GIROLAMO di Giovanni da Camerino
Non è nota la data di nascita di questo pittore originario di Camerino. Il più antico documento sulla sua attività è un affresco raffigurante la Madonna col Bambino tra i ss. Antonio da Padova e Antonio abate, eseguito nel 1449 nella chiesa di S. Agostino a Camerino e oggi conservato nella locale Pinacoteca.
Il dipinto, reso noto da Berenson, rivela una mano già chiaramente attenta alle novità pittoriche del Rinascimento toscano, in particolare alla sintesi compositiva e al luminismo di Domenico Veneziano (Domenico di Bartolomeo) e Piero Della Francesca, che G. mostra di conoscere e saper reinterpretare nell'ombra gettata dalla Madonna e dal Bambino sull'absidiola del trono, nella crescente incidenza della luce nella definizione della conchiglia, nella rigorosa visione geometrica dello spazio prospettico, elementi che sapientemente convivono con citazioni di sapore tardogotico, come gli alberelli visibili oltre il muricciolo che chiude la sacra conversazione.
Nella fase aurorale del maestro, in un momento verosimilmente anteriore al suo primo lavoro documentato, vanno collocate le frammentarie figure dei Ss. Venanzio, Giacomo e Lucia (Camerino, Museo diocesano), staccate dalla chiesa di S. Niccolò di Valcaldara, nel Comune di Montecavallo, ove rimane ancora qualche altro lacerto.
Tali figure, elegantemente azzimate, non prive, specie la s. Lucia, di suggestioni pierfrancescane, sono forse il primissimo numero del suo catalogo; rivelano, pur nell'acerba esecuzione, un disegno costantemente attento ai valori plastici e una freschezza espressiva nuova, desunti non tanto da quei predecessori camerti, come Arcangelo di Cola, quanto da artisti che mostrano di aver compreso più a fondo le soluzioni pittoriche rinascimentali.
La messa a fuoco di una nuova personalità, quella del cosiddetto Maestro del Trittico di Camerino, autore nel 1454 della Crocifissione con i ss. Michele Arcangelo e Giovanni Battista nel locale Museo diocesano (a lungo attribuita allo stesso G., ma da restituire, insieme con la Crocifissione di Brno a questo anonimo pittore), potrebbe aiutare a comprendere gli esordi di G., che forse svolse il suo alunnato accanto a questo artista, aggiornatosi sui migliori testi toscani, se non direttamente, quantomeno a Perugia, dove potrebbero spettargli i frammentari affreschi di S. Maria Nuova (Minardi). La città umbra rappresentò forse anche per G. il primo luogo d'incontro con le novità di Domenico Veneziano, qui presente nel 1439 insieme con il giovane Piero; ma l'attenzione alle problematiche luministico-spaziali associata a un plasticismo marcatamente masaccesco dell'Ascensione presso Patrick Matthiesen a Londra, datata poco prima del 1449 (Minardi), denuncia anche un probabile soggiorno a Firenze.
Di tale esperienza persiste un vivace ricordo nel S. Nicola della cappella delle Ss. Braccia nella basilica del santo a Tolentino. Il lacerto d'affresco, da collocare attorno al 1450, rivela una cultura ancora permeata di umori toscani, completamente esente da quelle infiltrazioni padovane che è possibile cogliere nelle opere da scalare dopo quell'anno.
Il 21 nov. 1450 G. è, infatti, presente a Padova, dove due anni prima lo aveva preceduto il conterraneo Giovanni Boccati (Giovanni di Pier Matteo). Qui risulta iscritto con la qualifica di "maestro" nella locale matricola dei pittori (Moschini); questa registrazione potrebbe sottintendere una presenza in città piuttosto lunga e dei significativi impegni di lavoro, dei quali, a oggi, nulla rimane.
La mano di G. è stata riconosciuta da Longhi (1926; 1927), con una serrata disamina di carattere esclusivamente stilistico, nella cappella Ovetari della chiesa degli eremitani. Qui l'artista avrebbe eseguito l'affresco raffigurante il Commiato di s. Cristoforo dal re, danneggiato dai bombardamenti nell'ultimo conflitto mondiale e parzialmente ricostruito.
Tale proposta suscita oggi qualche perplessità, tenuto conto anche della mancata citazione del pittore camerte nei pagamenti per gli affreschi Ovetari, dove sono menzionati tutti gli altri artisti impegnati nell'impresa. Questa lunetta, eseguita da una mano diversa da quella all'opera nell'attigua scena con S. Cristoforo davanti al demonio, certamente da attribuire ad Ansuino da Forlì, potrebbe essere ricondotta a Bono da Ferrara, firmatario del sottostante S. Cristoforo che traghetta Gesù Bambino; Bono e Ansuino sarebbero così rispettivamente autori dei registri verticali sinistro e destro, posti al di sopra dei mantegneschi Martirio e Trasporto del corpo di s. Cristoforo (Daffra - Di Lorenzo). Ne consegue un deciso ridimensionamento della lettura longhiana, secondo la quale G. avrebbe portato a Padova la lezione pierfrancescana, verosimilmente invece divulgata dal ferrarese Bono (Todini).
