DONZELLINI (Donzellino, Donzellinus), Girolamo
Nacque intorno al 1513 a Orzinuovi (Brescia). Il padre, Buonamonte, appartenente a una importante famiglia veronese, era venuto via dalla città natale per sfuggire alle devastazioni della guerra; a Orzinuovi si era sposato (il nome della moglie, probabilmente originaria di Brescia, non è noto) ed aveva avuto almeno tre figli: Pietro, che divenne avvocato, il D. e Cornelio. Quest'ultimo entrò nell'Ordine dei domenicani e abbandonò il saio quando, al pari del D., venne attratto dalle dottrine protestanti. I fratelli Donzellini vennero in contatto con le nuove idee religiose probabilmente sin dal tempo della loro infanzia a Orzinuovi. Tra i loro insegnanti fu infatti il francescano conventuale Michelangelo Florio da Firenze, in seguito eretico; la casa paterna era centro di dibattiti religiosi che traevano occasione dai libri forniti dal libraio Pier Antonio Piasentin. Secondo le informazioni strappate al D. nel corso del secondo processo intentatogli, del circolo di Orzinuovi facevano parte Giordano Ziletti (libraio, anni dopo accusato di smercio di pubblicazioni ereticali), il notaio Valerio Corniani, gli ecclesiastici Calimerio e Agostino Agostini, il poeta Francesco Moneta, un medico di nome Agazzi e uno speziale di nome Valerio.
Il D., insieme col fratello Pietro, proseguì gli studi a Brescia, sotto la guida di Giovanni Scalfio. In quella città conobbe molti giovani letterati, i quali all'epoca forse già accarezzavano le idee ereticali che in seguito professarono: tra questi erano Baldassarre Cazzago, Vincenzo Gabiano e Giovanni Andrea Ugoni. In seguito i fratelli Donzellini si iscrissero all'università di Padova; il D. vi conseguì la laurea in medicina il 28 apr. 1541 e nel medesimo anno venne incaricato della seconda cattedra straordinaria di teoria medica. Tra i docenti e colleghi erano Giambaffista Da Monte, di cui il D. curò, anni dopo, l'edizione dei Consilia, Marcantonio Genova e il giovane Andrea Vesalio. L'eretico pentito Pietro Manelfi più tardi asserì di aver visitato il D. a Padova e di aver visto nel suo studio libri luterani.
Due anni dopo, forse in cerca di fama e di fortuna, il D. si trasferì a Roma, ove divenne medico dei futuri cardinali Giulio Della Rovere e Durante Duranti. A Roma rivide i vecchi amici Cazzago e Ziletti e frequentò il circolo di intellettuali interessati alle idee luterane che si riuniva intorno a Pietro Antonio Di Capua, arcivescovo di Otranto; altri membri del cenacolo erano Girolamo Borro, Giacomo Carisio, Guido Giannetti e lo spagnolo Diego de Enzinas. Nel 1545 l'Enzinas, arrestato dall'Inquisizione, nominò tra i suoi complici il Donzellini. Avvertito dallo Ziletti, il D., che all'epoca si trovava a Camerino, abbandonò in gran fretta il servizio del cardinale Duranti. Dopo alcune rapide visite a Orzinuovi e a Brescia, accettò l'invito a stabilirsi a Venezia estesogli dal senatore Leonardo Mocenigo; in quella città in breve si fece una ricca clientela tra famiglie patrizie del rango dei Bembo, Canal, Centani e Valier.
