DONÀ (Donati, Donato), Girolamo
Nacque a Venezia il 24 luglio 1562 da Pietro di Tommaso e da Chiara Morosini di Giovan Francesco di Marino. Questo ramo della famiglia patrizia era di grama fortuna e dopo la morte di Pietro, scomparso durante la pestilenza del 1576, i figli lasciarono l'abitazione alla Giudecca per stabilirsi in case d'affitto situate nei diversi sestieri della città; in occasione della redecima del 1582, anzi, una loro sorella, Clara, dichiarava di risiedere a Selvazzano, presso Padova, in una casupola circondata da otto campi, "non havendo altro logo dove abitar".
Uno solo dei fratelli, Nicolò, contrasse matrimonio ed ebbe figli; gli altri inseguirono ognuno la propria sorte esercitando le cariche minori dell'apparato amministrativo dello Stato, per lo più nel monotono alternarsi di rettorati nelle cittadine della Terraferma e della Dalmazia.
Ben più lusinghieri, invece, furono gli esordi del D. nel mondo della politica: per qualche mese del 1588 e per il primo semestre dell'anno seguente ottenne il saviato agli Ordini, carica che per solito costituiva l'abituale tirocinio dei giovani appartenenti alle principali famiglie.
La cosa può forse spiegarsi con la fama di letterato che le fonti concordemente attribuiscono al D., congiuntamente all'appellativo di "Tullio" o "Stalio": ma di questa sua presunta cultura non rimane traccia, né tra il fitto bosco delle Accademie allora fiorenti in Venezia, né tantomeno in una produzione a stampa o manoscritta.
Troppo fragili, dunque, i presupposti economici ed intellettuali perché il D. potesse ragionevolmente presumere di sfuggire al grigio destino dei fratelli e intraprendere la scalata ai primari onori della Repubblica, e in effetti il suo nome non ricompare più tra gli elenchi del Segretario alle Voci per un intero decennio; solo il 13 maggio 1599 fu eletto tesoriere della nuova fortezza di Palmanova: una carica, dunque, priva di responsabilità diplomatiche o militari e limitata all'ambito finanziario, con mansioni di ordine esecutivo.
Rimase in Friuli sino agli inizi del 1601, pare con buoni risultati, se vogliamo dar credito alle relazioni dei provveditori generali Alvise Priuli (27 giugno 1600: "II stato di quella Camera si è posto in quel miglior termine che si è potuto , non havendo mancato il Clarissimo tesorier Donato di scriver assiduamente et complir il suo carico con diligentia") e Nicolò Sagredo (maggio 1602: "Hanno servito Vostra Serenità in tempo mio per thesorieri li Clarissimi signor Gieronimo Donado, signor Antonio Mocenigo et signor Benedetto da Cà da Pesaro: il primo fu per un mese et mezzo in circa solamente, et della diligentia nel suo carico come di ogni altra cosa restai pienamente sodisfatto"; cfr. Relazioni dei rettori veneti…, XIV, ... Palmanova).
Tornato a Venezia, il 2 apr. 1601 il D. fu eletto governatore di galera, ma rifiutò, probabilmente nella speranza di conseguire incarico meno gravoso e più consentaneo alle proprie inclinazioni; senonché di li a qualche settimana, il 19 maggio, suo fratello Giuseppe veniva impiccato per ordine del Consiglio dei dieci, sotto l'accusa di aver rivelato segreti di Stato al nunzio pontificio e all'ambasciatore spagnolo.
Il grave episodio si inseriva in uno dei momenti più delicati della storia della Repubblica, che vedeva il patriziato lacerato da forti contrasti sia sull'indirizzo da imporre alla politica estera (ai "vecchi", filospagnoli e propensi alla S. Sede, si opponevano i "giovani", filofrancesi e antiromani), sia sul mantenimento degli equilibri interni di potere. Scrive il Mattei che, quando Giuseppe fu incarcerato, "i suoi più prossimi l'abnegarono, e l'abbandonarono al rigore della giustitia", ma neppure tale prudente presa di distanza valse a salvare l'immagine della famiglia, che fini travolta dallo scandalo.
Le conseguenze furono gravissime per le ambizioni del D., che da allora non ricopri più alcuna magistratura, forse perché incapace, come invece fecero i fratelli, di supplicare l'elezione a infime cariche, in grado solo di garantire emolumenti ai limiti della sussistenza, o forse perché riusci in qualche modo a mettersi al servizio degli scontenti, degli oppositori della linea politica seguita allora dal governo. Sappiamo infatti che, alcuni anni più tardi, stendeva discorsi e scritture per Ranieri Zeno. Aderi integralmente al suo partito, si acquistò la fama di fautore di massime rivoluzionarie, di nemico del Consiglio dei dieci e degli inquisitori, che ai suoi occhi apparivano sempre più come gli autori dell'infamante supplizio comminato al fratello, e assieme della sua mancata ascesa politica. Ecco perché la repressione lo colpì contemporaneamente allo Zeno, nell'estate del 1628, secondo quanto riferisce un anonimo cronista di quegli anni così intensi.
