DE VECCHI, Girolamo
Di origine senese, nacque nei primi decenni del sec. XVII.
Abbiamo pochissime notizie della sua vita fino al 1655: laureatosi in utroque iure, divenne prima referendario, e poi protonotaro apostolico, e fu creato abate di S. Maria di Montereale (Mondovi). Nell'ottobre 1655 fu nominato internunzio apostolico a Bruxelles. Il D. si pose in viaggio per le Fiandre nel gennaio 1656 e lungo il cammino rese visita di cortesia al granduca Ferdinando II di Toscana. Giunto a Bruxelles il 1º marzo, il 5 fu ricevuto ufficialmente dal governatore, l'arciduca Leopoldo Guglielmo d'Austria.
La nunziatura del D. durò circa dieci anni, e innumerevoli furono le questioni di cui ebbe ad occuparsi; si possono individuare tre aspetti fondamentali della sua missione: la lotta contro il giansenismo, le battaglie per la difesa delle prerogative della giurisdizione ecclesiastica e la cura dei rapporti tra la S. Sede e la corte di Carlo II Stuart.
La prima questione di cui iniziò ad occuparsi dopo il suo arrivo fu quella del processo al protestante francese Isaac La Peyrère, per il suo libro sui preadamiti, Systema theologicum de preadamitorum hypothesi (1655). L'erudito, imprigionato dalle autorità spagnole, era un protetto del principe Luigi di Condé, alleato della Spagna, che ne reclamava la liberazione. Il D. si incontrò più volte con l'arciduca per convincerlo a non cedere alle pressioni e a consegnare lo studioso ai tribunali ecclesiastici; la questione si risolse con la sua conversione al cattolicesimo (giugno 1656) e susseguente scarcerazione (agosto).
Il D. affrontò subito anche la lotta contro il giansenismo che lo vide impegnato sempre con la massima energia. Il giansenismo aveva avuto in Fiandra una larga diffusione, sia nelle gerarchie ecclesiastiche, sia nell'università di Lovanio, e Roma ne era preoccupata. Al D. furono subito concessi due brevi che gli accordavano facoltà di fare inquisizioni in materia di giansenismo e di visitare l'università di Lovanio. Seguendo le istruzioni di Roma il D. iniziò un'opera assidua per individuare, segnalare e contrastare con ogni mezzo i sospettati di giansenismo nella gerarchia ecclesiastica. In questa sua lotta poté sempre contare sull'appoggio dei governatori spagnoli, don Giovanni d'Austria prima e il marchese di Caracena (L. Benavides) successivamente. La sua attenzione si era appuntata subito sulla facoltà teologica di Lovanio, e, in particolare, sul professor E. van Werm, uno dei principali esponenti giansenisti del paese. Per più di un anno dopo il suo arrivo, il D. fu impegnato in varie schermaglie contro i giansenisti, che culminarono nell'estate 1657. Avendo Alessandro VII riconfermato la condanna di Innocenzo X contro il giansenismo, Lovanio accettò la nuova bolla ma con varie riserve non gradite a Roma, e inoltre, in materia di "grazia", voleva continuare a far riferimento alle dichiarazioni espresse dall'università nel 1588 e nel 1613. A fine giugno il D. scatenò un'energica offensiva contro l'università. Indirizzò a Lovanio una lettera che fece leggere da un notaio davanti a tutto il corpo accademico, e che intimava, con la sconfessione del giansenismo, la cassazione di tutte le precedenti prese di posizione in materia di "grazia". Le sue richieste furono accolte, ma quattro professori della facoltà teologica, guidati dal van Werm, pur accettando le bolle antigianseniste, non vollero però sconfessare le passate dichiarazioni. Il 7 luglio il D., avvalendosi dei particolari poteri concessigli, iniziò a fare istruire un processo contro di loro; la manovra ebbe successo perché tutta la facoltà teologica dichiarò piena obbedienza, e lo stesso van Werm si recò a trovarlo di persona, pregandolo di sospendere le inquisizioni contro di lui. Il giansenismo a Lovanio era sconfitto, con grande soddisfazione di Roma, che lo riteneva l'obiettivo più importante di quella nunziatura. Il D., comunque, era convinto che i dottori di Lovanio fossero stati indotti all'obbedienza "più dalle minaccie che havevo fatto pervenire alle loro orecchie, e dal vedersi abbandonati dal resto dell'Università, più tosto che da vera resipiscentia" (lett. 21 luglio 1657, Nunz. Fiandra 41, f. 367r); la stessa impressione gli fu confermata quando visitò l'università all'inizio di agosto. Dopo di allora il giansenismo non costituì più un grosso problema, ma il D. non cessò mai la sua opera di vigilanza e repressione.
