DISCEPOLO (Discepoli), Girolamo
Nacque a Verona intorno alla metà del sec. XVI da Sebastiano.
La famiglia era entrata a far parte del Consiglio dei nobili di Verona nel 1517, con Francesco, e aveva per arme un libro aperto d'argento in campo verde. Doveva però essere decaduta dalla recente condizione con la riforma del 1572, che vietava ai nobili l'esercizio delle arti meccaniche e della mercatura: non si può spiegare infatti altrimenti la scelta del D. di dedicarsi all'arte della stampa.Iniziò l'attività di tipografo-editore in Verona, nella zona di S. Sebastiano, nel 1584 (secondo il Riva nell'83, ma la sua asserzione non è documentata), in società con i propri fratelli. Di essi conosciamo solo Giorgio, che nel 1588 figura come editore di alcune stampe del D. e nel '95 come libraio a S. Maria Antiqua. La prima stampa nota del D. sono i Sylvarum libri sex di Simon Ogier, elegante in-8° con bel corsivo di 84 mm per 20 linee e fregi silografici. L'edizione si apriva con una prefatoria in versi di Federico Ceruti (1541-1611), uno dei protagonisti della vita intellettuale veronese, appassionato cultore dell'erudizione storico-antiquaria, collezionista di antichità epigrafiche e numismatiche e proprietario di una ricca biblioteca. Il prestigio e la consulenza del Ceruti, se non la sua diretta committenza, furono probabilmente alla base della prima attività del D., la cui produzione nel 1585 si incentrò su tre suoi titoli: Hymnus in Bacchum, In Horatii carmina, epodos, satyras atque epistolas paraphrasis e Ad illustres Philippum et Albertum Fuggeros carmen. Fino ad allora il Ceruti aveva affidato la pubblicazione dei propri scritti a Sebastiano Dalle Donne, che nel '75 aveva stampato uno dei suoi primi lavori, Prosopopeia amphiteatri Romani, e che proprio nell'84 aveva concentrato la propria attività sull'uffima produzione in prosa e in versi del letterato veronese. L'esordio nell'arte del D. segnò la fine delle relazioni tra il Ceruti e i Dalle Donne, che da allora si limitarono a ristampare qualche suo lavoro pubblicato dal Discepolo. Dal 1584 in poi il Ceruti destinò ogni suo scritto alla nuova tipografia ed è probabile che attraverso questo stretto legame egli ne abbia anche influenzato le scelte aziendali ed editoriali.
Sebbene la domanda cittadina fosse alta e la concorrenza, a parte Venezia, fosse rappresentata esclusivamente dai Dalle Donne, il problema era di infrangere il monopolio di questi ultimi e di conquistare un mercato. Il D. puntò fin dall'inizio sulla specializzazione e sulla qualità. Mentre i Dalle Donne avevano allargato la produzione agli avvisi, alle stampe musicali e a quelle in ebraico, il D. scelse di porsi al servizio quasi esclusivo degli intellettuali cittadini, di farsi diffusore delle esperienze letterarie e dell'erudizione storico-antiquaria che caratterizzavano la vita culturale della sua città. Poiché però questa produzione faceva già capo ai Dalle Donne, egli impostò il suo attacco competitivo sulla migliore qualità: i suoi libri si distinsero subito per la bella carta, la varietà di caratteri, il normale impiego di iniziali e fregi silografici, la realizzazione di apparati illustrativi originali. Probabilmente egli aveva investito nella tipografia capitali familiari e contava fin dagli esordi su una buona committenza. Ambizione ed abilità commerciale caratterizzarono dall'inizio la sua attività.
