FABRICI d'Acquapendente, Girolamo (detto l'Acquapendente o Fabrizio d'Acquapendente)
Nacque da Fabricio intorno al 1533 ad Acquapendente, che all'epoca faceva parte della diocesi di Orvieto (ora prov. di Viterbo).
La data si desume dall'atto di morte, conservato nell'Archivio civico di Padova (Ufficio di Sanità. Libro de' morti. Anni 1619-1622) e pubblicato da G. Favaro (Contributi alla biografia di G. F. d'A., in Mem. e doc. per la storia della Univ. di Padova, I, Padova 1922, p. 340, doc. 22), nel quale si dice appunto che il F. "di anni 86 in circa amala giorni 8 in circa visitato dall'Ecc.mo Rossi in Parrocchia di S. Lorenzo". Tale indicazione è altresì confermata da un'epigrafe, conservata secondo N. Costantini (Mem. storiche di Acquapendente, Roma 1903, pp. 172 s.) nella chiesa di S. Francesco in Acquapendente, in cui si leggeva che il F. "vixit annos LXXXVI, obiit an: MDCXIX". La stessa data risulta anche da una lettera inedita del 26 sett. 1610 in cui Marcantonio Pellegrini dichiara di avere compiuto il 1º agosto ottantadue anni, mentre il F. era "inferior a me di età di anni cinque" (Archivio di Stato di Venezia, Lettere dei riformatori dello Studio scritte ai diversi rettori ed altri, 1611-1622, filza n. 65, non cartolata).
Il F. discendeva da un'antica famiglia che aveva tenuto il gonfalonierato (Costantini, cit., p. 173), ma non aveva più l'agiatezza di prima. Suo nonno, Girolamo, aveva fatto parte di una ambasceria al papa (I. Thuilio, Funus perill. et excell. viri D. Hieronymi Fabricii ab Aquapendente..., Patavii 1619, p. 2, non cartolato). Preziose notizie sulla famiglia del F. si ricavano dai suoi tre testamenti, rintracciati dal Favaro (cit., pp. 275-281, 325-339), stesi il 5 ag. 1577, il 20 ott. 1593 (codicillo del 4 luglio 1599) e il 9 nov. 1615 (con otto codicilli, l'ultimo dei quali redatto il 7 genn. 1619). Dall'ultimo testamento (ibid., pp. 325-330, doc. 12) si apprende che il padre si chiamava Fabricio ed aveva una sorella coniugata con un membro della famiglia Stellifero, ma nulla si ricava sulla sua attività e sulla sua consorte - la madre del F. - di cui non viene fatto il nome. Nello stesso documento è invece ricordato l'unico fratello del F., più giovane, Fabio, che era morto nel 1577, lasciando un figlio, Fabricio, e due figlie, Zeffira e Laudomia.
Non sappiamo con precisione in quale anno il F. si sia trasferito a Padova. Esistono comunque buone ragioni per credere che ciò sia avvenuto in epoca di poco anteriore al 1550, se non in questo stesso anno, quando cioè aveva circa diciassette anni, o comunque era ancora giovinetto. Gli storici sono altresì concordi nell'affermare che il F. svolse i suoi studi con la protezione e l'aiuto della famiglia Loredan; il Favaro, notando come egli non faccia ad essa alcuna allusione nel suo testamento (cit., pp. 248 s.), dove pure ricorda i membri di varie famiglie patrizie indicate come sue protettrici (ad esempio, quelle dei Lippornani, Foscarini, Cavalli, Priuli, Doria: ibid., p. 328, doc. 12), ritiene che si possa trattare di un errore dovuto a confusione del nome Loredan con Lippomano. Sempre il Favaro, d'accordo con L. Salvadori (De Hieronymo Fabricio ab Aquapendente notitiae historico- scientificae, Patavii 1837, p. 11), è proclive ad ammettere che il F. si sia addottorato in medicina nel 1559, quindi all'età di ventisei anni, anche se di ciò manca una certificazione documentaria, essendo risultate vane le ricerche effettuate sia presso gli archivi dell'università sia nella curia vescovile di Padova, a causa delle lacune che riguardano gli anni 1556-1567.