A Venezia e nel Veneto il D. intrecciò numerosi contatti con personaggi interessati alle idee ereticali. Tramite, forse, l'amico Ugoni, marito di Laura Maggi, entrò in rapporto con un altro bresciano, l'ex benedettino Vincenzo Maggi, e ne divenne intimo amico. Dal canto suo Maggi gli diede la possibifità di frequentare il circolo di simpatizzanti del protestantesimo che cercava protezione nella casa dell'agente inglese Edmund Harvel. Tra i membri di questo gruppo figuravano anche Baldassarre Altieri, rappresentante a Venezia della Lega di Smalcalda, e lo stampatore e libraio Pietro Perna, entrambi in contatto con Pier Paolo Vergerio. Questi personaggi consolidarono e rafforzarono la sua dedizione alla fede protestante e lo coinvolsero in una rete clandestina che distribuiva libri ereticali. Il D. ebbe occasione di discutere di argomenti religiosi con un gruppo di persone che in seguito furono processate o almeno chiamate in causa per questioni di ortodossia dottrinale: tra queste gli ecclesiastici Andrea Centani vescovo di Limassol, Ippolito Chizzola, Giovanni "il Colle", Giovanni Grimani patriarca di Aquileia, Celso Martinengo, Francesco Strozzi, Massimo Teofilo e Girolamo Zanchi; i letterati Alessandro Citolini, Ortensio Lando, Giovanni degli Onesti e Lucio Paolo Rosello; i medici Matteo Fabri, Agostino Gadaldino, Angelo Odoni, Giovanni Battista Pigafetta e Giovanni Battista Susio; gli stampatori Andrea Arrivabene e Ziletti; Gaspare Parma da Modena e sua moglie Pantasilea; Giovanni Battista Scotti, che in seguito fu il principale testimone d'accusa del cardinale Giovanni Morone; il nobile siciliano Bartolomeo Spatafora e infine Ottonello Vida, intimo del Vergerio.
Nell'agosto del 1549 il D. venne raggiunto a Venezia dal fratello Cornelio (già frate domenicano col nome di fra' Teodoro), che a Capodistria era stato precettore dei nipoti del Vergerio.
Cornelio, buon conoscitore del greco, ne compose una grammatica e collaborò con il Rosello alla versione in italiano di diverse opere, tra cui i dieci sermonì sulla provvidenza di Teodoreto di Ciro. Insieme con l'Onesti e altri tradusse il Petit traicté de la Sainte Cène di Calvino e lavorò a una volgarizzazione del Nuovo Testamento. Prima della fine del 1552 sposò una ex monaca e partì alla volta di Ferrara; è possibile che in seguito si trasferisse a Firenze. In ogni caso sembra sia morto dopo breve tempo.
All'incirca in quello stesso periodo il D., forse attraverso i coniugi Parma, acquistò una nuova paziente: suor Febronia (al secolo Cecilia di Giovanni Battista Morosini), monaca nel convento veneziano di S. Lucia, cui la madre priora Angelica Centani aveva consentito di sottoporsi a visite mediche. Una notte suor Febronia e la consorella Paola (figlia di Alvise Marcello), con la complicità di una domestica e di alcuni uomini loro parenti, fuggirono dal convento per non rientrarvi più. Benché il Parma fosse immediatamente interrogato, la possibilità che il D. avesse incoraggiato la fuga delle religiose gli fu imputata solamente durante il terzo processo del 1575, quando le sue responsabilità vennero indagate a fondo.
Nell'aprile del 1553 la cameriera di Lucrezia Panza, moglie di Vincenzo Maggi, denunciò i coniugi Maggi all'Inquisizione. Il D. che, oltre ad aver collaborato con il Maggi alla diffusione di libri proibiti, era stato testimone delle loro nozze, fu ben presto coinvolto nelle indagini. Il 17 agosto, per suggerimento dello Ziletti, divenuto informatore del tribunale, la sua casa venne perquisita, e si rinvenne un nascondiglio che celava libri e lettere sospette. Prima dell'interrogatorio, avvenuto due giorni dopo, della sua padrona di casa Caterina Trevisan (convivente di Francesco Strozzi), il D. fuggì da Venezia con il pretesto di dover visitare a Verona uno zio infermo. Né lui né i Maggi, che erano fuggiti a Coira, adempirono alle ripetute citazioni a comparire davanti all'Inquisizione. Furono perciò condannati in absentia il16 dic. 1553 e si offrì una taglia per la loro cattura.
Il D. trascorse i mesi successivi viaggiando nell'Italia settentrionale, in visita a parenti e amici. Nel febbraio 1554 si trovava a Ferrara, dove incontrò la duchessa Renata e cercò di ottenere una cattedra presso la facoltà di medicina. Di lì scrisse anche una lettera al padre, in seguito utilizzata come prova a suo carico. Dopo aver soggiornato qualche tempo a Padova si recò Oltralpe; nei primi giorni del settembre 1554 era a Tubinga, dove incontrò il Vergerio, il quale informò il Bullinger che Matteo Gribaldi aveva tentato, senza successo, di conquistare il suo ospite alle idee di Serveto.
