CORREGGIO, Girolamo da
Secondogenito di Giberto, conte di Correggio, e della poetessa Veronica Gambara, nacque a Correggio nel febbraio del 1511 e fu battezzato nella basilica di S. Quirino il 17 febbraio. Rimasta presto vedova (26 ag. 1518), Veronica ebbe cura dell'educazione dei figli: dapprima affidò il C. al correggese Ippolito Merli ed in seguito lo inviò presso il fratello Uberto Gambara, quando questi fu designato governatore di Bologna (8 maggio 1528), a compiere studi di diritto canonico e civile, di filosofia e di arte militare.
Il C. si trovava certamente a Bologna quando, tra la fine del 1529 e l'inizio del 1530, vi giunse Carlo V a ricevere la corona imperiale da Clemente VII e, con ogni probabilità, prese parte insieme a Marcantonio Flaminio, Pietro Bembo, Francesco Maria Molza, Giulio Camillo Delminio, Achille Bocchi, Francesco Berni, Claudio Tolomei, alle riunioni di letterati in casa di Veronica Gambara.
Nel marzo 1530 il C. accolse l'imperatore a Correggio. A questo periodo risalirebbero i suoi rapporti con Alessandro de' Medici che, rientrato a Firenze anche grazie all'aiuto di Ippolito, fratello del C., si sarebbe avvalso dei suoi consigli e della sua compagnia, quando il 28 nov. 1532 si recò a Mantova ad incontrare Carlo V.
Frammentarie sono le notizie per gli anni tra il 1530 e il 1540, che il C. sembra aver trascorso prevalentemente in patria, occupandosi del governo del piccolo Stato (era stato compreso insieme al fratello Ippolito e ai cugini Manfredo e Gianfrancesco nell'investitura accordata da Carlo V alla famiglia il 16 dic. 1520)e godendo l'atmosfera raffinata ed elegante di quella corte in cui principi delle vicine corti e letterati venivano richiamati dalla vivace intelligenza della madre. Dalla madre ereditò il gusto di circondarsi di uomini di cultura e le capacita epistolografiche che si possono riscontrare nella sua corrispondenza con l'Aretino.
A questo periodo risale la sua relazione con Paola Piloia, figlia del guardiano della Rocca di Correggio, da cui nacque nel 1540 un figlio, Alessandro, che verrà legittimato nel 1571.
Non è possibile stabilire quando il C. abbia deciso di abbracciare lo stato ecclesiastico, ma è certo che già nel 1534 Veronica nutriva ambizioni in tal senso per il figlio, se si augurava che il card. Niccolò Ridolfi fosse eletto papa e che "in tanta grandezza il mio Girolamo avesse quel ch'io desidero (V. Gambara, p. 204).
È probabile, tuttavia, che solo quando Uberto Gambara fu elevato al cardinalato (19 dic. 1539) fosse conferita al C. la prima tonsura (che gli consentì di ottenere dallo zio la badia di Campagnola) e gli venisse offerta l'occasione di recarsi a Roma, dove si trovava per lo meno dalla fine del 1540. Dovette presto entrare nella corte del card. Alessandro Farnese, che nell'agosto del 1543 ebbe un violento alterco con il card. Cervini per avere assegnato al C., pretendendo di averne il regresso, benefici vacati nella diocesi di Reggio Emilia, di cui era vescovo il Cervini. È a seguito del papa quando Paolo III si reca a Lucca nel settembre del 1541 per incontrarvi Carlo V e di nuovo nella primavera del 1543 quando pontefice ed imperatore si abboccano a Busseto. Nell'aprile del 1545 appare tra i domesticis curialibus che accompagnano il card. A. Farnese che va legato a Carlo V.