Le controversie giurisdizionali in cui il D. dovette intervenire furono numerose; in varie città, e in particolare ad Anversa, Cambray, Besançon, ci furono lunghe e dure battaglie fra le autorità religiose e le magistrature cittadine per questioni amministrative, fiscali e di giurisdizione; anche a livello centrale ci furono numerosi scontri: da tempo, ad esempio, si discuteva se gli ecclesiastici accusati di sodomia dovessero essere giudicati da tribunali laici o religiosi, ma la questione più spinosa fu quella del placet che le autorità civili volevano dare a tutti i decreti provenienti da Roma. Il Consiglio privato avrebbe voluto dare il suo placet alla bolla con cui Alessandro VII concedeva il giubileo nell'estate 1656, e polemiche c'erano state per la successiva bolla antigiansenista, ma la polemica più aspra scoppiò nel novembre 1657. A Roma si era convinti che "il più importante affare, che si offerisca in cotesta Nuntiatura", così scriveva la segreteria di Stato al D. il 3 nov. 1657, "è in ordine al procurare con tutti i modi possibili di sopprimere affatto la Dottrina dannata di Jansenio" (Nunziat. Fiandra 42, f. 154v). Proprio perché si intrecciò con la questione giansenista, probabilmente, questa controversia fu particolarmente aspra e combattuta. Il 23 nov. 1657 il Consiglio del Brabante cassò il decreto pontificio del 6 settembre, in cui venivano condannate varie opere gianseniste (tra cui le Lettere provinciali di Pascal e gli scritti di A. Le Maitre e di A. Arnauld), perché non provvisto del proprio placet. Il 27 novembre il D. si recò a protestare con don Giovanni d'Austria ma il 30 il Consiglio privato prescrisse a tutti i Consigli provinciali di seguire l'esempio di quello del Brabante. La controversia si dilungò per anni; il D. iniziò a esercitare una pressione continua su don Giovanni, incontrandolo direttamente, e tramite il suo confessore padre Gamboa, sostenendo che specialmente i decreti in materia dottrinale non potessero essere soggetti ad alcun placet, e, insieme, ribadendo la necessità di sconfiggere il giansenismo. Dall'altra parte si susseguivano i consulti dei vari Consigli in difesa delle prerogative statali. Il 12 apr. 1658 don Giovanni decise di nominare una giunta che discutesse il caso; lui personalmente si mostrava ben disposto verso le richieste del nunzio, e in quell'inverno, infatti, invitò più volte i vescovi e gli stessi Consigli a persistere nella lotta al giansenismo, ma, come se ne rendeva conto perfettamente anche il D., "il Consiglio Privato è contrario, anzi tutti li ministri del Paese" (lett. 13 marzo 1658, Nunz. Fiandria 42, f. 157v). Nella primavera 1658 lo scontro si rese più acuto. La notte tra il 12 e il 13 maggio fu affisso alla porta della cancelleria del Consiglio del Brabante il decreto del S. Offizio del 14 marzo che dichiarava nullo il decreto cassatorio del novembre precedente. Il Consiglio reagì con una vivacissima protesta, ribadendo fermamente che non si poteva in alcun modo tollerare "que l'autorité royale soit à la merci du Saint Siège" (Documents relatifs..., p. 279), e inviò subito il suo procuratore a casa del D., il quale però, un po' per protesta, un po' per prudenza, si era ritirato temporaneamente a Liegi.