Da questo momento, la carenza di date e di opere documentate rende estremamente difficoltoso il tentativo di presentare in sequenza cronologica i lavori di G., per collocare i quali si hanno, allo stato attuale delle ricerche, soltanto i punti fermi costituiti dall'affresco di S. Francesco a Camerino del 1462, dal gonfalone di Tedico dell'anno successivo, dal polittico di S. Pellegrino di Gualdo Tadino del 1465 e dall'affresco staccato dalla chiesa di S. Agostino a Camerino, oggi in Pinacoteca, eseguito entro il 1473, anno di morte del committente Melchiorre Bandini.
Intorno al 1455 dovrebbero datarsi i malandati affreschi della chiesa di Castello di Fiordimonte, raffiguranti Cristo crocefisso tra la Madonna e i ss. Elena, Ansovino, Giovanni Battista, Bartolomeo e Nicola da Bari; in contiguità cronologica possono essere posti il frammento con volto di Angelo della Pinacoteca di Camerino, il Crocifisso nella parrocchiale di Castel San Venanzio (che, oltre a ricordi del Maestro del Trittico di Camerino, denuncia la conoscenza delle opere padovane di Donatello), quello nella chiesa del Crocifisso a Pioraco e la tavoletta scozzese di stesso soggetto (collezione privata: Minardi, p. 19 fig. 6).
Immediatamente dopo il rientro da Padova va collocato il S. Giovanni Battista proveniente dalla collezione Campana, esposto nel Musée du Petit Palais ad Avignone, dove la lezione mantegnesca trapela nell'archivolto a lacunari, scorciato di sotto in su, che accoglie la figura del santo, poggiato su un parapetto oltre il quale si scorge il committente. Cronologicamente vicina a quest'ultimo dipinto è la più "padovana" delle opere di G., la Madonna Cini, oggi nella Galleria nazionale delle Marche a Urbino, "uno degli accordi più lucidi e più sottilmente calibrati fra Piero della Francesca e Padova" (Zeri, 1961, p. 79), forse un ex voto dipinto "per grazia ricevuta" dallo stesso G., come lascerebbero intuire il tono dell'iscrizione nel cartiglio e il pennello nel vasetto di colore in secondo piano (Ferriani, 1992).
Con la tavola di Avignone la Madonna urbinate condivide i due putti schiavoneschi che si affacciano dalla trabeazione e il gesto del Bambino benedicente, desunto da quello del Battista. Ai lati del trono, con gli squarcioneschi vasi di fiori simmetricamente disposti, si stagliano due angeli dal nitido profilo pierfrancescano, parenti stretti di quei discendenti di Adamo, affrescati entro il 1458 da Piero Della Francesca nel primo grande riquadro con Storie della Vera Croce in S. Francesco ad Arezzo. In questa sintesi tra volumetrie e luminismi pierfrancescani e ricordi squarcionesco-mantegneschi si inseriscono echi urbinati nel vaso che sovrasta il trono, puntualmente desunto dalla decorazione della sala degli Uomini d'arme del palazzo ducale, affrescata da Giovanni Boccati verosimilmente tra il 1458 e il 1460.
Di questo linguaggio così ricco di citazioni e rimandi rielaborati con una schiettezza espressiva assolutamente originale, la prova più alta è la bellissima Annunciazione della Pinacoteca di Camerino, già nel convento dei minori osservanti di Sperimento, forse commissionata da Giulio Cesare Varano, ritratto con la figlia Camilla sulla sinistra del dipinto (Zampetti, 1988).