Partono da Roma il 17 aprile e, dopo una sosta a Trento, giungono il 17 maggio a Worms, dove vengono poste le basi dell'alleanza offensiva tra papa e imperatore, in vista della guerra contro la lega smalcaldica. In loro assenza Claudio Tolomei osservava che Roma era priva "de suoi primi lumi, et de suoi veri ornamenti" (Delle lettere…, p. 142). La convinzione che la guerra sarebbe iniziata quell'autunno fece correre la voce a Roma che fra i colonnelli che avrebbero comandato il corpo ausiliario pontificio vi sarebbe stato anche il da Correggio.
Nel settembre del 1545 il C. venne inviato in Francia a porgere a Francesco I le condoglianze di Paolo III per la morte del duca d'Orléans, il cui matrimonio con Anna, figlia di Ferdinando d'Austria, avrebbe dovuto consolidare la pace tra il sovrano francese e l'imperatore. Accolto con scarso entusiasmo dal re che differì anche l'udienza, il 12 novembre era di ritorno a Roma.
A seguito della stipulazione del trattato di alleanza tra Carlo V e Paolo III (26 giugno 1546), il 17 luglio il C. ricevette l'incarico di recarsi da Castel S. Giovanni a Ratisbona presso l'imperatore a comunicargli l'imminente arrivo delle truppe pontificie.
Dopo una brevissima sosta a Trento (19 luglio) con istruzioni ai legati di non sciogliere il concilio col pretesto della guerra, egli proseguì per la corte imperiale, dove giunse il 23 luglio benevolmente accolto da Carlo V, che per suo tramite fece sapere al card. Farnese che si opponeva alla traslazione o alla sospensione del concilio e chiese fosse rinviata la promulgazione del decreto sulla dottrina della giustificazione. Il 29 luglio raggiunse il Farnese a Rovereto e con lui ritornò alla corte imperiale. A metà novembre erano di nuovo a Trento dove il card. A. Farnese si accordò con Diego de Mendoza sulla sospensione del concilio, che sarebbe stata respinta dall'imperatore.
A Correggio al momento dell'assassinio di Pier Luigi Farnese (10 sett. 1547), il C. raggiunse immediatamente a Parma Ottavio, che lo inviò ad informare Paolo III del proprio rifiuto di restituire a Ferrante Gonzaga le fortezze al di là del Taro. Si trattò di una missione fulminea poiché il 22 settembre transitava da Bologna diretto a Parma in compagnia del tesoriere di Ottavio, Pietro Ceuli, latore di 1.500 scudi. Nel marzo del 1548 fu scelto dal card. A. Farnese come inviato alla corte imperiale, dove avrebbe dovuto trattare ilriavvicinamento tra Paolo III e Carlo V, ma, per l'opposizione manifestata da Francesco I contro tale scelta, fu sostituito da Giuliano Ardinghelli. Nel luglio del 1548, all'uscita da un "cenino" in casa del card. Corner, rimase ferito da un sasso che il card. A. Farnese gli lanciò in segno di saluto, provocandogli "un malo squarcetto" in testa.
Partecipò al conclave che elesse Giulio III in qualità di conclavista del card. A. Farnese e il 10 dic. 1549 fu deputato "pro expeditione privilegiorum quorundam" solitamente concessi ai conclavisti. Quando nel gennaio 1550 vennero estromessi dal conclave "regulos omnes, quos domicellos nuncupant", fu l'unico che ottenne di potervi rimanere, grazie alle pressioni del card. Farnese.
La morte della madre (1550), seguita poco dopo da quella del fratello Ippolito (1552), lo costrinse ad interrompere spesso il suo soggiorno romano per rientrare a Correggio. Inoltre la presenza del card. A. Farnese a Parma lo richiamò frequentemente in quella corte. Marcello II il 26 apr. 1555 lo designò nunzio di pace a Carlo V, missione che non potette aver luogo per la morte del pontefice. Immediatamente dopo l'elezione di Paolo IV il C. lasciò Roma.