Non è possibile ricostruire con precisione l'itinerario del D. durante i successivi sei anni. È possibile che proprio in quel tempo, per il tramite del Perna, abbia fatto conoscenza con l'umanista Theodor Zwinger di Basilea, con il quale in seguito intrecciò una corrispondenza. Sembra tuttavia chiaro che egli spese gran parte di questo periodo nella ricerca di personaggi influenti che intercedessero in suo favore, tentando di persuaderli che le imputazioni mossegli nascevano esclusivamente dalla gelosia professionale di medici rivali. Nell'estate del 1555 Ferdinando d'Asburgo scrisse al nunzio pontificio Zaccaria Dolfin affinché illustrasse favorevolmente il caso del D. al papa Paolo IV, e quattro anni dopo scrisse al doge Lorenzo Priuli, ma nessuna di queste iniziative ebbe esito favorevole. Il cardinale Otto Truchsess von Waldburg, vescovo di Augusta, e Michael von Kuenburg, arcivescovo di Salisburgo, scrissero egualmente in suo favore nella primavera del 1557: anche queste lettere, presentate al Senato veneziano dal fratello Pietro, non giunsero ad effetto. Infine, dopo aver declinato vantaggiose offerte di lavoro dell'arciduca Ferdinando e della sorella, la regina di Polonia, il D. ottenne un salvacondotto concessogli per intercessione dell'imperatore, integrato da dichiarazioni sulla sua ortodossia prodotte da due ambasciatori veneziani, Paolo Tiepolo e Leonardo Mocenigo, suo antico protettore. Già nell'estate del 1560 era di ritorno a Venezia, e il 12 novembre di quell'anno apparve volontariamente davanti l'Inquisizione.
Il secondo processo del D. fu un vero pezzo di bravura nicodemistica. Interrogato scrupolosamente dall'anziano inquisitore, il domenicano fra' Tommaso da Vicenza, sulle sue letture, frequentazioni e idee, egli, per tutta risposta, sottolineò da un lato la sua qualità di uomo colto, che per definizione indaga una varietà di libri e di concetti, senza necessariamente sottoscriverli, dall'altro il suo ruolo di medico, che lo portava a frequentare un gran numero di pazienti e a conversare con molti colleghi, senza l'obbligo di indagare campi alieni alla medicina. Si trincerò spesso dietro la giustificazione, usata da molti intellettuali sofisticati accusati di eresia, che come uomo di mondo uso ad incontrare e conversare con moltissime persone non riusciva a ricordare i dettagli su cui veniva interrogato. Nel lungo memorandum del 26 nov. 1560 e nell'abiura del 1º febbr. 1561 incolpò Altieri, il fratello Cornelio e Perna di averlo incoraggiato a letture pericolose. Sottolineò inoltre che all'epoca dei fatti la Chiesa era afflitta da abusi che contravvenivano alla legge canonica e che, in quel periodo, il discrimine tra ortodossia ed eresia non era stato chiaro. Mostrandosi franco e sincero, fece molti nomi, raccontò molti fatti, sottolineò la circostanza di essere ritornato volontariamente in Italia e addusse autorevoli testimonianze sulla sua ortodossia.Dopo un aggiornamento del processo accordatogli perché andasse a curare Leonardo Mocenigo a Padova, il 4 febbr. 1561 il D. fu condannato a un anno di prigione da scontare nel convento domenicano dei Ss. Giovanni e Paolo. Godette però diverse volte di permessi sulla parola per potersi occupare di affari di famiglia a Orzinuovi, cosicché trascorse pochissimo tempo in prigione. In questo periodo incontrò l'umanista ed eretico Publio Francesco Spinola, che forse aiutò ad ottenere il posto di precettore dei figli di Leonardo Mocenigo. Nel dicembre 1561 gli venne commutato il residuo di pena da scontare e poté recarsi a Verona dove, secondo quanto dichiarò all'Inquisizione veneziana, lo zio Francesco Donzellini lo istituì erede universale. A Verona sposò una donna appartenente a una importante famiglia della città, condusse vita domestica ed entrò a far parte del Collegio dei medici. Ma anche il periodo di residenza a Verona fu agitato: in una disputa sulle proprietà della teriaca nella cura delle febbri pesfilenziali si schierò con Giuseppe Valdagno contro Vincenzo Calzaveglia e ne nacque uno scambio acrimonioso di trattatelli. Nell'estate del 1569 fece rimostranza all'Inquisizione di Venezia perché la sentenza del 1561 era stata erroneamente divulgata e veniva addotta contro di lui in una causa civile.
