GIROLAMO da Siena
Il documento che ci consente di risalire all'anno di nascita di G. è un'ordinanza del padre generale dell'Ordine agostiniano con la quale, in data 3 ott. 1357, G. veniva inviato allo Studio generale del convento di S. Spirito a Firenze.
La regola prevedeva che si entrasse nell'Ordine in età non inferiore a quattordici anni; all'anno di noviziato ne seguivano tre di studio in una scuola dell'Ordine dipendente dal superiore della provincia, poi altri cinque nello Studio generale della provincia; gli alunni migliori, però, dopo un triennio di questo secondo ciclo, passavano negli Studia generalia totius Ordinis, che avevano sede nelle città più importanti delle diverse nazioni, come appunto quello di S. Spirito a Firenze. Lì gli studenti seguivano un corso quinquennale, che si concludeva con l'acquisizione del grado di lettore.
Siccome nella lettera XIII G. dichiara di avere preso i voti "in tenerissima pueritia", quindi nell'età minima prescritta dalla regola (anche se non è da escludersi una deroga, non infrequente negli anni posteriori alla grande peste del 1348, che aveva decimato anche i ranghi del clero regolare), nel 1357 doveva avere 21-22 anni ed essere nato perciò nel 1335-36.
Poiché all'atto della morte il priore generale dispose che i beni d'uso di G. fossero trasmessi al convento di Siena - il che era privilegio del cosiddetto convento d'origine, cioè quello in cui il religioso defunto aveva compiuto la sua formazione - G. dovette trascorrere i suoi primi anni di vita monastica nel convento della città natale. Fu però legato all'eremo di Lecceto, a pochi chilometri da Siena, noto per il rigore della vita cenobitica, nel quale G. si ritirò in età matura per periodi di meditazione e di riposo. Nello Studio agostiniano di Firenze G. appartenne, come la maggior parte degli studenti, al gruppo degli Studentes pro forma Studii generalis, cioè quelli destinati a interrompere gli studi alla fine del quinquennio, senza proseguire all'università. Vi rimase tuttavia solo due anni, conseguendo il titolo di lettore, che abilitava alla predicazione, all'insegnamento della Sacra Scrittura, al commento delle Sententiae negli Studi generali e conferiva particolare prestigio nell'Ordine. Il lettore incaricato del commento delle Scritture era detto biblicus e G. è indicato con questa qualifica, oltre che con quella generica di lector, nei documenti.
Come agostiniano conventuale, G. figura nei registri dell'Ordine tra i padri capitolari a Siena nel 1359, 1371, 1374. Dal 1373 al 1377 predicò a Pisa e a Lucca, e nell'ultimo ventennio del XIV secolo fu attivo, sempre come predicatore, nelle città dell'Umbria, della Toscana e del Veneto.
Fedele interprete dell'impostazione dottrinale ricevuta nelle scuole monastiche, egli non identificò la sua predicazione con i movimenti spirituali che animarono la Siena della fine del Trecento. Non ci sono prove di un rapporto diretto con Giovanni Colombini, dal quale lo separa l'età (il Colombini si convertì oltre i cinquant'anni, nel 1355, iniziò il suo apostolato nel 1362-63 e morì nel 1367) e la religiosità, più vicina, nel Colombini, alla spiritualità francescana. Fu invece in contatto con il cenacolo di Caterina da Siena, nel quale troviamo altri agostiniani: l'inglese William Flete, Antonio da Nizza, il senese Giovanni Tantucci, Gregorio da Rimini, Felice Tancredi (Felice da Massa). Nel Libellus de supplemento legende prolixe virginis beate Catherine de Senis, il domenicano Tommaso di Antonio da Siena (noto anche come Tommaso Nacci [cioè di Antoniaccio] Caffarini) riporta, è vero, il nome di G. tra gli agostiniani devoti a Caterina, ma all'ultimo posto, insieme con Felice da Massa, in posizione non di rilievo. Una lettera di Caterina, di intonazione squisitamente religiosa, databile con la maggior parte dell'epistolario al decennio 1370-80, dimostra un'effettiva comunione spirituale tra i due. Caterina esorta G. a vivificare i doni mistici dello Spirito Santo ed esprime il desiderio di trascorrere la Pasqua insieme con lui. Inoltre, nel