Sembra che a trattenerlo suo malgrado lontano da Roma fosse il timore della zelantissima attività dell'Inquisizione, come ebbe a scrivere al card. A. Farnese: "Lo spirito è pronto et quel cielo di la mi fa come si dice una gola grande, ma non havendo punto di servitù con quei fra Micheli [Ghislieri] et quei R.mi Bernardini [Scotti], credo ch'io mi risolverò a star di qua" (Parma, Bibl. Palatina, Carteggio del card. A. Farnese, Cass. 99, Correggio, 8 apr. 1556). Che tali preoccupazioni non fossero del tutto infondate lo dimostra il fatto che la piccola corte padana non era rimasta immune dal contagio delle dottrine d'oltralpe. Intorno ad essa gravitavano figure sospette come Ortensio Lando e, soprattutto, Rinaldo Corso, nativo di Correggio, che aveva dedicato la Dichiaratione fatta sopra la seconda parte delle Rime della divina Vittoria Colonna... (Bologna 1543) a Veronica Gambara, la quale, dal canto suo, in alcune rime aveva trattato il tema della predestinazione e del rapporto tra fede ed opere in termini inequivocabilmente riformati. Due anni dopo usciva a Venezia la Prefatione del cardinal Federico Fregoso nella Pistola di San Paolo a' Romani, definita un "concentrato purissimo di teologia luterana" (S. Seidel Menchi, p. 84), che lo stesso Corso faceva precedere da una lettera dedicatoria ad un altro membro della casa da Correggio, l'agostiniana suor Barbara. Inoltre nel 1550, a seguito del suo matrimonio con Giberto da Correggio, si era trasferita dalla natia Modena Claudia Rangoni, figlia di quella Lucrezia Rangoni Pico che nel 1537 era stata pubblicamente denunciata per aver posseduto il Sommario della Sacra Scrittura e che aveva scelto quali precettori dei figli i letterati modenesi più sospetti d'eresia. Il rapporto del C. con Claudia - moglie del cugino - fu intenso e non privo di risvolti scandalistici (nel 1566 ne favorirà la fuga dal marito e nel 1567 si adopererà per ottenerle lo scioglimento del matrimonio), ma è difficile determinare se e quanto il C. sia stato partecipe delle esigenze di rinnovamento della fede, stimolate dalla conoscenza delle dottrine riformate, nutrite dalla Rangoni e dal Corso, che dal 1561 sarà suo segretario, o, più tardi, da Nicolò Franco che ne frequentò la casa a Roma alla vigilia del processo inquisitoriale, che si concluse con la sua impiccagione. Tuttavia, a posizioni maturate in questo ambiente sembra debba essere ricollegato il tentativo di organizzare la difesa del card. Giovanni Morone durante il processo per eresia sotto Paolo IV, quale emerge da un promemoria a lui indirizzato verosimilmente dal card. A. Farnese.
Il C. trascorse gli anni del pontificato di Paolo IV dividendosi tra le cure del governo di Correggio, costretto spesso a mediare tra i cugini, ed il servizio dei Farnese che lo impiegarono in varie missioni. L'8 ag. 1556 si recò a Bruxelles a trattare con Carlo V e il principe Filippo la restituzione di Piacenza ai Farnese, e il 13 agosto a Gand fu stipulato l'accordo in forza del quale Ottavio tornava in possesso dell'intero ducato paterno. Durante l'assenza del C. i cugini Camillo e Fabrizio erano entrati nella lega sacra conclusa fra il papa, il re di Francia e il duca di Ferrara contro la Spagna e l'Impero. Il C., fedele all'imperatore di cui i da Correggio erano vassalli, rovesciò l'alleanza ed al comando di un forte esercito entrò a Correggio (5 apr. 1557) e, avvalendosi anche dell'aiuto del duca Ottavio, la difese dagli attacchi del duca di Ferrara, che per protesta confiscò i beni dei da Correggio nel ducato.