Della questione iniziò a occuparsi anche C. Bonelli, nunzio in Spagna, al quale il D. scrisse in quel maggio. Per tutta l'estate seguente il Bonelli si adoperò a perorare la causa presso Filippo IV, e i tempi della controversia divennero ancora più lunghi; nell'aprile 1659 il re scrisse al marchese di Caracena, nuovo governatore, una lettera, non dissimile da un'altra che aveva già inviato a don Giovanni nel giugno dell'anno precedente, e in cui, in sostanza, chiedeva spiegazioni sull'accaduto. Nel giugno 1659 Filippo IV cedette alle richieste ecclesiastiche, e ordinò di non ostacolare più né la bolla del giubileo, né il decreto contro i libri giansenisti; ma quando nei mesi successivi il Caracena cercò di imporre tale volontà ai Consigli, continuò a incontrare una opposizione per nulla scemata in difesa delle prerogative dello Stato. Il D., naturalmente, continuò a seguire con costante premura tutta la vicenda, mantenendosi in contatto col Bonelli, e cercando di esercitare una pressione continua sul governatore.
Con Lovanio, intanto, i rapporti erano tornati buoni; nel gennaio 1662 il D., pur non accantonando mai del tutto dubbi e sospetti, scriveva che ci si poteva ritenere soddisfatti della facoltà teologica e nell'estate seguente ottenne dall'università la condanna dell'insegnamento di Cartesio.
Nelle informazioni di carattere politico e militare che inviava a Roma, il D. non mancava mai di inserire notizie dell'Inghilterra, di Carlo II e della sua corte, in quegli anni in esilio in Fiandra. Già prima del 1660 si era occupato di varie questioni inerenti al clero britannico e, dopo la restaurazione, il D. divenne uno dei principali tramiti tra esso e Roma. A mano a mano che aumentavano le probabilità di una restaurazione in Inghilterra, diventava più assiduo anche il suo interesse per i contatti con lo Stuart, con il quale ebbe diversi incontri; il suo obiettivo era ottenere assicurazioni circa miglioramenti e concessioni per i cattolici inglesi e irlandesi. Nel maggio 1660, poco prima che Carlo II partisse per l'Inghilterra, il D. gli inviò il suo segretario C. Agretti, che incontrò il sovrano e altri membri della sua corte a Breda. Fu deciso che il segretario del re R. Bellings avrebbe continuato a mantenersi in contatto col D., e il re fece anche alcune promesse, alquanto vaghe, circa i cattolici. Il D. stesso si incontrò poi personalmente col marchese d'Ormonde, il 23 maggio, ad Anversa. Il D. divenne così uno dei principali tramiti tra Roma e l'Inghilterra, stabilendo e intensificando una solida rete di contatti con vari informatori e corrispondenti; parimenti rimase in contatto con esponenti cattolici della corte e, in particolare, con il conte di Bristol. Nei primi mesi dopo la restaurazione era molto ottimista circa la posizione dei cattolici e delle concessioni che Carlo II avrebbe potuto elargire; nell'ottobre 1660, tramite il conte di Bristol, ebbe anche uno scambio epistolare col re. Col passare del tempo, tuttavia, apparve chiaro che la restaurazione non comportava alcun cambiamento decisivo per i cattolici inglesi e irlandesi.