Morto Gabriele Falloppia, maestro e amico del F., nel 1562 la cattedra rimase vacante e sembra che non si svolgessero altri corsi se non quelli privati di anatomia. Alcuni di questi tenne appunto il F. fra il 1563 e il 1565 come attestano alcuni documenti, ad es. la ducale di nomina dell'11 apr. 1565 e quella di sdoppiamento della cattedra del 1609, in cui si afferma che il F. avrebbe letto anatomia per quarantacinque anni. Analoghe informazioni si ricavano dalla descrizione del suo "teatro anatomico" del 1594, in cui si afferma che il F. era già da trenta anni professore di anatomia; occorre, però, ricordare che negli Acta nationis Germanicae artistarum, pubblicati a cura di A. Favaro (I-II, Venezia 1911-12) si fa menzione solo del 18 dic. 1566 come data di inizio dell'insegnamento anatomico del Fabrici. Con la citata ducale del 1565 il F. viene ufficialmente chiamato alla cattedra di chirurgia, con l'obbligo di insegnare anche l'anatomia, con una retribuzione di 100 fiorini all'anno (Padova, Arch. civico, Raccolta di ducali venete alli rettori di Padova, XCI, c. 154v). Inizia, così, la brillante carriera accademica del F. che lo vede nel 1570 fra i promotori per la licenza di chirurgia, nel 1571 riconfermato alla cattedra con un raddoppio di stipendio, nel 1577 per la seconda volta "ricondotto" alla stessa cattedra con 400 fiorini di stipendio, nel 1584 per la terza volta con 600 fiorini. In questo stesso anno il F. inaugura la lettura pubblica di anatomia nel nuovo teatro smontabile ed è subito dopo, il 12 maggio 1584, nominato e ammesso nel Sacro Collegio dei filosofi e medici, rinunciando pertanto alla carica di "promotore" per la licenza in chirurgia. Il 28 sett. 1589 gli viene riconfermata per la quarta volta la cattedra, con uno stipendio di 850 fiorini all'anno, e di nuovo poi cinque anni più tardi, il 28 sett. 1594, per la quinta volta con lo stipendio aumentato a 1.100 fiorini all'anno.
L'ultimo testamento pubblicato dal Favaro (cit., p. 327, doc. 12) ci tramanda il nome della moglie del F., Violante. Da altri documenti, pure rintracciati dal Favaro (i due testamenti di Violante, uno del 1578 e uno del 1603: ibid., pp. 280-281), risulta che questa era figlia di Marco Vidal o Vidali e sorella di Raimondo, padre di quattro figlie Dianora, Camilla, Virginia, Fiorenza, e di Ludovica sposata a Bernardino Benci del ramo veneto della famiglia. Giambattista Benci, insieme con fratello Marcantonio, sarà anche ricordato dal F. stesso nel suo ultimo testamento come commissario per la tutela della pronipote ed erede principale Semidea, ed avrà in lascito una parte del capitale e un legato. Non sappiamo quando il F. avesse sposato Violante, ma è certo che non ne ebbe eredi, cosa che lo addolorò sempre non poco (ibid., p. 341, doc. 24). Di Violante sappiamo altresì che morì nel 1618, un anno prima del marito, ma certo non a Padova nel cui Libro dei morti non figura.
Rimasto senza figli, il F. si legò di grande affetto alla pronipote Semidea, erroneamente menzionata come Filidea nel citato ultimo testamento, unica figlia del nipote Fabricio che visse sempre in Acquapendente e morì, come il padre, in giovane età. Semidea era probabilmente nata nel 1596 se in una lettera del 1606 in cui Galileo raccomanda l'Acquapendente a Cristina di Lorena ella viene presentata come una fanciulla di circa dieci anni; alla morte del padre venne accolta nella casa del prozio a Padova come una figlia, affidata alle cure di Caterina, figlia del notaio Marco Franzina, che visse in casa del F. con tale incarico per ben quattordici anni (ibid., pp. 336-337, docc. 18, 19). La presenza di Semidea rallegrò gli ultimi anni della vita del F. e fu fonte per lui di grande soddisfazione essere riuscito a maritarla, non senza avere suscitato la reazione sfavorevole dei parenti Benci di Acquapendente, a un giovane patrizio veneto, Daniele Dolfin del ramo di S. Pantaleone, nato il 18 dic. 1593 da Benedetto e Marietta Foscarini (dopo la morte del padre affidato alle cure dello zio Dionigi, che nel 1606 successe al fratello cardinale Giovanni nel vescovado di Vicenza).