processo di beatificazione di Caterina, nel 1411, il medesimo Caffarini testimoniò di avere posseduto a Venezia un foglio su cui la santa, che non era in grado di scrivere, per divina ispirazione aveva vergato in inchiostro rosso una poesia: O spirito santo vieni nel mio core. Il foglio era stato donato da G. al prete veneziano Leonardo Pisani e da questi al Caffarini, e ora si trovava con altre reliquie di Caterina nel convento delle suore della Penitenza di S. Domenico a Venezia. Il testo della poesia non è accolto nella moderna edizione critica del Libellus, ma si legge nel volgarizzamento settecentesco e fu stampato nell'edizione aldina delle opere di Caterina nel 1500. A parte questo singolo aneddoto e la testimonianza della lettera sopra citata, il rapporto di G. con la santa e il movimento da lei ispirato dovette essere basato soprattutto sulla ricezione delle istanze di rinnovamento ecclesiale energicamente espresse da Caterina e che trovarono ascolto nell'Ordine agostiniano, mentre nei contenuti teologici G. rimase fedele alle linee dell'Osservanza monastica, e infatti, nei suoi scritti, su Caterina regna il più ostinato silenzio.
Il 10 maggio 1384, a Venezia, G. ottenne il privilegio di tenere al suo servizio un confratello o un converso e l'esenzione da alcuni obblighi della vita comune. Il 22 agosto dello stesso anno gli venne concesso di ritirarsi, forse per un periodo di riposo, nel monastero di Lecceto. Meno di un anno dopo però era di nuovo a Venezia, ancora immerso nella predicazione e sempre esentato dagli obblighi della vita comune; vi si trovava ancora nel maggio 1386, ma prima dello scadere dell'anno fu eletto priore della provincia di Siena. Esercitò questa funzione con efficienza, ma per un periodo di tempo assai breve: già il 29 maggio 1387 gli succedeva Pietro da San Geminiano. Le ragioni di un così rapido avvicendamento sono forse da ricercare nella condotta particolarmente severa ed energica di G., che aveva suscitato reazioni all'interno dell'Ordine. Il 9 ag. 1387 venne designato predicatore generale nel convento di Pisa, ma una lunga malattia lo bloccò a Siena fino alla fine dell'anno e forse oltre. Nel maggio 1388 era a Bologna per la predicazione annuale e quaresimale e nella città rimase probabilmente fino al maggio 1392, quando un'ordinanza del priore generale gli concesse di recarsi da lui e poi in un qualsiasi monastero dell'Ordine. Una concessione del 17 sett. 1393 gli permise poi di scegliere una sistemazione in uno qualsiasi dei monasteri delle province di Siena o di Pisa.
È verosimile che nel lasso di tempo compreso tra queste due date vada collocato il viaggio a Gerusalemme, di cui G. parla in tre lettere posteriori alla predicazione a Venezia, dunque al 1384. G. si sarebbe mosso dalla città lagunare nel 1392 e la dizione generica dell'ordinanza di quell'anno sarebbe allusione a uno dei conventi che gli agostiniani avevano in Terrasanta. Al ritorno dalla Palestina, G. fu a Bologna e poi pellegrino sulla via di Roma. In questo momento cade la composizione della lettera XIV, che accenna vagamente - unico caso nell'epistolario - a fatti spiacevoli che gli erano occorsi e che lo avevano messo in gravi difficoltà. Probabilmente egli era stato coinvolto in qualche progetto di rivolgimento politico, se parla di persone che, "perduto l'affecto e desiderio di Dio […], si sono tanti impaciati del sieglo, che sono venuti in effecti e desideri di vivere e di tratare de la mutatione de li stati e de li reçimenti temporali" (Brocardo, p. 471). Anche dalla lettera XV, scritta poco dopo, trapela lo sconforto per una serie di tribolazioni che lo perseguitavano da vari mesi. Egli si descrive lontano dalla patria e impossibilitato a rientrarvi, senza amici ("come forestiero derelicto e abandonato"), privato "di copia e di servitio", colpito da lutti familiari (la perdita di un nipote carnale) e uscito da una dolorosa malattia; si lamenta, infine, che gli siano stati sottratti "per frode" gli amati libri, lasciandolo privo anche del conforto spirituale che ne ricavava.