Nella primavera del 1574 il D. ebbe a che fare con l'Inquisizione di Verona; di questo processo non è rimasta alcuna testimonianza, ma per certo venne seguito attentamente dalla congregazione dell'Inquisizione di Roma. Nell'autunno inoltrato l'accusato fu tradotto a Venezia. La linea di condotta dell'interrogatorio seguita dall'inquisitore, il domenicano Marco Medici, durante la sua prima comparizione del 16 novembre, fa pensare che fosse sospettato di aver avuto rapporti con i seguaci ferraresi di Gìorgio Siculo.
Sottoposto a un interrogatorio stringente, torturato, il D. ammise che nel corso del secondo processo le dichiarazioni rese e l'abiura non erano state né complete né sincere. Confessò di aver sposato le idee eretiche nei primi anni del decennio 1540, prima del viaggio a Roma, ed elencò una quantità di opere protestanti lette. Si caratterizzò come "confessionista", cioè seguace della confessio augustana sino al momento in cui, in Germania, un certo dottor Lucretio, che gli aveva procurato gli atti del concilio provinciale svoltosi a Colonia nel 1536, gli aveva dimostrato la fallacia delle sue idee. Sostenne che l'inopportuna preoccupazione per la reputazione personale, la "fragilità umana" e il desiderio di proteggere gli amici e i parenti gli avevano impedito quindici anni prima di riconoscere i propri errori e di pentirsene pienamente. Insisté però che dal momento del secondo processo le sue opinioni e la sua condotta erano state impeccabilmente ortodosse; a convalida di questa affermazione produsse una dichiarazione di Agostino Valier, vescovo di Verona.
Il processo al D. si protrasse sino alla primavera del 1575, e in quel periodo si indagò approfonditamente sul suo ruolo nella fuga delle due monache da S. Lucia. Il 9 giugno egli abiurò e fu condannato alla prigione perpetua in S. Giovanni in Bragora. Nei due anni successivi si lamentò più volte delle condizioni di vita, asserendo di essere in precarie condizioni fisiche e mentali e offrendosi di versare una grossa cauzione pur di essere trasferito in un'altra prigione o di essere affidato in custodia al Valier, a Verona.
Nel 1576 venne temporaneamente scarcerato perché curasse le vittime della pestilenza della quale, in polemica con Girolamo Capodivacca e Girolamo Mercuriale, aveva sottolineato invano il carattere di contagiosità. Il 19 apr. 1577 fu infine rilasciato definitivamente, su ordine di Roma, e gli fu concesso di ricominciare a esercitare la professione a Venezia.
Meno di un anno dopo il D. comparve ancora davanti all'Inquisizione di Venezia; questa volta il procedimento riguardava un seguace recidivo del Siculo, Nascimbene Nascimbeni, un anziano ferrarese che era stato suo compagno di cella a S. Giovanni in Bragora. Il D. testimoniò che l'inquisitore aveva rilasciato il Nascimbeni, affidandolo alla sua custodia, affinché lo ospitasse e lo curasse. Il 10 luglio 1578 il Nascimbeni era fuggito. Il D. protestò che l'incomodo ospite gli era stato imposto, che egli non aveva avuto alcun sentore delle sue intenzioni di fuga e che pertanto non lo si poteva incolpare di negligenza. In seguito a istruzioni di Roma, malgrado le proteste di influenti amici veneziani, gli fu imposto di versare una cauzione e di cessare la pratica medica.
Le fonti storiche tacciono sugli ultimi nove anni di vita del D.; fu evidentemente arrestato e processato per eresia l'ennesinia volta, ma gli atti del processo non sono venuti alla luce, e mancano anche semplici allusioni dirette. Secondo un testimone interrogato durante il processo a Giorgio Valgrisi nell'estate del 1587, il D. una volta si era vantato ad alta voce, nella libreria del Valgrisi stesso, di possedere libri proibiti. Questa sconsiderata vanteria condusse forse al suo arresto e alla condanna all'affogamento, eseguita alla fine di marzo o agli inizi di aprile del 1587 a Venezia.
