde di funebre rammarico il tema solenne dell'ubi sunt. Certo il F. accumula per una parte cospicua della sua opera deplorazioni contro i vizi umani (l'ignoranza e l'avarizia dei principi, la gola, la superbia), ma egli è soprattutto il poeta capace di adornare di squisita semplicità l'elogio di un piccolo mondo reale e di illustrarlo con una serie di nature morte (il melogranato, la cicala, la rosa), secondo un gusto pittorico sicuro, con quella vivezza di tratti che tanto apprezzava nell'illusionismo figurativo della Gentileschi, in sospeso tra finzione e verità: "Che quanto appar per tua virtù dipinto, / rende vivo l'estinto, e vero il finto".
Entro lo stesso sistema stilistico e tematico il F. si muove nella raccolta Nove cieli, dedicata a Ferdinando Il granduca di Toscana, accordando quasi sempre felicemente il suo piccolo realismo impressionistico a osservazioni di blanda moralità. Dopo la raccolta Nove cieli, che al Croce (1911, p. 44) parve per la sua vena esuberante un'opera affine alle Laudi di G. D'Annunzio, il F. compose ancora un volume di Elegie, dedicato a Diomede Carafa duca di Maddaloni, in cui tentò una forma di scrittura narrativa a forti tinte melodrammatiche. Così è nella Morte di Marianna, dove il martirio della donna viene evocato con un fare tra il patetico e il sensuale, in una continua oscillazione tra le ragioni della virtù e la contemplazione della bellezza.
Il F. morì presumibilmente a Napoli tra il marzo del 1643 e l'aprile del 1644, come ha dimostrato il Croce (1942, p. 41).
Oltre alle edizioni citate, si vedano le scelte di versi del F. comprese in Lirici marinisti, a cura di B. Croce, Bari 1910, pp. 221-266, 534; Opere scelte di G. B. Marino e dei marinisti, II, a cura di G. Getto, Torino 1962, pp. 143 ss., 345-371 e passim; Marino e i marinisti, a cura di G.G. Ferrero, Milano-Napoli 1954, pp. 841-891; Poesia del Seicento, a cura di C. Muscetta - P.P. Ferrante, Torino 1964, 1, pp. 794-828; F. Salsano, Marino e marinismo. Tomaso Gaudiosi, Roma 1977, pp. 179-182.
Fonti e Bibl.: V. Armanni, Lettere, Roma 1663, I, pp. 566 s.; II, pp. 1 ss.; N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, p. 156; B. Guaragno Galluppo, Poesie, Napoli 1679, pp. 256 s.; L. Nicodemi, Addizioni copiose alla Biblioteca napoletana, Napoli 1683, p. 139; G.M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, V, Venezia 1730, p. 170; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione di ogni poesia, V, Milano 1752, p. 87; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, II, Modena 1782, pp. 340 ss.; B. Croce, Saggi sulla letteratura ital. del Seicento, Bari 1911, ad Indicem; Id., Per la biografia diun poeta barocco: G. F., in Aneddoti di varia lett., II, Napoli 1942, pp. 38-45; F. Flora, Storia della letteratura ital., Milano 1947, III, pp. 691-694; F. Croce, rec. a Opere scelte di G.B. Marino e dei marinisti (a cura di G. Getto) e Marino e i marinisti (a cura di G.G. Ferrero), in Rass. della lett. ital., LIX (1955), pp. 84 s.; N. Jonard, Le thème du temps dans la poésie baroque, in Studi secenteschi, VII (1966), ad Indicem; C. Varese, Teatro, prosa, poesia, in Storia della letteratura ital. (Garzanti), Il Seicento, Milano 1967, pp. 801 s.; O. Besomi, Ricerche intorno alla "Lira" di G. B. Marino, Padova 1966, ad Indicem; C. Jannaco, G. F., in Storia letteraria d'Italia, Milano 1973, pp. 194-197 e ad Indicem; A. Asor Rosa, La tendenza melica e naturalistica: G. F., in Classicismo e antimarinismo: poesia sacra e civile, melica e oratoria, in Letteratura ital. Storia e testi (Laterza), V, 1, Il Seicento, Roma-Bari 1974, pp. 540-543.