"Ma non contenti quelli del Consiglio di dieci del gastigo solamente del Cavalier Zeno, perché pretendevano sradicar, e levarli anco gl'appoggi, li consultori e li fautori, che egli haveva, almeno li più deboli, per metter timor à gl'altri, essendo la stessa sera della Domenica 23 luglio, che fu presa la retenzione del Cavalier Zeno, stata presa anco quella de ser Gerolamo Donado..., procurando, che la cosa passasse con secretezza per haverlo sicuramente nelle mani, come ad essi molto sospetto, sebben non per auttorità né per titolo, essendo stato già trent'anni Tesoriero a Palma, per età però, per eloquenza, e per dottrina da loro molto temuto, e però non volsero mandar la sera, conforme all'ordinario, a tentar la retenzione a Casa sua; ma procurarono di farlo retener di giorno, che le andò anco fatto; poiché mentre ritornando dal Convento di Frari, ove si era ritirato quella notte, pur per certo sospetto, a Casa sua a S. Vio, affidato dal non esser stata tentata la sua retenzione alla sua Casa la notte, come ne era assicurato, fu egli incapuzzato, e condotto prigione" (cfr. Relatione delli moti interni...).
La drastica azione suscitò in città un clima di sospetto e di paura, che fini per paralizzare i seguaci dello Zeno e dar forza all'apparato repressivo, che trovò nel D. l'occasione di fornire al patriziato rumoreggiante un chiaro esempio di determinazione. Le accuse mosse al D. da parte dei Dieci indicavano ch'egli aveva "più volte, anzi frequentemente, con diverse sorti di persone, così nelle pubbliche piazze in questa Città, come in altri luoghi di fuori, proferite parole seditiose di grandissirno scandalo, et sommamente pregiudiciali al pubblico governo, alla libertà de Consegli, et in sprezzo delle leggi"; fu imprigionato, ma il processo ebbe luogo solo qualche mese più tardi: il 23 ottobre i capi del Consiglio dei dieci e l'avogador di Comun Andrea Vendramin proposero "che 'l sia confinato a star in una prigione serrata alla luce per anni doi continove", ma alla fine del dibattito la pena risultò dimezzata. Qualche giorno dopo inoltre, il 3 novembre, il Consiglio dei dieci accoglieva una supplica del prigioniero, volta a ottenere una temporanea attenuazione del rigore carcerario: "stante le sue indisposifioni, espresse nella supplicatione, et fede de medici hora lette", gli era infatti concesso "di poter star per giorni quindici prossimi in una prigione alla luce..., per potersi curare". Null'altro sappiamo di lui. Morì a Venezia in una casa a S. Vidal, il 6 sett. 1636, "amalato da febre già mesi sei".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. Codici, I, St. veneta 19: M. Barbaro-A.M. Tasca, Arbori de'patritii..., III, c. 357r; Ibid., Avogaria di Comun. Libro d'oro nascite, schedario 170, sub voce; Ibid., Provveditori alla Sanità. Necrologi, reg. 867, ad diem. Per la carriera politica: Arch. Di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Elezioni dei Pregadi, reg. 6, c. 118v; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 831 (= 8910): Consegli, C. 57r; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. Venier, 68: Consegli, sub die 2 apr. 1601; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, XIV, Provveditorato generale di Palmanova, Milano 1979, pp. 94, 124. Sulla vicenda dell'incarceramento e della condanna del D.: Arch. di Stato di Venezia, Consiglio dei dieci. Parti comuni, anno 1628, cc. 284v, 314v, 324r; Ibid., Consiglio dei dieci. Parti criminali, reg. 45, cc. 42r, 67rv, 69v; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 408 (= 7311): Relatione delli moti interni della Repubblica dal 1616 sino il 1630, cc. n.n., sub 23 luglio 1628; Ibid., cl. VII, 774 (= 7284): G. A. Venier, Storia delle rivoluzioni seguite nel governo della Repubblica di Venezia, cc. n.n., sub luglio 1628; Ibid., cl. VII, 2492 (= 10145): Cronache venete, sub luglio 1628; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Codd. Cicogna, 3274: Raccolta di mem. stor. e aneddote per formar la storia dell'Eccelso Consiglio di Dieci, c. 124v. Cfr. inoltre: P. Mattei, Della perfetta historia di Francia, Venetia 1625, p. 365; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche storiche sul patriziato venez. agli inizi del Seicento, Firenze 1958, p. 258; A. Zorzi, La Repubblica del leone. Storia di Venezia, Milano 1982, p. 403.