La tavola rivela, sullo scadere del sesto decennio, la mano di un artista attento sia ai moduli pierfrancescani, per esempio nell'arcangelo Gabriele, sia a quanto messo in opera agli eremitani tra il 1448 e il 1455. Da questi affreschi il pittore camerte trae appunti che, diligentemente annotati, mette in bella nella tavola di Sperimento, un'opera che, per dirla con Zeri (1961, p. 78), "punta sulla cappella Ovetari a ogni passo". Le scelte cromatiche, l'accentuata fuga prospettica, le volte con lacunari ornati di roselline, i fregi scolpiti nei pilastri, gli arredi della camera della Vergine, addirittura i delfini in finto rilievo che ornano le finestre di uno dei palazzi sulla sinistra, sono citazioni puntuali che l'artista reimpiega nell'assemblare una scena in cui persino la colonna bronzea in primo piano, immaginario sostegno alla Pietà nella cimasa, diventa un omaggio alla cultura padovana, per la fedele ripresa dai lavori donatelliani per l'altare del santo nella basilica antoniana. Tali prestiti si mescolano in un'impaginazione in cui puri esempi d'architetture quattrocentesche, come gli arconi e le volte a lacunari, si ergono schietti contro il tardogotico muricciolo di cinta che lascia scorgere un giardinetto alberato, tanto caro all'Angelico (Guido di Pietro) e a Benozzo Gozzoli (Benozzo di Lese). Alla cultura toscana rimanda, del resto, anche la lippesca Pietà, dove G. pone, accanto ai dolenti, il proprio, bellissimo, autoritratto.
Il rapporto con gli artisti impegnati sui ponteggi della cappella Ovetari, lo studio delle opere padovane di Donatello e Filippo Lippi (i perduti affreschi del palazzo del Podestà), nonché probabilmente la conoscenza, diretta o mediata, dei lavori ferraresi di Piero Della Francesca, caratterizzano anche le opere di piccolo formato eseguite da G. a cavallo tra sesto e settimo decennio del Quattrocento: la Madonna della collezione Kress (F.R. Shapley, Paintings from the Samuel H. Kress collection. Italian schools. XV-XVI century, London 1968, p. 6 fig. 6), presentata oltre un parapetto marmoreo come il S. Marco di Mantegna (Francoforte, Städelsches Kunstinstitut); l'Annunciazione donata da Paolo Volponi alla Galleria nazionale delle Marche a Urbino, ricomposta utilizzando due tavolette forse in origine parti superiori di un trittichetto; e la raffinatissima Madonninacon i ss. Giovanni Battista e Francesco (Milano, Pinacoteca di Brera), sicuramente destinata alla devozione privata e forse a qualche stanza della residenza camerte dei Varano (Daffra).
Nel 1462 G. affrescò nella chiesa di S. Francesco a Camerino la lunetta con la Madonna col Bambino in trono tra i ss. Francesco, Giovanni Battista, Antonio Abate, Venanzio e il committente, oggi staccata e conservata nella Pinacoteca cittadina. Qui i ricordi padovani si colgono ancora nel grande arcone a lacunari che inquadra la sacra conversazione, nel trono scorciato di sotto in su, fino al mantegnesco cherubino posto a ornare il timpano marmoreo; mentre le figure tendono ad assumere cadenze più solenni e ieratiche, come nel gonfalone di Tedico (1463), ora nella Pinacoteca di Camerino, dove la Madonna della Misericordia, al di là dello scontato confronto con l'analogo tema pierfrancescano, risponde nella sua iconicità ai vincoli imposti dalla committenza e forse dalla necessità di attenersi a un modello preesistente.
Verosimilmente entro il 1462 il maestro condusse a termine anche il grandioso polittico (Madonna col Bambino e santi) per la chiesa di S. Agostino a Gualdo Tadino, scomposto nel XIX secolo e attualmente ricomposto nella Pinacoteca milanese di Brera.
Di tale datazione così alta è prova l'eco immediatamente suscitata nei pittori gualdesi, in particolare in Matteo di Pietro che al lavoro di G. s'ispira nel trittico per le monache francescane di S. Margherita, firmato e datato in quell'anno. Nel polittico di G. convivono perfettamente la lezione padovana, specie nei santi del secondo registro, affacciati da un mantegnesco parapetto marmoreo, e quella luministica pierfrancescana, ormai perfettamente apprese e rielaborate. Un aggiornamento costante sui testi di Piero Della Francesca si coglie nel S. Agostino, evidentemente studiato, al pari del coevo S. Pietro nel Museo Bardini, guardando al S. Agostino di Lisbona di Piero, richiamato da dettagli come il pastorale in cristallo di rocca, le figure di santi intessute nel bordo del piviale, ma soprattutto, al di là di queste mere citazioni, nell'impianto complessivo della figura, con la potente definizione dei volumi scanditi da una luce abbagliante. La stessa Madonna col Bambino dello scomparto centrale presenta numerose analogie con quella al centro del polittico perugino di Piero del 1467-68 che, per palesi questioni di cronologia, non poté essere nota a G. nel momento in cui attendeva al lavoro per gli agostiniani di Gualdo Tadino. Così forti sono, tuttavia, le rispondenze nel trono, dalla complessa struttura architettonica, nella solenne monumentalità della Madonna da lasciar presupporre, come suggerisce Minardi, l'esistenza di un prototipo pierfrancescano rielaborato a Perugia da Piero e noto a G. ad apertura del settimo decennio del secolo.
