SOMMAIA, Girolamo da
SOMMAIA, Girolamo da. – Nacque a Firenze il 17 giugno 1573 dall’unione tra due prestigiose famiglie fiorentine dell’epoca: quella del senatore Giovanni da Sommaia, discendente da una famiglia di nobili signori feudali di origini longobarde, ereditieri del castello di Sommaia (da loro posseduto dall’XI secolo nei pressi di Firenze), e quella di Costanza Guicciardini, che vantava fra i suoi avi il celebre storico e diplomatico Francesco Guicciardini (1483-1540).
Dalle scarse notizie inerenti all’infanzia di Girolamo, sappiamo che ricevette un’educazione rigida di stampo fortemente umanistico e che, giovanissimo, prese gli ordini minori: divenne sacerdote solo nel 1614.
Intorno al 1598, decisamente troppo avanti con l’età per intraprendere gli studi universitari secondo le norme fiorentine dell’epoca, Sommaia decise di andare a studiare nella città di Salamanca, in Spagna, sede di una delle più antiche e importanti università spagnole, dove aspirava a laurearsi sia in diritto canonico sia in diritto civile. Nonostante l’esistenza di una legge che proibiva agli italiani di studiare in un Paese straniero, il fiorentino riuscì facilmente a ottenere l’approvazione del granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici, grazie al prestigio politico di cui godeva la sua famiglia, non solo a Firenze, ma anche in Spagna, dove Francesco di Agnolo Guicciardini, suo zio materno, risiedeva già dal 1593 in qualità di ambasciatore dei Medici. Molti anni prima di lui, nel 1512, anche Francesco Guicciardini era stato ambasciatore presso la corte di Fernando il Cattolico, mettendo a frutto questa esperienza nel Diario del viaggio in Spagna e nella Relazione di Spagna (1514).
Seguendo le orme familiari, Sommaia si imbarcò alla volta di Salamanca, dove visse e studiò tra il giugno del 1599 e il maggio del 1607. Un documento importante per la ricostruzione del soggiorno spagnolo, ma anche della vita e della cultura della Salamanca dell’epoca, è costituito dal diario (ora a Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Magliabechiano, VIII, 29 e VIII, 30) che il fiorentino scrisse durante gli otto anni trascorsi nella città universitaria, di cui è però pervenuta solo la parte relativa agli ultimi quattro.
Nato come libro di conti in cui lo studente appuntava scrupolosamente tutte le spese affrontate, poco a poco il diario assunse i toni di un testo personale in cui sono annotate, in una lingua ibrida (riflesso del bilinguismo dell’autore), le sue esperienze quotidiane: dai momenti di dolcezza scambiati con giovani popolane, a quelli dedicati all’igiene, agli acquisti o alle visite ad amici e conoscenti. Dal suo diario emergono anche quelle che erano le sue grandi passioni: il teatro e la letteratura. Girolamo, infatti, oltre ad appuntare le commedie cui assisteva, registrava nel diario anche ciò che leggeva, tanto in italiano quanto in castigliano e, data la mole della sua biblioteca, prendeva nota scrupolosamente di tutte le entrate e le uscite di libri, quaderni manoscritti o fogli sciolti.
Tra le letture da lui registrate nel diario compaiono il Guzmán de Alfarache (il 17 maggio 1604 scrive «Comperai [...] seconda parte del Piquero», Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Magliabechiano, VII, 29, c. 73v), il Sogno del giudizio universale di Quevedo (il 22 aprile 1605 scrive «Solorzano mi prestò il sogno di Quevedo» VIII, c. 32v), La vita della picara Giustina Diez (il 19 giugno 1605 annota: «Da Comman in presto il libro della Picara» VIII, 30, c. 55v) e il Don Chisciotte della Mancia, appena pubblicato (in data 19 novembre 1605 si legge: «Da Miguel Velasco un Don Quixote de la Mancha et la Historia de la Florida, sciolti» VIII, c120v).
Come si evince dal diario, la gran parte dei testi a stampa o dei manoscritti posseduti da Sommaia proveniva dal fitto scambio di materiale letterario che circolava nella colta cerchia dei suoi amici, tra cui ricordiamo Baltasar Navarro de Arroita, autore della lettera che precede il Tesoro di Sebastián de Covarrubias (primo dizionario della lingua castigliana, 1611), Gaspar de Guzmán, futuro conte duca di Olivares, e lo scrittore Juan de Pineda. Facevano parte dell’entourage di Sommaia anche noti professori e bibliofili della Salamanca dell’epoca, come Antonio de Figueroa, Juan de Fonseca (possessore, come annota lo stesso Sommaia, di «una buona libreria in particulare di libri greci et d’humanità, una grammatica arabica [...], un librillo etiopico [...], più libri italiani», Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Magliabechiano, VIII, c. 177v), il genovese Andrea Odoni, morto precocemente nel 1603, lasciando una buona collezione di libri, successivamente in parte acquistata da Sommaia, e Lorenzo Ramírez de Prado, amico intimo di Girolamo all’epoca degli studi universitari, bibliofilo e filologo classico, possessore a sua volta di quella che sarebbe diventata una delle biblioteche più importanti del secolo, e autore, proprio durante quegli anni, di un commento agli Epigrammi di Marziale, pubblicato nel 1607 a Parigi.