Daniele aveva studiato medicina ed era stato allievo del F. e nella sua casa appunto aveva conosciuto la giovane sua futura sposa. Per affrettare e fàcilitare tali nozze il F. compì una serie di atti legali volti ad abilitare la pronipote alla nobiltà, come risulta dai documenti dell'Archivio notarile di Padova citati dal Favaro (ibid., pp. 256 s.).
Sebbene dalla moglie non avesse avuto figli, sembra che il F. fosse padre di un figlio naturale a nome Francesco, non sappiamo se nato prima o dopo le nozze con Violante. Di lui ricaviamo notizia dal testamento che il F. fece stendere il 5 ag. 1577, nel quale si dice che Francesco si trovava a Venezia affidato alle cure del prete Giovanni Durante. All'epoca egli aveva forse già qualche anno, ma nulla sappiamo con certezza. Certo è solo che il F. gli lasciava 300 ducati "in circa a li dieze per cento sula sua vita".
Da un documento del 1606 (conservato nell'Archivio antico dell'Università di Padova, Atti dell'Università artista, 1591-1607, filza n. 678, cc. 192r-201v) risulta che allora Francesco era "artis et medicinae doctor" e si faceva chiamare "de Fabritijs" e "Aquapendens". Francesco si rivolgeva ivi al rettore dell'università "degli artisti" Giovanni Auer da Merano perché decidesse in merito alla causa sorta fra lui e il F. relativa alla richiesta del pagamento delle spese del suo mantenimento che egli indicava nella somma per lo meno di 500 ducati all'anno. Gli atti scoperti e pubblicati del Favaro (cit., p. 264) permettono di ricostruire la vicenda nelle sue varie fasi, con le ripetute citazioni davanti al giudice e il reiterato rifiuto del F. a comparirvi, e poi l'accusa a Francesco di sostenere "inepte et falso" di essere suo figlio naturale, infine l'intervento del procuratore del F., il notaio ed amico Marco Franzino, che il 18 ag. 1606 prende in mano la causa e riesce forse a comporla, chiedendo, come congettura il Favaro rilevando la mancanza di ogni ulteriore accenno a questo personaggio nei documenti dell'epoca, probabilmente l'allontanamento definitivo di Francesco dalla città.
È del 1600 la "parte" senatoriale e ducale con la quale viene confermata al F. la cattedra a vita, con il titolo di straordinario di anatomia e lo stipendio di 1.000 scudi all'anno (Favaro, ibid., pp. 321 s., doc. 8). Tale cattedra, che venne sdoppiata il 25 ag. 1609, lasciando tuttavia il F. titolare con lo stesso stipendio, fu da lui definitivamente e volontariamente abbandonata nel novembre del 1613 allo scadere dei cinquanta anni di insegnamento. L'attività di docente accompagnò dunque quasi l'intero arco della vita del F. e, se da un lato fu fonte di notevoli soddisfazioni (nel 1608 ricevette a Venezia le insegne di cavaliere di S. Marco), non mancò tuttavia neppure di contrasti, litigi e delusioni. Le puntuali ricerche del Favaro hanno messo in luce le difficoltà e le alterne vicende dei suoi rapporti con gli allievi, specialmente con quelli della nazione germanica, e con colleghi e assistenti. In particolare le sue lezioni furono turbate da frequenti tumulti (come quelli del 23 genn. 1589), dalle proteste per le sue numerose assenze e dalle insistenze degli studenti per ottenere "dimostrazioni" annuali di anatomia, anche private, negli anni alterni in cui non fossero state tenute quelle pubbliche. Tali richieste trovarono ascolto presso le autorità accademiche e portarono il 17 nov. 1583 all'affidamento dell'incarico al F. in ogni anno. A questo proposito il F. si prodigò notevolmente perché fosse costruito un apposito "teatro anatomico" che egli stesso inauguro il 23 genn. 1584.