Nel corso del 1585 sciolse la società coi fratelli e realizzò da solo l'Historia dell'origine et successione dell'illustrissima famiglia Malaspina, opera postuma del noto storiografo T. Porcacchi curata dalla vedova Aurora Bianca d'Este. Iniziò anche un duraturo rapporto d'affari con M.A. Palazzolo, che finanziò varie sue edizioni fino al '92; il primo titolo realizzato insieme fu il Melampigo, overo Confusione de' medici sofisti del medico veronese T. Zefiriele Bovio, protagonista di una polemica contro la medicina accademica in favore della iatrochimica di Paracelso. Testo divulgatissimo, oggetto di discussioni e repliche, il Melampigo fu il primo colpo editoriale del Discepolo. Proprio esso, molto probabilmente, gli permise di orientarsi quasi subito verso edizioni di grande impegno: i Sermones di s.Zeno, riediti nel 1586 per volontà di A. Valier, vescovo di Verona e dal 1583 cardinale, e l'Episcopus et cardinalis (1586) nonché la Vita Caroli Borromei (1586) dello stesso Valier. Nella dedicatoria ai lettori della Vita il D. rivendicò tacitamente il primato di stampatore cittadino: affermava infatti di aver pubblicato quell'opera in risposta alla generale attesa e al grande desiderio di leggerla di tutti i Veronesi. Il suo secondo colpo editoriale fu il Torrismondo del Tasso. Nel suo anno d'uscita, il 1587, la tragedia ebbe ben nove diverse edizioni in varie città d'Italia. Il D. non solo riuscì ad accaparrarsi l'opera, ma fu anche l'unico ad apprestarne con singolare rapidità una stampa illustrata.
Accanto ai titoli di successo e di impegno civico si infittiva intanto la serie delle opere di letterati, poeti, storici ed eruditi veronesi. Il Ceruti restava l'autore più prolifico, ma a lui si affiancavano esordienti altrettanto alacri, come A. Grandi, C. Campana, N. Rossi, scrittori d'occasione, come il conte A. Romei, e soprattutto verseggiatori. L'ingegno più vivace fu però O. Pescetti, un toscano maestro di grammatica a Verona. Questi dapprima partecipò ai dibattiti letterari locali, ma nel '90 si inserì nella polemica antitassiana difendendo le posizioni di L. Salviati, l'accademico Infarinato, dagli attacchi di G. Guastavino, Del primo Infarinato. Dalla pubblicistica letteraria passò poi all'impegno civico con l'Orazione dietro al modo dell'istruire la gioventù (1592), in cui propugnava l'istituzione di una pubblica biblioteca cittadina, nello stesso anno compose anche una tragedia, Il Cesare, di scarso pregio ma di qualche successo. Altro interessante poligrafo fu C. Spontone, che esordì con Differenze poetiche di Torquato Tasso (1587) e con il poemetto Nereo (1588), partecipò in vario modo ai dibattiti letterari e nel '90 teorizzò di politica ne La corona del principe.
Più che dal poligrafismo e dall'eco dei casi letterari nazionali, la cultura veronese era però caratterizzata da un accentuato interesse per la storiografia e le antichità locali e da un diffuso gusto per il collezionismo erudito. Tutta questa produzione fece capo al D., che proprio grazie ad essa scavalcò definitivamente i Dalle Donne.
Con il consueto talento egli realizzò già all'inizio della sua attività, nel 1586, un'impresa di forte peso promozionale: la traduzione italiana del De origine et amplitudine civitatis Veronae di T. Saraina, la prima storia municipale veneta, pubblicata nel 1540 da A. Putelleto e divenuta nel frattempo un testo fondamentale. Se ne fece editore Dionigi Filiberi, e la versione "in lingua toscana" fu affidata al Pescetti; nella prefazione egli annotava di essere stato sollecitato dal D., dal Filiberi e da G. Semprevivo, cancelliere del Valier, e di aver riservato alla traduzione, tra i suoi affannosi impegni, una sola ora al giorno per appena venti giorni. Oltre al Dell'origine..., il D. pubblicò nell'86 anche Le bellezze di Verona di A. Valerini; nell'87 seguì la Tavola di quanto è stato raccolto... intorno la nobiltà, antichità et fatti della città di Verona di A. Canobbio, primo abbozzo di una ambiziosa ma mai ultimata storia generale della città.