In relazione cronologica e stilistica con il fulgido polittico braidense, possono essere posti il S. Pietro del Museo Bardini di Firenze (sull'autenticità del S. Biagio sono state recentemente espresse riserve, sulle quali si veda Minardi), ove torna lo stesso interesse per i tessuti preziosi intrisi di luce, la Madonna col Bambino in collezione privata resa nota da Paolucci (fig. 28), ulteriore testimonianza della raffinata riflessione di G. sulla lezione pierfrancescana degli anni Sessanta, e lo stendardo processionale a due facce di Sarnano, dove l'artista, mentre rielabora modelli di repertorio nella Crocifissione, nell'Annunciazione si mostra aggiornato sulla cimasa del polittico perugino di Piero.
A partire da questo momento, tuttavia, G. elabora degli schemi di sacre conversazioni sempre più standardizzati, nei quali reinterpreta gli ormai lontani ricordi padovani e i più recenti echi pierfrancescani con uno sguardo attento alla tradizione locale, rinvigorita dal rientro a Camerino nel 1463 di Giovanni Boccati. Di questa lenta involuzione i primi cenni si colgono nel polittico con la Madonna col Bambino e santi per la parrocchiale di S. Pellegrino nei pressi di Gualdo Tadino del 1465, dove accanto a brani di altissima qualità, come la testa dell'evangelista Giovanni e il s. Michele Arcangelo, si insinua una certa stanchezza e pesantezza di forme che in maniera più evidente si avverte nella Madonna col Bambino tra i ss. Battista, Fortunato, Nicola da Bari e Michele Arcangelo, già nella chiesa di S. Michele Arcangelo a Bolognola e oggi nel Museo romano del Palazzo di Venezia.
Sullo scadere del settimo decennio del Quattrocento vanno collocate la Madonna della Misericordia (1468 circa) nella chiesa di Villa di Cessapalombo e l'affresco staccato dall'edicola della "Figuretta" in località Malvessi di Bolognola (sulla parete di fondo, Madonna col Bambino e angeli; sulla parete laterale destra, i Ss. Caterina, Antonio Abate, Nicola da Tolentino; su quella a sinistra, S. Sebastiano e Madonna della Misericordia; sulla volta, Cristo in pietà), oggi esposto nella Pinacoteca di Camerino, dove dai rinnovati contatti col Boccati discendono gli angeli musicanti disposti intorno al trono e certe volute di panneggi che via via perdono le colonnari pieghe pierfrancescane. Di certo marcato espressionismo umbro l'eco si avverte nei santi, specie nell'accentuata caratterizzazione fisionomica del S. Nicola da Tolentino e del S. Antonio Abate, ove si coglie la particolare inflessione studiata sui polittici inviati dall'Alunno, Niccolò di Liberatore, a Cagli nel 1465, a Montelpare nel 1466 e a Sanseverino nel 1468.
Tra la fine del settimo e l'inizio dell'ottavo decennio, e comunque non oltre il 1473, anno di morte del committente qui raffigurato, si data l'affresco con la Madonna col Bambino tra i ss. Girolamo, Giovanni Battista, Agostino, Venanzio e il donatore Melchiorre Bendini, eseguito nella chiesa di S. Agostino e oggi in Pinacoteca a Camerino.
Il dipinto, forse l'ultimo dei lavori noti di G., ostenta un trono prospetticamente scorciato, attorno al quale si dispongono i santi, in cui si coglie lo sforzo di definire plasticamente le forme attraverso l'azione della luce. A quest'ultima fase dovrebbe appartenere anche la Crocifissione della Galleria nazionale delle Marche a Urbino. La piccola cuspide denuncia nel disegno vigoroso dei dolenti, nel nudo del Cristo, modellato dalla luce, la stessa matrice di quelle dipinte a Fiordimonte e a Pioraco, ancora sull'onda delle novità padovane di Donatello; mentre di certo espressionismo folignate, alunnesco in particolare, risente il s. Giovanni nella smorfia di contrizione del volto accentuata dalle mani forzatamente serrate.
L'aver espunto dal catalogo di G. il polittico della chiesa di S. Maria del Pozzo a Monte San Martino, datato 1473 e a lungo ritenuto la sua ultima opera nota, per assegnarlo a un anonimo collaboratore di bottega, forse il Maestro delle Macchie, segnalato da Vitalini Sacconi (1975), di cui G. avrebbe siglato il lavoro (Daffra - Di Lorenzo gli attribuiscono anche la "arrovellata" Crocifissione di Urbino), consente di tracciare un profilo nel quale, pur alternandosi toni aulici e popolari, specie negli affreschi disseminati un po' in tutto il Camerte, non si raggiunge mai una parlata dialettale e prosaica.
La data di morte di G. non è nota.
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