All'attività di professore si affiancò tuttavia quella di medico pratico che il F. esercitò intensamente e con molto profitto economico. Fu medico di illustri personaggi, come il duca di Urbino che lo interpellò per la cura di certe febbri che infestavano la regione di Pesaro nel 1591; Gianfrancesco e Cosimo Pinelli; Carlo de' Medici, figlio di Ferdinando I e di Cristina di Lorena, che curò nel 1604; Galileo Galilei, che lo raccomandò nel 1606 per la successione alla cattedra di Girolamo Mercuriale all'università di Pisa; Paolo Sarpi, ferito nel 1605; il duca di Mantova, cui inviò, pillole, forse di aloe. Accumulò con la sua professione ingenti ricchezze, come si può desumere dai suoi testamenti e dall'interesse che alla sua eredità dimostrarono i congiunti.
Famosa per la sua bellezza era la villa della Montagnola presso Padova, fuori porta S. Croce, descritta con particolari dallo storico A. Morosini in una lettera "de Aquapendentianis deliciis", inviata da Padova il 1° luglio 1614 a Francesco Erizzo (Opusculorum cum eiusdem epistolis pars prima, Venetiis 1625, pp. 184-189), che il F. fece restaurare circondandola di un delizioso giardino, con piante e fiori esotici, un lago ricco di pesci, un vasto parco popolato da animali. Qui il F. veniva a trascorrere le sue vacanze, mentre abitualmente risiedeva a Padova e precisamente, per lo meno dal 1577, nella contrada di S. Francesco, tenendo pur sempre l'abitazione in Acquapendente che il Costantini (cit., pp. 1805.) credette di avere identificato.
Dedito per gran parte della sua vita all'insegnamento della medicina e dell'anatomia nonché all'esercizio della professione, il F. poté attendere alla pubblicazione delle sue numerose opere soltanto nella vecchiaia, allorché la grande fama raggiunta gli consentì una certa libertà nell'assolvimento dei suoi doveri di docente. Pur senza poterli approntare per la pubblicazione, egli venne accumulando numerosi manoscritti, che rivedé e migliorò fin dal 1577, come è attestato dal primo testamento. Alcune di queste opere videro la luce solo nel sec. XVII. L'elenco dei manoscritti del F. si ricava dal primo codicillo dell'ultimo testamento (Favaro, cit., pp. 331 s., doc. 13) in cui sono ricordati ventitré titoli.
Da un altro elenco di manoscritti inediti del F., redatto il 21 ag. 1622, risultano dodici titoli di cui i primi quattro di argomento anatomico con trattazioni su alcune funzioni superiori del cervello. Molti di essi sono andati perduti. Un codice contenente un Tractatus de ossibus e un De vulneribus recante la data del 1585 e menzionato in un vecchio catalogo della Biblioteca nazionale di Parigi con il n. 7112.
Molti manoscritti del F. sviluppavano temi affrontati nelle lezioni e argomenti di carattere metodologico, come il De anatomica methodo in cui esponeva i principî che egli applicava allo studio dei vari organi. Tra tutti una storia particolare hanno avuto quelle Pitture colorate d'anatomia che egli menziona nel suo ultimo testamento come prezioso lascito alla Signoria di Venezia perché le depositasse nella "Libraria" di S. Marco e a cui lavorava già dal 1591. Le laboriose ricerche di archivio di R. Sterzi hanno ricostruito la complessa vicenda della loro sparizione e del loro ritrovamento nei vari passaggi dell'eredità del F. (Le "Tabulae anatomicae" ed i codici marciani con note autografe di Hieronymus Fabricius ab Aquapendente, in Anatomischer Anzeiger, XXXV [1909], pp. 338-348; Favaro, cit., pp. 287-296).
L'atlante anatornico del F. consta di centosessantasette tavole distribuite in otto volumi in folio, dipinte ad olio su carta, ed è stato studiato da V. Stefanutti (Le pitture dell'anatomia, in Rassegna medica, XXXIV [1957], pp. non num.). Dalla dedica del 1600 del De visione, voce, auditu si apprende che le tavole sarebbero dovute essere molto più numerose, circa trecento, e avrebbero dovuto costituire un'opera dal titolo Theatrum anatomicum. Se è certo che la fama maggiore del F. presso i suoi contemporanei era legata alla sua perizia di medico pratico e al suo lunghissimo insegnamento universitario, la sua fortuna storica resta soprattutto affidata alle opere su cui si formarono, nel corso dei Seicento, alcune generazioni di medici europei. Storici della scienza contemporanei hanno, e giustamente, rilevato come, considerata nel suo insieme, la sua produzione scientifica si presenti come la graduale realizzazione di un programma ambizioso e globale, quello cioè di un Theatrum totius animalis fabricae che doveva essere la controparte teorica di quel "teatro anatomico" che pure aveva cercato di far costruire per tenervi le sue "dimostrazioni" di anatomia.