Da vari anni il clero inglese chiedeva a Roma la nomina di un vicario apostolico. Già nel 1657 il D. aveva dato parere negativo a una richiesta del genere, dissentendo essenzialmente sulla scelta del candidato proposto; tuttavia, a tale riguardo, non aveva mancato di sondare a più riprese le intenzioni di Carlo II. Nella primavera del 1661 il conte di Bristol gli consigliò di rimandare la questione a dopo il matrimonio del re, e da Roma gli chiesero intanto di informarsi sul soggetto più gradito a corte. La questione, però, in pratica, continuò a rimanere sospesa. A fine giugno 1664 il D. si recò a Parigi per unirsi al seguito del card. F. Chigi, legato straordinario del papa a Luigi XIV; vi rimase fino al 13 agosto. Tornato ad Ostenda, incoraggiato da buone notizie provenienti dall'Inghilterra, e dalla buona stagione, decise di imbarcarsi in incognito per la Gran Bretagna. La sua fu una decisione estemporanea, "nondimeno" scriveva, "la qualità delli affari di quelle parti impostimi finora di costà mi persuadono che questo viaggio non possa riuscir contrario al gusto di N. Signore" (10 sett. 1664, Nunz. Fiandra 49, f. 212v). Il 16 settembre si imbarcò a Calais e, giunto a Londra, si mise in contatto con Philip Arundell, cappellano maggiore della regina madre, che lo introdusse presso tutti i principali esponenti cattolici della corte; si incontrò anche, in modo ovviamente informale, con la regina e con il re, dal quale fu accolto molto amabilmente. L'11 ottobre, tornato a Bruxelles, informò Roma dei risultati del suo viaggio; fornì una relazione sui vari personaggi cattolici della corte, confermò che il re era ben disposto verso i cattolici e favorevole alla nomina di un vicario apostolico, purché, condizione indispensabile, il negozio rimanesse segreto. Il D. pensava che la scelta dovesse cadere su Ludovick Stuart d'Aubigny, che godeva il pieno favore del re, e che Carlo II, inoltre, avrebbe visto volentieri investito della porpora. Da Roma gli risposero che, pur non ritenendo opportuna questa nomina cardinalizia, volevano che continuasse a "trattare sopra tali materie conforme le detterà la propria prudenza, e senza mostrare d'havere havuto di qua ordine alcuno" (cifra 25 nov. 1664, Bibl. apost. Vat., Chig. E I 29, f. 115v); il D., dal canto suo, continuò a trasmettere a Roma segnali positivi circa il gradimento dell'eventuale scelta dell'Aubigny come vicario apostolico. Il 25 nov. 1664 gli fu comunicato il richiamo a Roma. Il 4 apr. 1665 il D. lasciò Bruxelles e, sulla via del ritorno, l'11 maggio si incontrò a Verona col suo successore G. Rospigliosi.
Scarsissime le successive notizie sul De Vecchi. Il 13 maggio 1671 fu nominato governatore di Fabriano. Non si hanno notizie sulla sua morte; era ancora vivo nel marzo 1691, quando, durante il conclave per Innocenzo XII, il card. F. Astalli gli scrisse.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Segr. Stato, Nunziatura Fiandra 121- 32-93; 39, ff. 637r, 638v, 662r; 40-50; 142; 143; 175, ff. 244-458; 195, f. 15r; 196, ff. 18-21; 197, ff. 17-63; 205 (copia lettera, non numerata); Ibid., Nunziatura Napoli 60, ff-317-328; Ibid., Archivio Nunz. Colonia 191, ff. 154-155; Ibid., Secr. Brevium, 1149, ff. 39r-41v; Ibid., Epistolae ad Princ. 60, f. 285v; 63, f. 178; Bibl. apost. Vaticana, Chig. E I 24, ff. 174-182; E I29, ff. 1 + 46; N II 27, ff. 268r-278r; Ibid., Barb. lat. 6829, ff. 12-19; Ibid., Vat. lat. 8229, ff. 85, 104. Documents relatifs à la jurisdiction des nonces et internonces des Pays-Bas pendant le règime espagnol (1596-1706), a cura di J. Lefèvre, Bruxelles-Rome 1943, ad Indicem; Relations des Pays-Bas, de Liège et de Franche-Comté avec le Saint-Siège d'après les "Lettere di vescovi" conservées aux Archives Vaticanes (1566-1779), a cura di L. Jadin, ibid. 1952, ad Indicem; Relations des Pays-Bas, de Liège et de Franche-Comté avec le Saint Siège après les "Lettere di Particolari" conservées aux Archives Vaticanes (1525-1796), a cura di L. Jadin, ibid. 1962, ad Indicem; La fin de la première periode du Jansenisme. Sources des années 1654-1660, I-II, a cura di L. Ceyssens, ibid. 1963, ad Indices; varie indicazioni, sia di fonti, sia bibliografiche, sul D. in Les Archives des nonciatures, a cura di L. E. Halkin, ibid. 1968, ad Indicem; T. O'Fiaich, Edmund O'Rielly, archbishop of Armagh, 1657-1669, in Father Luke Wadding, Dublin 1957, pp. 187 ss., 192, 195 s., 200, 202, 227; G. Beltrami, Notizie su prefetti e referendari della Segreteria apostolica desunte dai brevi di nomina, Città del Vaticano 1972, ad Indicem.