Opere: in qualità di traduttore, Themistii Euphradae philosophi peripatetici orationes octo, Vindobonae 1550, Basileae, P. Perna, 1559, in qualità di collaboratore, Collectio nonnullorum operum I. B. Montani cura excussa in duplici volumine, Lutetiae Paris. 1556, Basileae, P. Perna, 1558; in qualità di curatore (con Ph. Bech): Consultationes medicae de variorum morborum curationibus, Basileae, P. Perna-M. Isingren, 1557; Consilia medica quae ullibi extant nunc primum edita ... in tres partes distributa ab infinitis mendis repurgata, Basileae, P. Perna, 1557; Norimbergae 1557; Opuscula varia Io. B. Montani medici... cum eiusdem epistola nuncupatoria d. Iulio Alexandrino medico Romanorum regis, Basileae, P. Perna, 1558; Commentaria eruditissima Leonardi Iacchini Emporiensis in nonum librum Rhazis ad Almansorem de partium morbis, Basileae, P. Perna, 1564 e 1579; Norimbergae, A. de Harsy, 1577.
Opere originali: Epistola ad Petrum AndreamMatthiolum adversus invidos et blaterones, in Epistolarum medicinalium lib. V, IV, Lugduni 1564; Pragae 1581; De natura, causis et legitimacuratione febris pestilentis, Venetiis, C. Borgominieri, 1570; Libri de natura, causis et legitimacuratione febris pestilentis in quibus etiam de theriacae natura ac viribus disputatur apologia perEudoxum Philalethem edita adversus ThessaliZoili oppugnationes, Venetiis, A. Bocchino, 1571; Veronae, S. dalle Donne, 1575; EudoxiPhilalethis adversus calumnias et sophismatacuiusdam personati qui se Evandrophilacten nominavit apologia, Veronae, o S. dalle Donne, 1573, Epistolae principum rerum publicarum acsapientium virorum ex graecis et latinis historiis, Venetiis, G. Ziletti, 1574; Basileae 1593, Amstelodami Elzevier, 1644; Venetiis 1724, edite a sua cura, ma egli stesso scrisse la maggior parte delle lettere; Brevis quaedam defensio contranonnullos asserentes pudendorum inflammationemnon esse pestis signum, s. l. 1576; Discorso nobilissimo e dottissimo preservativo et curativo della peste, Venezia, Gobi da Salo, 1577; Commentarius de peste doctissimus et accuratissimus, in Synopsis ... de peste, a cura di J. Camerarius, Norimbergae, C. Gerlach & haeredum Johannis Montani, 1583; Remedium ferendarum iniuriarum sive de compescenda ira, Venetiis, F. Ziletti, 1586, Lovanii 1635, con dedica a Sisto Visdomini vescovo di Modena. Rivide la traduzione del Galeni de Ptisana et de sanitate tuenda, Altdorfü 1587, Lovanii 1635, Consilia et epistolae medicae, in Consiliorum medicinalium Laurentii Scholtzii, Francofurti 1598, Hannoverae 1610.
Fonti e Bibl.: Le fonti più importanti sulla vita del D. sono la sua Apologia autobiografica e gli atti dei tre processi conservati nell'Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio, busta 39 (documenti che in alcune opere risultavano collocati Ibid., busta 11, sono stati spostati alla busta 39). Sulla famiglia Donzellini cfr. Verona, Bibl. civica, ms. 108: F. Torresani, Elogiorum histor. nobilium Veronae propaginum, I, f. 115. Numerosi eruditi bresciani tracciarono profili, poco attendibili e ostili, della figura del D.: cfr. O. Rossi, Elogi historici di bresciani illustri, Brescia 1620, pp. 384 s.; L. Cozzando, Dalla libraria bresciana, Brescia 1685, pp. 197 s.; G. B. Corniani, Saggio di storia letter. della fortezza di Orzi Nuovi, in Nuova raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, XXI, Venezia 1771, pp. 41-54; V. Perini, Biblioteca bresciana, II, Brescia 1818-23, pp. 11 ss. (ma cfr. A. Schivardi, Biografia dei medici illustri bresciani, [I], Brescia 1839, pp. 52-61). S. Bongi fu il primo studioso che pose su solide basi documentarie la biografia del D. e che chiarì la confusione tra lui e il fratello Cornelio, in Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari da Trino di Monferrato stampatore in Venezia, I, Roma 1890, pp. 344-355.