Tra gli scritti del F. che videro la luce tra i primi vanno ricordati innanzi tutto quelli chirurgici, costituiti dal Pentateuchos chirurgicum, uscito a Francoforte nel 1592, in una edizione non autorizzata dall'autore, e poi ristampato nello stesso luogo nel 1604, e ancora a Padova nel 1617, e le Operationes chirurgicae pubblicate per la prima volta nell'edizione patavina del 1617 del Pentateuchos. Delle Operationes si ebbero numerosissime edizioni nel corso dei secoli XVII e XVIII in Italia e in Europa, talune in traduzione italiana e francese.
L'opera chirurgica del F. abbraccia sostanzialmente due parti. Nella prima, che costituisce appunto il Pentateuchos chirurgicum ed è distinta in cinque libri, il F. esamina, nell'ordine, i temi dei tumori, delle ferite, delle ulcere e fistole, dei traumi e, infine, delle lussazioni. Nella trattazione di ciascuno degli argomenti applica un identico schema espositivo, iniziando con il significato del nome, procedendo quindi con l'indicazione delle cause, interne ed esterne, con la classificazione, la più accurata e completa possibile, delle specie, e si occupa, infine, della terapia, discutendo le varie tesi e sovente proponendo sue proprie soluzioni, illustrando il tutto con numerose tavole e disegni di strumenti chirurgici. Nella seconda parte (le Operationes chirurgicae) il F. passa all'esame delle operazioni chirurgiche vere e proprie, discutendo lungamente le posizioni del suo maestro Falloppia, e indica, per ciascuna operazione (partendo con ordine dalla testa ai piedi), la migliore strumentazione chirurgica e il suo corretto uso. Si tratta in sostanza di una summa di tutta la scienza chirurgica dell'epoca che spiega la grandissima fortuna delle due opere.
Ma l'importanza del F., più che a questo grande manuale di chirurgia, è legata ai suoi oriffinali contributi nel campo della anatomia, anche comparata, e dell'embriologia, campi nei quali egli lavorò da pioniere aprendo un ampio orizzonte di sviluppo per queste discipline. Essi costituiscono il resto della sua produzione edita e spesso riedita quasi per intero mentre egli era ancora in vita. Ci riferiamo al De visione, voce, auditu, pubblicato nel 1600 a Venezia e a Padova, per i tipi di Lorenzo Pasquati, in tre parti separate con dedica rispettivamente a Giacomo Foscarini, Leonardo Donà e Giovanni Dolfin; al De formato foetu, apparso a Padova sempre nello stesso anno; al De locutione et eius instrumentis, edito a Venezia nel 1601 e poi ristampato con il De visione a Padova nel 1603; al De venarum ostiolis, la più celebre delle opere dei F., uscita nello stesso anno e nello stesso luogo con dedica alla "Nazione germanica"; al De brutorum loquela, pubblicato pure nel 1603 a Padova, dedicato a Hedwiga Mielecka, che gli aveva procurato materiale per i suoi studi di anatomia comparata; al De musculi artificio: de ossium articulationibus, con dedica al senatore Andrea Morosini pubblicato a Vicenza nel 1614; al De respiratione et eius instrumentis libri duo, apparso a Padova nel 1615 con dedica a Nicola Contarini; al De motu locali animalium secundum totum, nempe de gressu in genere, uscito nel 1618 a Padova; al De gula, ventriculo, intestinis tractatus, pure edito a Padova nello stesso anno.