Verso il 1408 l'Elsen lo dà di nuovo nella città natale, nel monastero di Lecceto, e dice che godette della stima di papa Gregorio XII. Questi era stato arcivescovo di Venezia tra il 1386 e il 1389 - lo stesso periodo in cui G. esercitava la sua attività di predicatore nella città - perciò è plausibile, anche se non confermato da alcuna fonte, che G. si guadagnasse l'apprezzamento del futuro pontefice, e, in effetti, dal 1° sett. 1407 al gennaio 1408, mentre l'antipapa Benedetto XIII occupava Roma, Gregorio soggiornò a Siena. Il 19 giugno 1420 G. fu nominato priore del monastero di Arezzo, nella provincia di Siena, ma nel settembre una disposizione del padre generale lo sostituì con un confratello più giovane, nel timore che il carico fosse troppo grande per la sua età.
G. si spense, probabilmente nel convento aretino, prima del 26 ott. 1420: a quel giorno data l'ordinanza del padre generale che disponeva il conferimento dei suoi oggetti al convento di Siena, di cui si è detto.
G. è autore di alcune opere devozionali in volgare, tramandate da diversi manoscritti, la cui datazione è incerta e ricavabile solo da elementi interni, ma che sarebbero da assegnare tutte alla maturità e da collocare nell'ultimo ventennio del XIV secolo. Anteriori al viaggio in Terrasanta sono l'Adiutorio e il Soccorso dei poveri, la cui composizione cadrebbe durante il soggiorno senese tra la primavera 1387 e il maggio 1388. L'Adiutorio verte sui doni della vita spirituale e sulla natura autentica del misticismo, in contrapposizione allo spiritualismo dilagante nel suo tempo e non sostenuto dalla dottrina monastica tradizionale. Contro di esso l'autore polemizza espressamente nel prologo, stigmatizzandone la superficialità e la faciloneria con cui presume di avvicinarsi alla contemplazione delle cose celesti. Il titolo è tratto dal primo verso del salmo XC, Qui habitat in adiutorio Altissimi; l'opera è divisa in due parti: la prima (di 17 capitoli) tratta dei sette generi delle tentazioni e dei loro rimedi, esaminando i versetti 4-7 del salmo; la seconda (di 30 capitoli) riassume ed espone il salmo integralmente, salvo i versetti trattati nella prima parte. Il Soccorso dei poveri, composto durante il periodo bolognese dal 1388 al 1392 e diretto a una comunità di religiose, è un trattato più accessibile ("rusticano trattato" lo chiama l'autore), concepito per coloro che non possono accedere alle verità della fede nella loro forma più complessa e che agognano di avvicinarsi alla vita religiosa. L'opera, in 40 capitoli, tratta dei principali punti della fede, della liturgia, delle orazioni e della devozione, dei sacramenti, dei peccati, e si inserisce nel filone devozionale aperto dall'Ordine de la vita cristiana del beato Simone Fidati da Cascia, agostiniano (a cui l'opera di G. è largamente debitrice), e che interesserà anche personalità di altri ordini, aperte alle istanze della religiosità umanistica e alla necessità di un apostolato più vivo e attento alle esigenze del mondo laico: per esempio Giovanni Dominici con la Regola del governo famigliare e Antonino Pierozzi con l'Opera a ben vivere. Le Ammonizioni (il titolo è apocrifo) sono alcuni suggerimenti che G. invia a una figlia spirituale e costituiscono un'appendice al Soccorso dei poveri nel ms. Ashburnham 283 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.