L'impegno municipale si rivelò una scelta felice e valse al D. committenze sempre più prestigiose: nel 1588 stampò gli Statuta civitatis Veronae, patrocinati dal Palazzolo, e gli statuti della Valpolicella, e nell'89 i Capitoliet ordini del Sacro Monte di pietà di Verona, emanati dal Valier.
Anche il clero veronese predilesse l'officina del D., che pubblicò soprattutto contributi alla storia ecclesiastica cittadina, come l'Historia delle sante vergini Teuteria e Tosca di B. Peretti, parroco di S. Teuteria (1588), testi di devozione e trattatelli di biblistica di L. Zanchi (1589), F. Panigarola (1586) e del cancelliere Semprevivo (1589). A tali titoli affiancò però ben presto imprese editoriali di grande prestigio: la riedizione delle Constitutiones del grande vescovo veronese G. M. Giberti curata dal Valier, suo successore (1589), e l'inedito postumo di O. Panvinio De primatu Petri et Apostolicae Sedis potestate (1589), trattato di storia ecclesiastica destinato alla confutazione dei Centuriatori di Magdeburgo e rivisto per le stampe dal cardinale M. A. Colonna. Le due importanti edizioni gli valsero la qualifica di "impressor episcopalis", già concessa dal vescovo Giberti ai Nicolini da Sabbio e al Putelleto. Di essa il D. si onora in almeno due frontespizi del 1590: nel breve di Gregorio XIII al Valier Super visitandis civitatibus et diocesibus Patavina et Vicentina e nella prima edizione, postuma, dell'Orationum volumen secundum di M.-A. Muret.
Tipografo editore ormai noto per vari successi e prediletto dagli intellettuali e dal clero veronesi, il D. realizzava nel 1590 un eccezionale fatturato di venticinque titoli. Letteratura e poesia, storiografia, erudizione antiquaria ed ecclesiastica rimanevano le principali voci del suo catalogo, che si andava però allargando alla libellistica locale, a sempre più numerose raccolte di sonetti, stanze e madrigali d'occasione e d'encomio e perfino a talune forme di letteratura di consumo: nel 1588, ad esempio, pubblicò gli Avvisi della Gina et Giappone del fine dell'anno 1586 diramati dai missionari gesuiti. Tra le sue novità di maggior richiamo fu invece la Breve descrittione della città di Gerusalemme, prima traduzione italiana, a cura di P. F. Toccolo, di una recente guida geografico-biblica dell'olandese Christian von Adrichum, (Adricomio 1590, riedita nel '92).
Tradusse e divulgò anche testi scientifici, come gli studi del matematico veronese G. Padovani sulla riforma gregoriana dell'anno e sugli oroscopi, e anche dalla stenta speculazione filosofica cittadina riuscì a trarre qualche titolo, ad esempio le pereunti Diatribae de rebus philosophicis di G. B. Pona (1590).
Mentre si infittivano di anno in anno le bibliografie di F. Ceruti, A. Grandi, A. Valerini, A. Canobbio e O. Pescetti e venivano avanti nuovi rimatori (L. Ficieno, E. Pasquini, D. Salutello, A. Zonzio) e ancor più nuovi studiosi di biografia e di araldica (C. Campana, A. Lisca, G. F. Tinto), l'officina del D. fu pressoché monopolizzata, dal 1593 in poi, da T. Da Monte, signore di Cavalcaselle e Ca'Macisi. Questo nobile proprietario terriero aveva ingaggiato una polemica con Venezia circa la capacità irrigua dell'Adige.