Nei suoi primi lavori anatomici, dedicati allo studio della vista, della voce e dell'udito, il F., nell'esporre le sue critiche agli autori antichi, in particolare ad Aristotele e Galeno, e, fra i moderni, ad Andrea Vesalio, indica nella mancanza di un vero e proprio "metodo anatomico" la causa principale delle lacune contenute nei precedenti lavori sull'argomento. A questa esigenza sembrano appunto rispondere le ricerche anatomiche del F., il cui "metodo anatomico", utile anche ai fini della memorizzazione della materia, passa attraverso tre momenti necessari: la "dissezione" o "historia" dell'organo, la sua "azione" e infine la sua "funzione" o utilità. Solo così sarà completa la descrizione anatomica e si potrà acquisire quella "notitia organorum tota" che è il fine della stessa scienza anatomica. Le ricerche anatomiche del F. si porranno dunque, rispetto ai predecessori più antichi o contemporanei, cioe rispetto ad Aristotele e Galeno, e, fra i moderni, a Vesalio, piuttosto come una "ordinata" riesposizione, integrazione e completamento che come una correzione delle loro dottrine. Per quel che riguarda poi il rapporto fra l'anatomia e la fisiologia occorre osservare che per il F. le due discipline erano strettamente legate, al punto che proprio la completa descrizione anatomica dell'organo includeva la trattazione del suo funzionamento e cioè della sua fisiologia. E non è un caso che, appunto nei tre trattati menzionati, il titolo non facesse tanto riferimento all'anatomia dell'organo (occhio, laringe o orecchio), ma alla sua fisiologia (visione, voce, udito), e cioè alle funzioni dell'organo stesso. A proposito degli interessi anatomici del F. si è anche osservato come egli, trattando dei vari organi, non chiarisca se stia parlando di quelli dell'uomo o degli animali. Anche questo denota la particolarità del suo approccio a tale disciplina che vuole trattare in modo "scientifico", e non empirico, vale a dire descrivendo la struttura, la funzione e le "cause" dell'organo in sé, indipendentemente dal fatto che appartenga all'uomo o a un bruto, e quindi secondo un concetto di scienza come vera, universale spiegazione delle cause del fenomeno in generale, seppure ricavata dall'osservazione di esso in molte diverse creature.
Un approccio si direbbe dunque filosofico che trova piena conferma nelle opere anatomiche successive, e cioè nel De locutione et eius instrumentis e, soprattutto, nel De brutorum loquela, dove l'intento filosofico-teoretico è esplicitamente dichiarato nel riferimento ai libri sugli animali di Aristotele, nei quali egli vede completata la filosofia naturale stessa dello Stagirita, esposta nei suoi principi astratti e generali nella Fisica e nel De coelo. In tal modo l'anatomia, estesa anche oltre i limiti dell'applicazione aristotelica, è presentata dal F. come un organico ingrediente della filosofia naturale, una sua parte essenziale, rilevante dal punto di vista teoretico e scientifico, e non più considerata soltanto come una conoscenza valida nel campo delle applicazioni pratiche. La fedeltà a questo principio metodologico si rintraccia in tutti gli altri scritti anatorno-fisiologici del F. (sul ventricolo, la gola e l'intestino, sui vari organi della respirazione, dal cuore a quelli situati nel torace, sugli organi responsabili dei vari tipi di movimento, sui muscoli, e infine sugli arti) e non viene meno neppure in quelli che non sembrerebbero consacrati alla descrizione di uno specifico organo, come ad esempio il De venarum ostiolis, dove l'oggetto è costituito da elementi presenti in vari organi del corpo, in questo caso umano.
Tale preoccupazione metodologica, così evidente ed appariscente nei suoi scritti di anatomia, investì anche i lavori embriologici del F. che hanno richiamato l'interesse di alcuni storici della scienza contemporanei. La tematica relativa alla formazione e crescita del feto è stata affrontata dal F. in due opere, una delle quali fu stampata quando ancora era attivo come insegnante a Padova nel 1600 e reca il titolo De formato foetu; l'altra, lasciata manoscritta, venne pubblicata dopo la sua morte, con il titolo De formatione ovi et pulli tractatus accuratissimus, a Padova nel 1621, a cura di Jean Prevost.