Durante l’estate del 1604 Girolamo prese in prestito dall’amico de Figueroa il Libro delle poesie spagnole, che sembra costituire la fonte di una buona parte dell’antologia poetica di Sommaia, il manoscritto, quasi interamente di suo pugno, oggi conservato nella biblioteca di Firenze, dal descrittivo titolo di Var. poesie spagnuole copiate da Monsignor Girolamo da Sommaia (Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Magliabechiano, VII, 353). Fu in quegli anni che Girolamo copiò, con l’aiuto di uno dei suoi servitori, anche un codice tripartito, intitolato Poesie spagnuole copiate da Arnaldo cameriere di Mons. Girolamo da Sommaia, che raccoglie numerose liriche di don Diego de Mendoza, fray Melchor de La Serna e fray Luis de León (Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Magliabechiano, VII, 354). Le due antologie poetiche costituiscono manoscritti di notevole importanza per lo studio della poesia del siglo de oro.
Laureatosi nel 1606 in diritto civile e nel 1607 in diritto canonico, nel maggio del 1607, dopo un viaggio attraverso l’Aragona e la Catalogna, Sommaia tornò nella sua terra natale con un bagaglio carico non solo di ricordi: con sé portava anche le due raccolte poetiche già menzionate, il suo diario e numerosi codici autografi contenenti per lo più brevi liriche e proverbi, ma anche lettere, aneddoti e prose di argomento vario (Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Magliabechiano, IV, 17, IV, 29, VII, 581, VII, 644, VIII, 80, XXVI, 65).
Ritornato a Firenze il 21 luglio 1607, il giovane cominciò a esercitare con successo l’avvocatura, assumendosi, tra l’altro, molte cause nell’interesse della sua famiglia. Oltre al lavoro, accettò anche una serie di compromessi con associazioni civili o di carattere benefico: fu, per esempio, nominato operaio dell’Ospedale di San Matteo e nel 1610 accettò di partecipare al Consiglio dei Duecento e, in quello stesso anno, aderì alla Compagnia de’ Buonuomini delle Carceri.
Nel 1611, forse alla ricerca di un incarico migliore per esprimere a pieno le sue capacità, Sommaia decise di trasferirsi a Roma, dove comprò l’ufficio di Abbreviatore, prima di lui appartenuto a monsignor Luca Ducci. Nonostante il prestigio di questo incarico, richiamato a Firenze dal granduca e stanco delle trame politiche dell’ambiente pontificio, decise poco dopo di tornare nella sua città natale e fu allora che si riaccese la sua vocazione religiosa, sopita da quando, giovanissimo, aveva preso gli ordini minori. Nell’ottobre del 1614, grazie a una bolla papale, Sommaia ricevette, infatti, i gradi di suddiacono, diacono e sacerdote con una prassi abbreviata di tre settimane anziché tre anni dovuta al fatto che era stato eletto, proprio nell’aprile di quell’anno, priore della chiesa conventuale di Santo Stefano a Pisa. Inoltre, nello stesso mese, ricevette dal granduca l’onore di essere nominato cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano e gli venne affidata la direzione dello Studio di Pisa, con il prestigioso incarico di provveditore, nelle cui mani, in quanto rappresentante dell’autorità del granduca, si concentrava il potere amministrativo dello Studio, con innumerevoli competenze, tra cui l’onere di disciplinare il rapporto tra studenti e professori, selezionare e censurare i libri pubblicati a Pisa, decidere i programmi nonché occuparsi di una gran parte dell’aspetto amministrativo. Si conservano tuttora le relazioni annuali sui professori dello Studio che Sommaia mandava al granduca alla fine di ogni anno accademico, dando informazioni su ciascuno di essi e lasciando un margine per le determinazioni del granduca. Da questi documenti e da un fitto carteggio mantenuto tra i due in quegli anni emerge in particolare il suo rapporto con Galileo Galilei, che all’epoca era matematico primo dello Studio e filosofo del granduca. Un altro fatto interessante degli ultimi anni di Sommaia riguarda la realizzazione da parte del fiorentino nel 1626 di una seconda edizione manoscritta con aggiunta di note dell’Istoria delle famiglie e della nobiltà di Firenze, un imponente manoscritto compilato da Piero Monaldi, genealogista ed erudito fiorentino dell’epoca. Morì a Pisa nel 1635 all’età di 62 anni.
Fonti e Bibl.: A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, LXIV (1905), parte I, p. 568; G. Haley, Diario de un estudiante de Salamanca, Salamanca 1977; M. Massoli, Avant-propos a un’edizione critica, in Lavori ispanistici, V (1985), pp. 117-154; M.T. Cacho, Manuscritos hispánicos en las bibliotecas de Florencia, Firenze 2001; F. De Santis, Il manoscritto magliabechiano VII-353. Edizione dei testi e studio, tesi di dottorato in letteratura spagnola, Università degli studi di Pisa, 2006; T. Carter - R.A. Goldthwaite, Orpheus in the marketplace: Jacopo Peri and the economy of late Renaissance Florence, Cambridge (Mass.) 2013; The transatlantic Hispanic baroque: complex identities in the atlantic world, a cura di H.E. Braun - J. Pérez-Magallón, Farnham 2014.