Si trattava di un problema di vecchia data: sebbene il fiume fosse divenuto nel corso dei secoli quasi esclusivamente una via di comunicazione e di trasporto, pure ancora nel 1556 il doge Lorenzo Priuli aveva consultato Cristoforo Sorte, studioso di idraulica e cartografia, sulla possibilità di irrigare con le acque dell'Adige l'aridissima campagna veronese. Il Sorte si era espresso negativamente, ma il suo parere era sembrato inaccettabile al Da Monte, che si fece immediatamente paladino dell'opportunità di regolare il corso dell'Adige tra Verona e Legnago in modo tale da irrigare l'agro veronese, bonificare le valli, aprire un nuovo tratto navigabile tra Legnago e il Garda. Per la sua battaglia, scatenata da interessi particolari ma condotta con dedizione assoluta, il Da Monte scelse il mezzo della stampa, affidando ad essa sia la documentazione generale sia l'informazione sullo svolgimento della diatriba sia la libellistica spicciola.
Il D., divenuto il portavoce ufficiale dell'intero affaire, andò così via via stampando i diversi progetti del Da Monte e le sue prese di posizione, i contributi dei suoi consulenti Antonio Glisenti e Benedetto Venier e i compendi di documenti presentati alla Signoria di Venezia. Lo spoglio di tali pubblicazioni non fornisce alcuna notizia sui rapporti tra il Da Monte e il D., mentre sarebbe molto interessante conoscere quali accordi economici e politici intercorressero tra loro e soprattutto approfondire quale sia stato il ruolo del D. nella conduzione della polemica. Si può tuttavia ipotizzare che egli non ne abbia tratto vantaggio. L'avvio del sodalizio col Da Monte coincise infatti con un repentino abbassamento degli standards qualitativi delle sue stampe: la carta divenne più ruvida e spessa, la varietà di caratteri si ridusse, i titoli correnti andarono sparendo. La produzione rimase elevata - nel '94 e nel '96 si contano ancora almeno ventiquattro titoli - ma altro sintomo di crisi fu il cessare di finanziamenti esterni. Mentre fino al '92 molte edizioni furono patrocinate dal Palazzolo ed altri (G. B. Ciotti, D. Filiberi, F. Borghetti), da quella data in poi gli oneri della produzione ricaddero quasi interamente sul Discepolo.
Tuttavia la sua azienda resistette per vari anni sia all'ipotetico isolamento provocato dalla presa di posizione antiveneziana sia alla generale crisi della stampa di fine secolo: se Verona continuò ad inviare libri alla fiera di Francoforte fu soprattutto per merito del Discepolo. Nemmeno le sue direttive editoriali subirono mutamenti di rilievo. Gli autori prediletti gli riservarono ancora varie novità, la nuova Istoria di Verona di G. Della Cotte, uscita nel '94, fu così richiesta da venire ristampata già nel '96, né mancarono altri titoli di erudizione e di storia profana e sacra, o rime, o manualetti di devozione. Il D. eseguì ancora committenze di prestigio, quale l'edizione degli Statuta civilia domus mercatorum Veronae (1598) e la ristampa dei Capitoli del Monte di pietà (1595), e non si lasciò sfuggire novità di richiamo, ad esempio le due lettere dal Giappone del gesuita Organtino Bresciano (1598).
Pur continuando a coltivare i settori più propri della sua editoria, la passione del D. si concentrò però nell'ultimo quinquennio veronese sui testi di medicina e di scienze naturali.
Valendosi della consulenza del Bovio, egli lanciò due nuovi autori, Andrea Chiocco e Francesco India, tradusse in italiano uno dei primissimi trattati di chirurgia di guerra, il fondamentale Trattato delle ferite degli arcobugi di B. Maggi (1594), e ristampò il Compendio ... intorno ai bagni di Caldiero di V. Minardi (1594). Di argomento medico-naturalistico fu una delle sue più belle edizioni, il De reconditis et praecipuis collectaneis a Francisco Calceolario Veronensi in Musaeo adversatis di G. B. Oliva (1594), descrizione delle collezioni di botanica, zoologia e mineralogia del Calzolari con in appendice l'Iter Baldi dello stesso.