Opera principale di G. resta l'Epistolario, conservato dal cod. Marc. It., cl. I, 19 (=5020) della Bibl. naz. Marciana di Venezia, consistente in sedici lunghe lettere, ciascuna preceduta da un breve regesto che talvolta dà qualche notizia sui destinatari, non però in maniera tale da consentire di datare e ambientare con precisione le lettere. Sulla base del testo si può stabilire qualche parentela e ordine di successione. La lettera I è posteriore al 1377 e inaugura la raccolta; le lettere IV, V, VII sono in ordine cronologico; così anche le IX, X, XI, scritte a breve distanza di tempo l'una dall'altra durante il pellegrinaggio in Terrasanta; la XIV e la XV sono pure accoppiate, mentre la XVI dovrebbe precedere la XII. La lettera I è tramandata anche dal ms. 1724 della Bibl. Riccardiana di Firenze; la V pure dal ms. Ricc. 1756. Si tratta comunque di quanto resta di un più ampio Libro delle pistole, attestato da un passo del Soccorso dei poveri e da due brani, rispettivamente nelle lettere XV e XVI. Le epistole hanno carattere prettamente spirituale e didascalico. Prive di riferimenti all'esperienza biografica dell'autore e ad avvenimenti della cronaca laica o religiosa contemporanea, hanno la struttura del trattatello ed erano destinate a una diffusione come ammaestramento alla vita spirituale. Destinatarie erano comunità laiche femminili associate ai terzi ordini religiosi. Pur nella diversità di ispirazione e di composizione (alcune sono scritte sotto l'incalzare di un avvenimento, altre sono il risultato di una più meditata riflessione), presentano uno stile unitario, che segue le regole dell'ars dictandi medievale, ravvivato di quando in quando da passaggi più spontanei, comunque lontano dalla scrittura infuocata e immediatamente comunicativa di Caterina da Siena.
Il profilo culturale di G. che si ricava dai suoi scritti è quello di un monaco tradizionale, legato alla spiritualità tramandata nell'alveo dell'Ordine e poco permeabile ai movimenti mistici contemporanei. Le consonanze con scrittori laici della spiritualità del tardo Trecento sono occasionali e generiche, e riguardano temi comuni, piuttosto che una reale consuetudine dei testi. Notevoli sono due chiari echi petrarcheschi (da Canzoniere 366, la Canzone della Vergine) rintracciati dal De Luca nel suo commento al Soccorso dei poveri, che dimostrano una frequentazione pure della letteratura laica, anche se d'intonazione religiosa. Ricco è naturalmente il panorama delle riprese da opere della tradizione che promana da s. Agostino. Nella prima parte dell'Adiutorio si ritrovano integralmente il commento al salmo XC e qualche reminiscenza del commento al Cantico dei cantici di Riccardo da San Vittore. La seconda parte è fortemente influenzata dal commento di Pietro Lombardo al medesimo salmo XC. Agostino è ricordato con entusiasmo da G., ma la derivazione dalle opere del santo non è diretta, bensì mediata dalla vasta letteratura di ispirazione agostiniana fiorita nel Medio Evo in chiave spiritualistica e devozionale. Estranee a G. sono sia l'interpretazione metafisica della dottrina del santo operata dalla scolastica, sia l'approccio diretto ai suoi testi (salvo quelli più comuni e circolati in maniera ininterrotta dalla tarda antichità, come il De civitate Dei, le Confessioni, i Sermoni, il Commento al Vangelo di s. Giovanni), che maturò nella nuova temperie umanistica. I frequenti passaggi di sapore agostiniano rintracciabili nei suoi scritti derivano perciò da opere spurie, come il Liber meditationum dello Pseudo Agostino, di cui nell'Adiutorio sono incorporati interi passi. Il Soccorso dei poveri risente dell'Ordine della vita cristiana del beato Simone Fidati da Cascia, che viene ripreso alla lettera in più punti, anche se G. riesce a dare un'impostazione personale alla materia trattata. Nell'Epistolario le poche citazioni esplicite riguardano Agostino e Gregorio Magno; numerosi sono invece i tratti echeggianti il De vita christiana dello Pseudo Agostino, scritti vari di Ugo e Riccardo di San Vittore, il De claustro animae di Ugo da Foglieto, la Vita dei santi padri e Iacopo da Varazze. Rispetto a questi autori, l'atteggiamento di G. è in sostanza quello dell'epitomatore, privo non tanto dell'originalità che non era richiesta e anzi deprecata in questo tipo di letteratura, quanto di un'originale ispirazione spirituale, che donasse risonanza nuova e spirito inedito alle verità tramandate. Entro questi limiti, restano sue qualità l'atteggiamento appassionato e infiammato di carità, l'approccio personale alle questioni, il possesso di uno stile.