Le opere moderne più complete che si occupano del D. sono F. C. Church, Iriformatori italiani, Firenze 1958, pp. 301, 331-334, 357, 364 s.; E. A. Rivoire, Eresia e Riforma a Brescia, in Boll. della Società di studi valdesi, CV (1959), pp. 33-57; CVI (1959), pp. 59-90; L. Perini, Note e documenti su Pietro Perna libraio-tipografo a Basilea, in Nuova Riv. storica, L (1966), pp. 145-199; Id., Ancora sul libraio-tipografo Pietro Perna e su alcune figure di eretici italiani in rapporto con lui, ibid., LI (1967), pp. 363-404; A. Del Col, LucioPaolo Rosello e la vita religiosa venez. verso la metà del sec. XVI, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXXII (1978), pp. 422-459. Sul suo titolo accademico cfr. Acta graduum academicorum Gynmasii Patavini ab anno 1538ad annum 1550, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1971, p. 97; sull'incarico universitario cfr. J. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini ab anno 1406, Venetae dominationis primo, ad 1756, II, Padova 1757, p. 367. La carriera professionale del D. e le sue pubblicazioni sono analizzate brevemente in M. L. Portmann, Der venezianer Arzt G. D. (etwa 1527-1587) und seine Beziehungen zu basler Gelehrten, in Gesnerus, XXX (1973), pp. 1-6; P. Preto, Peste e società a Venezia nel 1576, Vicenza 1978, pp. 62 s., 120, 127, 180, 183, ma l'argomento è trattato in maniera assai più ampia nella tesi di dottorato di C. L. Redmond, G. D., Medical science and Protestantism in the Veneto, università di Stanford, a. a. 1984. La testimonianza del Manelfi sul possesso di libri luterani nel periodo padovano si trova in Icostituti di don Pietro Maneffi, a cura di C. Ginzburg, Firenze-Chicago 1970, pp. 48, 70. Per la partecipazione del D. al cenacolo luterano di Roma, cfr. A. Stella, Dall'anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto, Padova 1967, p. 31 n. Senza fondamento l'affermazione del Church, op. cit., p. 301, e di altri studiosi, che il D. si trovasse a Napoli nei primi anni Quaranta, anche se è basata su una lista di eretici fornita da Giulio Basalù durante il processo del 1555, per la quale cfr. Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio, buste 13 e 159, edita in L. Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione a Napoli, Città di Castello 1892, pp. 162 s. In Rivoire, op. cit., pp. 59-61, 63, 67, si analizzano i dettagli dell'adesione dell'Ugoni all'eresia; gli atti dei processi che questi subì nel 1552-54 e 1565 sono conservati nell'Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio, busta 11. Sui rapporti del D. col Maggi, cfr. F. C. Church, Vincenzo Maggi, A protestant politician, in Persecution and liberty: Essays in honor of George Lincoln Burr, New York 1931, pp. 227-254; questo saggio va corretto in alcuni punti sulla scorta del Rivoire, op. cit., pp. 43 ss., 55 s. Si possono trovare altre notizie sulle attività ed amicizie veneziane del D. tra la fine del decennio 1540 e l'inizio del successivo in O. Lando, Miscellaneae questiones, Venetiae 1550, e Id., Varii componimenti, Vinegia 1550; sulla prima di queste opere si veda W. L. Bullock, The "lost" Miscellaneae questiones of Ortensio Lando, in Italian Studies, II (1938), pp. 49-64, sulla seconda S. Seidel Menchi, Sulla fortuna di Erasmo in Italia: Ortensio Lando e altri eterodossi della prima metà del Cinquecento, in Schweizer Zeitschrift für Gesch., XXIV (1974), p. 610 e n.