Nel 1598 il D. interruppe l'attività e lasciò Verona. Le ragioni sono sconosciute, anche se le ipotesi possono essere varie: la crisi dell'arte in tutto il dominio veneto, le ripercussioni della polemica sull'Adige, profferte da altri Stati, una crisi finanziaria, che spiegherebbe anche la vendita dei suoi materiali ad Angelo Tamo, rimasto l'unico stampatore in Verona dal 1598 al 1630, o infine la morte della moglie, Felice De Marinis, e le esigenze dei quattro figli, Pietro, Laura, Francesco ed Agostino. Tra il 1598 e il 1603 manca comunque ogni notizia su di lui.
Nel 1603 ricompare a Viterbo come stampatore del Comune. Successe ad A. Colaldi, morto nel febbraio di quell'anno. Prima di lui erano stati chiamati due tipografi di Roma, l'udinese G. Talavini, detto il Todeschino, e il romano A. Fei, ma nessuno dei due aveva accettato. La candidatura del D. fu certo patrocinata dal Talavini, che in precedenza era stato un suo autore, e doveva essere intervenuto anche G. Mascardi, un altro veronese tipografo in Roma. Al momento dell'elezione, il 12 agosto, priori e deputati alla stampa lo vincolarono ad aprire bottega entro settembre e con almeno due tipi di caratteri; la patente di tipografo gli fu rilasciata il 12 dicembre e i caratteri richiesti divennero tre: garamond, comune e silvio. Nella dedicatoria di una delle sue primissime stampe, il Trattato dei bagni di Viterbo di C. Crivellati (1604), il D. affermava peraltro di essere giunto a Viterbo "con novi caratteri". La sua officina sorgeva nell'attuale via Cavour, ed incamerò parte dei materiali del Colaldi. Nel corso del 1603 egli stampò un libretto ascetico e un pronostico e avviò gli Intrichi d'amore del Tasso. Negli anni successivi si dedicò soprattutto a commedie, drammi, rime e agiografie di letterati locali, ad avvisi e stampe d'occasione, a qualche scritto di grammatica, devozione e medicina.
Nel 1606 si risposò con una facoltosa vedova bolognese, Francesca Ariosto, che, oltre a portargli una dote di 570 scudi, formò con lui una società tipografica. L'anno seguente acquistò per 100 scudi da Lepido del fu Stefano Facii da Teramo, stampatore in Roma, un nuovo torchio e un'altra serie di caratteri testo-paragone, aprendo così un'officina in Roma. Vi si trasferì nel 1608, affidando la stamperia di Viterbo ai figli Pietro e Agostino (Francesco era morto nel 1606). Mentre a Viterbo continuava ad occuparsi di letteratura, a Roma dovette stampare quasi esclusivamente opuscoli devoti, guide per pellegrini e stampe popolari: pochissimo resta però di tale produzione, destinata a largo smercio e al consumo immediato.
Nel 1609 chiuse la bottega romana, ma nel '13 la riaprì e stampò, talora insieme con Pietro, altri opusculi ed avvisi. Sebbene ben lontana dalla dinamicità del periodo veronese, la sua attività nel Lazio era ormai avviata e gli affari in crescente profitto: alla figlia Laura, che andava sposa di Bernardino Diotallevi, legatore di libri e futuro tipografo, il D. poté assegnare nel 1614 una dote di 550 scudi. Il 22 genn. 1515 morì a Roma e nella carica di stampatori del Comune furono confermati i due figli.