Preceduti forse da una serie di letture De instrumentis seminis, andate probabilmente perdute, i due testi sembrano essere stati costruiti sulla base di letture accademiche, forse riviste dai suoi allievi, come lascerebbe pensare il frequente richiamo ai suoi "uditores" e anche la sciatta e trasandata forma linguistica. Della seconda delle due opere non si conosce la data di composizione; ma sappiamo che il F. fin dal 1610 i faceva nella sua casa "dimostrazioni" sullo sviluppo dell'uovo, e il Prevost, nella dedica dell'opera, afferma che il F. studiò tale argomento mentre era a Firenze per curare Carlo de' Medici nel 1604. Sembra comunque che il De formato foetu sia anteriore al De formatione ovi et pulli, che per il tema che affronta avrebbe dovuto logicamente precedere. Infatti il De formatione... tratta della formazione del feto partendo dall'esame del "luogo esterno" in cui essa si verifica, cioè l'uovo, per poi procedere a quello del luogo interno, cioè l'utero, nel quale il processo si svolge in modo nascosto ed inaccessibile all'osservazione, e nel quale quindi il fenomeno si può ricostruire solo per analogia, e cioè partendo dal "fatto" per ricostruire l'"azione". Amplissima qui la discussione delle posizioni degli autori antichi, in particolare di Aristotele, alle cui dottrine relative all'uovo, l'autore avrebbe avuto in animo persino di scrivere un commentario, e di Galeno; ma sono citati anche autori moderni come A. Vesalio, R. Columbo, A. Leone, G. Falloppia e G. C. Aranzi, e certamente sono anche presenti al F. altri autori, che non cita, come V. Coiter e U. Aldrovandi. Particolarmente arduo risulta al F. conciliare gli schemi logico-concettuali che desume appunto da Aristotele con i dati dell'osservazione, che pure accumula ed analizza, e, per così dire, in molti casi privilegia. E proprio la sua vocazione di osservatore permette al F. di interpretare in modo corretto il ruolo di alcuni organi, come l'ovario e l'ovidotto, e di superare persino Coiter e Aldrovandi.
Il Deformato foetu esamina i bisogni del feto una volta che sia stato completamente formato, ma che ancora non sia in grado di nutrirsi con la bocca e respirare. Anche in questo caso il F. inizia con una descrizione, la più completa possibile, dell'oggetto, tenendo presente una grande varietà di forme che pone in paragone fra loro, per poi passare all'interpretazione dell'azione e della funzione dell'oggetto stesso. In questa parte egli trova carente la trattazione galenica che peraltro è il suo costante punto di riferimento. I meriti del F. sono stati individuati non tanto nella novità del materiale esaminato o nella originalità della sua interpretazione, quanto nella sua chiara comprensione delle relazioni strutturali basate sull'esame di un largo numero di forme. Non arrivò a scoprire certe relazioni strutturali del sistema vascolare fetale perché non ebbe alcuna idea della circolazione dei sangue né nel feto né nell'adulto; comunque nella trattazione della placenta sembra avere superato per larghezza di esperienza tanto il Vesalio che il Falloppia, presentando una classificazione ragionata delle sue varie forme e tentando di correlarle con tipi animali. Introdusse sovente una nuova terminologia e in particolare arrivò ad una esatta definizione di "cotyledon", termine su cui nelle stesse fonti antiche regnava la più grande confusione. Tanto il De formatione ... che il De formato foetu erano corredati di disegni e figure, ma, soprattutto nel primo, l'integrazione delle tavole con il testo era assai carente, mancando sovente indicazioni o, addirittura, riferendosi le tavole a strutture diverse da quelle descritte nel testo.
Oltre a quelle qui ricordate, che vennero variamente ristampate nei secoli successivi, sono state tramandate a nome del F. numerose altre opere che sono con ogni probabilità spurie: Dissertatio de lue pestifera, Basileae 1585 (Rostock 1632 con il titolo Dissertatio de peste); due capitoli De caro e De laesa minctione nei Consilia medicinalia di J. Lautenbach sono dall'editore attribuiti al Capodivacca, al Mercuriale e al F.; il Favaro attribuisce al F. un De abusu cucurbitularum in febribus putridis che appare in numerose edizioni delle opere chirurgiche a partire da quella del 1647; De vulneribus sclopetorum, usualmente attribuito a Francesco Plazzoni; Medicina practica stampata nel 1634 a Parigi sotto il nome del Fabrici.