Si vedano inoltre A. Stella, Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo, Padova 1969, pp. 38 s.; P. F. Grendler, The Roman Inquisition and the Venetian press, 1540-1605, Princeton 1977, pp. 108 s., 188 ss., 192 s.; i processi del Rosello, Onesti e Parma sono conservati nell'Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio, buste 10 e 158 (lib. II, ff. 3rv, 7r, 25r-26v; lib. IV, ff. 61v-63r, 82r-83r). Su Cornelio Donzellini cfr. Rivoire, op. cit., pp. 72 s. e Del Col, op. cit., pp. 447-455. Lettere di Francesco Navagero e del domenicano Clemente da Brescia che denunciano Cornelio si trovano tra le carte pertinenti i seguaci del Vergerio in Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio, busta 4; Ibid., busta 10, i processi del Rosello (il suo costituto del 30 dic. 1552) e dell'Onesti; Ibid., busta 158, lib. II, f. 3, il costituto del Rosello del 1º luglio 1551; Ibid., lib. IV, ff. 60v-63r, il costituto dell'Onesti del 29 ott. 1552. Sulla fuga delle monache, si veda Ibid., lib. II, ff. 25r-26v, ove è registrato il costituto del Parma del 30 dic. 1552. I primi undici pezzi conservati Ibid., busta 39, riguardano il primo processo cui fu sottoposto il Donzellini. La lettera del Vergerio a Bullinger, del 6 sett. 1554, è edita in Opera Calvini, XV, Braunschweig 1876, col. 246. In Portmann, op. cit., e in A. Rotondo, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea fra il 1570 e il 1580, in Studi e ricerche di storia ereticale italiana del Cinquecento, Torino 1974, pp. 406 s., si analizzano i rapporti tra il D., lo Zwinger e il naturalista Girolamo Mercuriale, dell'università di Padova. La lettera di Ferdinando al Dolfin, dell'8 ag. 1555 è edita in Nuntiaturberichte aus Deutschland, erste Abteil., 1533-1559, a cura di H. Goetz , XVII, Tübingen 1970, pp. 332 s.; la sua lettera del 20 luglio 1559 al doge Priuli è conservata nell'Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio, busta 39; Ibid. si trova la richiesta di intervento inoltrata dal D. al Truchsess e al Kuenburg. Le lettere di questi ultimi, spedite da Ratisbona il 15 marzo 1557 si conservano a Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, ms. Cicogna 2545, ff. 126 s.; il salvacondotto datato 28 marzo 1560, la lettera inviata da Roma il 6 luglio 1560 dal Dolfin e indirizzata al D., a Venezia, e gli atti del secondo processo si conservano nell'Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio, busta 39. Per i suoi rapporti con lo Spinola, cfr. P. Paschini, Un umanista disgraziato nel Cinquecento: Publio Francesco Spinola, in NuovoArchivio veneto, n. s., XXXVII (1919), pp. 65-186. Per il testamento di Francesco Donzellini, si veda in Arch. di Stato di Verona, Testamenti, mazzo 154, n. 332; Ibid., Anagrafe Provincia, S. Paolo, n. 563, si attesta che nel 1570 il D. era coniugato con Lucrezia e aveva un figlio di due anni, di nome Virgilio. Documenti relativi all'appartenenza e agli incarichi ricoperti nel Collegio de' medici sono conservati Ibid., Atti del Collegio de' medici, Comune 610, cc. 199r, 200r-209r, 211r-221v, 225r-226r, 228r-235r (30 luglio 1561-30 sett. 1569); Comune 611, cc. 1r, 18v-23v, 25r, 27v, 29r, 30r-33v, 35r-40v, 44v (13 dic. 1569-14 apr. 1574, la sua espulsione avvenne il 30 giugno 1575). L'analisi di F. G. Freytag, Adparatus litterarius, II, Leipzig 1752-55, pp. 910-919, circa il dibattito sulla teriaca è completamente superata dall'opera cit. del Redinond. Un gruppo di lettere del cardinale Scipione Rebiba al nunzio papale a Venezia, G. B. Castagna, del periodo 21 ag. 1574-26 marzo 1575 provano l'interesse dell'Inquisizione romana per il terzo processo del D. (cfr. Nunziature di Venezia, a cura di A. Buffardi, XI, Roma 1972, nn. 166, 214, 227, 232, 243). Il verbale dell'interrogatorio sulla fuga del Nascimbeni è in Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio, busta 30; Ibid., busta 59 (è il processo contro Giorgio Valgrisi); si veda, nella stessa busta, il processo contro Claudio Textor, in cui c'è un'allusione, datata 28 marzo 1587, all'affogamento. Altre menzioni della morte del D. si trovano in Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, ms. Cicogna 1008 (Annali veneti, 1587, maggio); Arch. di Stato di Firenze, Filza medicea 5085 (una relazione da Venezia secondo la quale l'esecuzione ebbe luogo la notte del 9 aprile e il rogo dei libri rinvenuti nella sua casa poco prima del 2 maggio); Basilea, Universitätsbibliothek, mss. G.1.70, Fr. Gr. II. 12 (n. 418); Fr. Gr. II. 23 (n. 520).