Il D. fu il maggior tipografo veronese del suo secolo, sia per numero di edizioni - il Riva ne censisce almeno 249 -, sia per la loro buona qualità e bellezza, sia per l'importanza e la novità di taluni titoli. Sulla cultura veronese esercitò un ruolo promozionale impareggiabile, favorendone quasi tutte le espressioni. Contribui in modo decisivo allo sviluppo della storiografia cittadina e delle ricerche erudite, incoraggio la produzione medica e naturalistica, cercò punti di contatto tra la produzione locale e i grandi dibattiti della letteratura nazionale. A Viterbo e a Roma la sua attività fu molto più modesta - il Carosi censisce centotrentatré edizioni, ma le stampe romane devono essere state molto numerose - e legata a necessità commerciali, tuttavia egli incoraggiò anche qui, in qualche modo, la produzione letteraria locale.
Nell'officina veronese il D. utilizzò vari tipi di carattere romano e cinque tipi di corsivo, di nun 84, 130, 97, 116 e 67; fin dagli inizi dispose inoltre di caratteri greci e di due eleganti serie di iniziali e fregi silografici, l'una a figurazioni zoomorfe, l'altra a lettere bianche su fondo nero.
Le marche del periodo veronese furono tre. Nella prima, ovale, adottata dall'apertura della stamperia, un'aquila tiene tra gli artigli e col becco un aquilotto, probabilmente per insegnargli a volare, dato che il motto è "Natura iubente et arte exequente". Nella seconda, ovale entro ampia cornice, introdotta nel 1585, il genio dell'Industria salva dalle acque la Fortuna, secondo il motto "Fortuna forti sublevanda Industria". Nelle pubblicazioni per il Da Monte adottò infine una terza marca ovale raffigurante una balestra, col motto "Moderata passio". A Viterbo e a Roma riusò le prime due marche veronesi ed inoltre due marche nuove: nella prima, rettangolare entro cornice, una dea presso una roccia tiene nella destra un uccello senza motto, nella seconda figurano tre cani da caccia ad uno dei quali una mano lancia un uccello, col motto "Vis vincitur arte". Entrambe furono riprese dal Diotallevi, la seconda anche da Pietro e Agostino Discepolo.
Fonti e Bibl.: A. Cartolari, Famiglie già ascritte al nobile Consiglio di Verona, Verona 1854, I, p. 94; II, p. 37; G. B. C. Giuliari, La biblioteca veronese, Verona 1858, ad nomen; Id., Della tipografia veronese, Verona 1871, pp. 68-71; A. Dresler, Ober Einzelzeitungen der Drückerei Discepoli in Viterbo 1615-1650, in Börsenblatt für deutschen Buchhandel-Frankfurter Ausgabe, n. 5, 16 genn. 1951, p. 37; Il Calendario di Viterbo, 1956, Viterbo 1956 (maggio-agosto); Mostra storica del libro viterbese a tutto il sec. XIX, a cura di A. Carosi, Viterbo 1957, pp. 29-35; A. Carosi, G., Pietro e Agostino Discepoli (1603-1631), Viterbo 1962, pp. 815, 33-94; D. E. Rhodes, La stampa a Viterbo 1488-1800, Firenze 1963, pp. 13 s., 21 s., 37-61; G. F. Viviani, L'"affare importantissimo" dell'Adige nella documentazione a stampa, in Una città e il suo fiume. Verona e l'Adige, Verona 1977, II, pp. 882-886; F. Riva, Tipografi ed editori dal 1472 al 1800, in Cultura e vita civile a Verona, Verona 1979, pp. 344, 348 s.; D. E. Rhodes, An outline of Veronese bibliography, in Id., Studies in early Italian printing, London 1982, pp. 246-247; E. Vaccaro, Le marche dei tipografi ed editori ital. del secolo XVI nella Biblioteca Angelica di Roma, Firenze 1983, pp. 268 s.; T. Pesenti, Stampatori e letterati nell'industria editoriale a Venezia e in Terraferma, in Storia della cultura veneta, 4, I, Il Seicento, Vicenza 1984, pp. 110, 126; G. Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae, Florence 1905, pp. 515, 522; F. Ascarelli, La tipografia cinquecentina ital., Firenze 1953, p. 223.