Le opere di G. furono stampate in parte solo nel XVIII secolo, per iniziativa del padre carmelitano Ildefonso di S. Luigi, accademico della Crusca. Sotto il titolo Dell'opere toscane di fr. G. da S. dell'Ordine romitano di s. Agostino, Firenze 1770-71 (vol. I: Adiutorio; vol. II: Soccorso de' poveri e Pistola, dal cod. Riccardiano 1724, cc. 44r-56v) inaugurarono la collana delle Delizie degli eruditi toscani, corredate da un'ampia introduzione, pregevole più per l'analisi linguistica che per la ricostruzione storica, lacunosa e imprecisa. Il Soccorso de' poveri è stato pubblicato, dall'edizione settecentesca, in Prosatori minori del Trecento, I, Scrittori di religione, a cura di G. De Luca, Milano-Napoli 1954, pp. 279-332. Alcune rime contenute nel cod. Palatino 313 della Biblioteca nazionale di Firenze sono state stampate sotto il nome di G. da D.A. Perini (Il trecentista fra G. da S. agostiniano e le sue rime inedite, Roma 1909), ma solo per una di esse, la Laude del peccatore alla Maddalena, in 114 terzine, esiste la tenue possibilità che sia opera sua, dato che nella rubrica del codice è attribuita a un "Frate Gierolamo de' frati romitani di s. Agostino", che nessun indizio spinge però a identificare con Girolamo da Siena. L'assegnazione a G. delle altre rime, adespote nel codice, è mero arbitrio del Perini. Sicura è, invece, l'attribuzione di una Salutatio Virginis Mariae, in terzine, conservata nel ms. A.1 sup. della Bibl. Ambrosiana di Milano, che prova come egli fu, con certezza, anche autore di versi volgari.
Fonti e Bibl.: Caterina da Siena, Opere, a cura di G. Gigli, II, Lucca 1721, pp. 759-764; T. Caffarini, Supplemento alla vulgata leggenda di s. Caterina da Siena, Lucca 1744, pp. 53 s.; Caterina da Siena, Lettere, a cura di P. Misciatelli, I, Siena 1922, pp. 242-248; T. Caffarini, Libellus de supplemento legende prolixe virginis beate Catherine de Senis, a cura di G. Cavallini - I. Foralosso, Roma 1974, pp. 17, 383-387; P.E. Elsen, Encomiasticon Augustinianum, Bruxellis 1654, p. 295; G. Lami, Catalogus codicum qui in Bibliotheca Riccardiana Florentiae adservantur, Livorno 1756, p. 219; F. Palermo, I manoscritti Palatini di Firenze, I, Firenze 1853, pp. 333 s.; A.C. De Romanis, S. Caterina da Siena e gli eremitani di S. Agostino, in Boll. stor. agostiniano, XXXIII (1948), 1-2, pp. 9-11; P. Brocardo, G. da S. maestro di vita spirituale (1355-1420), in Salesianum, XIII (1951), pp. 457-497; M. Sticco, Prosa agostiniana del Trecento, in Vita e pensiero, XXXVIII (1955), pp. 398-401; G. Ciolini, Scrittori spirituali agostiniani dei secoli XIV e XV in Italia, in Sanctus Augustinus vitae spiritualis magister. Settimana internazionale di spiritualità agostiniana, Roma… 1956, II, Roma 1959, pp. 369-372, 385 s.; L. Banfi, Nota su fra G. da S., in Giorn. stor. della letteratura italiana, CLI (1974), pp. 225-232; Rep. font. hist. Medii Aevi, V, pp. 151 s.