Il 9 maggio 1619 il F. riuscì a realizzare il suo sogno facendo celebrare le nozze della pronipote Semidea nella sua stessa abitazione e alla sua presenza. Ma appena quattro giorni dopo il matrimonio cadde ammalato e il 21 dello stesso mese, nonostante le cure del medico Alvise Rossi, morì nella sua casa di Padova (Favaro, Cit., p. 340, doc. 22).
Fonti e Bibl.: Fondamentali per la ricostruzione della biografia del F. sono i contributi del Favaro (citati nel corso della voce e gli altri qui di seguito menzionati), a cui si rinvia anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici (in particolare, per le principali fonti biografiche sul F., si veda Contributi..., pp. 245 s.). Ci limiteremo qui pertanto a indicare soltanto quei lavori che non sono stati da lui ricordati o che sono apparsi dopo i suoi contributi in epoca più recente: W. Harvey, Exercitationes de generatione animalium, Londini 1651, pp. 10 s., 18, 135; A. Tessier, Sei lettere di celebri medici italiani dei secoli XVI e XVII, Venezia 1857, pp. 5 ss.; H. Boruttau, Versuch einer kritischen Geschichte der Atmungstheorien, in Archiv für Geschichte der Medizin, II (1909), pp. 314 s.; G. Favaro, Ilterzo centenario della morte diG. F. d'A., in Atti e mem. della R. Accad. di scienze, lettere ed arti in Padova, XXXV (1918-19), pp. 23 ss.; Id., L'insegnamento anatomico di G. F. d'A., Venezia 1922, Specie pp. 107-136; K. Bardeleben, Fabricius, Hieronymus, in Biographisches Lexikon der hervorragenden Aerzte..., II, Berlin-Wien 1930, pp. 460-462; H. B. Adelmann, The embriological treatises of Hieronymus Fabricius of Aquapendente, I-II, Ithaca, N.Y., 1942 (dove troviamo una traduzione inglese con ristampa dell'originale dei trattati embriologici del F. e una ampia bibliografia in References, II, pp. 785-809); G. Favaro, Galileo e l'A., in Atti dell'Istituto veneto di scienze lettere ed arti, CI (1942-43), pp. 47-52; L. Belloni, Di una non avvenuta chiamata di Gaspare Tagliacozzi allo Studio di Padova (1594) e di un consulto epistolare tra G. Mercuriale, G. Tagliacozzi e G. F. d'A., in Riv. storica di scienze mediche e naturali, XLIII (1952), pp. 345-351; Id., Die deutsche Aussprache in einer kurzen Abhandlung von Conrad Hofmann an Hieronymus F. ab A., in Sudhoffs Archiv fürGeschichte der Medizin und der Naturwissenschaften, XXXVII (1953), pp. 20 1 -209; A. F. Ciucci, L'ospidale di Parnaso, a cura di B. Zanobio, Milano 1962, pp. 103-121; G. Ongaro, La prima descrizione della borsa del F...., in Episteme, IV (1970), pp. 317-325; F. Maecki, Die Stomatologie des F., Zurich 1975; V. Stefanutti, A., G. F. d', in Scienziati e tecnologi dalle origini al 1875, Milano 1975, s. v.; F. Zen Benetti, La libreria di G. F. d'Acquapendente, in Quaderni per la storia dell'Univ. di Padova, IX-X (1976-1977), pp. 161-183; A. Cunningham, Fabricius and the "Aristotle project" in anatomical teaching and research at Padua, in The medical renaissance of the sixteenth century, a cura di A. Wear-K. French -I. M. Conte, Cambridge 1985, pp. 195-222; A. Gamba, Ilprimo teatro anatomico stabile di Padova non fu quello di F. d'A., in Atti e mem. d. Accad. Patavina di sc. lett. ed arti, XCIX (1986-87), pp. 157-61; L. Premuda, G. R d'A. nella storiografia medico-scientifica, in Acta medicae historiae Patavina, XXXIV (1987-88), pp. 101-117 (a cui si rinvia per le indicazioni bibliografiche in merito ai piu recenti contributi da parte, soprattutto, di storici della medicina); L. Bonuzzi, L'immagine del corpo nella medicina padovana e F. d'A., ibid., pp. 9-18; H. M. Koelbing, Anatomia dell'occhio e percezione visiva in G. R d'A., ibid., XXXV-XXXVI (1988-89, 1989-90), pp. 29-38.