Nel giugno del 1558 il C. si recò con il duca Ottavio da Filippo II per mezzo del quale ottenne la restituzione dei beni confiscati. A seguito della domanda rivolta il 9 luglio 1558 all'imperatore Ferdinando dal C. e da Giberto da Correggio al fine di ottenere il rinnovo dell'investitura e il diritto di battere moneta, il 16 maggio 1559 veniva concesso al C. e ai cugini Giberto, Camillo e Fabrizio il rinnovo dell'investitura del feudo di Correggio ed il privilegio di una propria zecca. In quell'occasione il castello di Correggio venne elevato al rango di città. Il 24 giugno 1559 veniva, inoltre, concessa da Ottavio Farnese al C., al figlio Alessandro ed ai suoi discendenti l'investitura della contea di Medesano.
Probabilmente su suggerimento del card. Giovanni Morone, il 26 febbr. 1561 Pio IV elevò il C. alla porpora cardinalizia con il titolo diaconale di S. Giovanni a Porta Latina (3 giugno 1561; fu poi trasferito ai titoli di S.Stefano al Celio, 5 maggio 1562; S.Martino al Monte, 14 maggio 1568; S. Prisca, 9 giugno 1570; S. Anastasia, 3 luglio 1570).
Il C. giunse a Roma solo il 28 aprile dopo aver ospitato a Correggio il card. Seripando che andava legato al concilio, e il 13maggio nel concistoro pubblico gli venne data la berretta. Nel settembre del 1562 rientrò a Correggio per risolvere le liti tra i cugini, ma anche per le difficoltà economiche che incontrava a Roma.
Nel 1563 riorganizzò le magistrature della Comunità di Correggio e raccolse i Capitoli e privilegj del Conseglio de' Signori Venti di Correggio (pubbl. a Carpi nel 1619). Nel 1554aveva istituito il Collegio dei notai, di cui Rinaldo Corso fu il primo priore. Nel novembre 1565 si recò a Trento e poi a Ferrara quale procuratore, insieme al card. Luigi d'Este, di Alfonso Il nelle sue nozze con Barbara d'Austria. Quindi si recò a Roma, dove il 9 dicembre era morto Pio IV. Il rappresentante di Filippo II, Requesens, riteneva che avesse qualche possibilità di essere eletto sia perché benvoluto da tutti, sia perché sarebbe stato proposto ed appoggiato dal card. A. Farnese, qualora la propria candidatura fosse stata respinta. Sarà, comunque, insieme al Gambara, al Farnese, al Vitelli ed al Rebiba tra i cardinali favoriti dal nuovo papa Pio V. Nell'autunno del 1567 era di nuovo a Correggio a mettere pace tra i cugini: fu la sua ultima visita alla patria. Nel 1568 Filippo II, desideroso di ricompensarlo della sua lunga fedeltà alla Spagna, lo propose per la ricca diocesi di Taranto, alla quale venne nominato il 13 maggio 1569.
In ottemperanza ai decreti tridentini progettò di andarvi a risiedere, ma le condizioni di salute glielo impedirono. Ebbe tuttavia cura della sua Chiesa che affidò al vicario generale Simone Giaccarelli con il quale mantenne una fitta corrispondenza fino alla morte.
Nell'ottobre del 1571, nonostante già all'inizio di quell'anno la sua salute fosse peggiorata, fu inviato come legato straordinario al governo di Ancona per fortificarla contro il Turco.
Rientrato a dicembre a Roma, alla morte di Pio V, fu il candidato alla tiara del card. A. Farnese, che si era visto opporre un secco rifiuto alla propria candidatura da Filippo II. I maligni, alludendo alla sua relazione con Claudia Rangoni, diffusero la voce che, eleggendolo, sulla cattedra di Pietro sarebbe salita, oltre al papa, anche la "papessa".
Morì a Roma l'8 ott. del 1572 e fu sepolto nella chiesa di S.Silvestro.
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