CLARICIO, Girolamo
Nacque a Imola intorno al 1470. Secondo le ipotesi di Dionisotti si recò a Pavia e a Milano, dove iniziò la formazione culturale e dove probabilmente rimase lavorando fin dal 1514 presso la stamperia milanese di Zanotto da Castiglione. La sua attività letteraria va, dunque, inquadrata all'interno di quell'ambiente sempre sensibile a sperimentazioni culturali, ma dominato da un'incertezza politica che probabilmente gli impedì "la possibilità di tentare una carriera umanistica".
L'impegno culturale del C. ha subito nei secoli un'ingiusta condanna al silenzio. Negli ultimi anni, ad opera soprattutto di studiosi come Dionisotti, Raimondi, Branca, è stato riaperto il dibattito sul valore dell'operazione editoriale da lui compiuta su due testi del Boccaccio: l'Ameto e l'Amorosavisione. Il C. esordisce come compositore di epigrammi greci e di carmi latini, mostrando fin dall'inizio il carattere pienamente umanistico della sua formazione culturale, che più tardi riproporrà "nell'esercizio di una filologia soggettiva... nella fede d'un gusto, elevato a norma assoluta" (Raimondi). Antichità e modernità costituiscono due livelli interagenti di confronto, che si armonizzano ponendosi ora come esempiarità scrittoria ora come recupero al gusto e alla sensibilità culturale del tempo. Ne viene fuori una dimensione specialissima del C. filologo, amante della classicità come categoria essenziale di riferimento e nello stesso tempo coinvolto nelle esperienze lessicali e grammaticali più moderne. Egli recupera, infatti, il legame che univa la filologia umanistica a quella latina penetrandovi però con timbro originale e personalissimo in cui confluiscono le nuove conquiste della revisione testuale, dall'edizione aldina di Dante a cura del Bembo fino alle Regole del Fortunio che per il C. rappresentarono un elemento primo di conoscenza della grammatica e della ortografia volgare. Il suo prodotto di analisi testuale appare un saggio equilibrio di "emendatio" e di "interpretatio". Il rigore filologico si unisce ad una capacità intuitiva di ammodernamento per cui il Boccaccio non viene ridotto a repertorio linguistico o stilistico ma diviene, nei termini della sua interpretazione, modello complessivo di riferimento.
La tensione dimostrativa, nella rilettura dell'Ameto e dell'Amorosavisione, appare identica, pur nella diversità dell'apparato critico più saldo e compatto nel secondo lavoro. Egli, infatti, esordisce in forma chiaramente programmatica: "sovra la presente Amorosa Visione, cui con simile pietate, ch'io nell'Ameto usato havea, di tenebroso carcere riscuotere e mandare in publico m'apprestava...", e prosegue riunendo in tre gruppi i detrattori del Boccaccio: coloro che negano la paternità dell'opera "per il nuovo e inusitato stilo alquanto affettuoso per mescolatione di latino idioma e che per ciò trallignando digenerava dall'altre Certaldesi prose"; quelli che "agremente contendevano il medesimo Autore non liavere mai composto terze rime..."; e quelli, infine, che "biasimavano cotal terze rime... quasi di nullo stile e di maggior studio che d'ingegno".
Il C. risponde sostenendo l'elevata qualità stilistica delle due opere e spiegandone le differenze in base alla diversa cronologia di composizione. Ma dove il tono si fa ancora più celebrativo, evidenziando il legame sotterraneo e persistente di affinità che lega il C. alla sua analisi, maggiormente si sottolinea il recupero complessivo dei testi alla sensibilità culturale del suo tempo. Infatti, "circa la troppa affettatione con vocaboli alquanto latini, rispondo non disconvenire a quella prima audace giovinezza: e anchora ampiare, aumentare, e adornare il volgare idioma... non esser vitio".
Egli, infatti, ripropone il sistema tipicamente cinquecentesco di verifica della validità testuale rispetto a canoni inderogabili quali l'eleganza e l'armonia. La sua operazione filologica, dunque, si colloca in un ristretto ambito petrarchesco ed in questo senso appare e si specifica il complessivo lavoro di edizione. L'incidenza continua sul testo si evidenzia in un'operazione analitica di "rimaneggiamento" a livello metrico (con prevalenza della sinalefe sulla dialefe), ma soprattutto a livello ortografico e grammaticale. Ed egli opera in una dimensione minima (tendenza costante alla dittongazione, uso reiterato dell'articolo indeterminativo, inserimento di preposizioni articolate) che si allarga vistosamente là dove il C. interviene sulla struttura del periodo in un riferimento di amplificazione attraverso il ricorso a preposizioni segmentanti l'unità frasica.
Tuttavia il rapporto diretto con il testo non allontana il C. dal disegno di "comprensione" finale. Egli intuisce le relazioni evidenti o sotterranee, coglie le corrispondenze significative che legano le due opere alla rimanente produzione letteraria del Boccaccio di cui probabilmente progettò un'edizione complessiva delle opere in rima.
Tale stesura venne interrotta dalla morte del C. avvenuta nel 1521.
Opere: Osservazioni di volgare grammatica sovra lo Ameto,con ammendatione di alcuni errori, Milano 1520; Apologia contro detrattori della Poesia di M. Giovanni Boccaccio,poeta e oratore dignissimo,con alcune menimissime osservationi in volgare grammatica sopra l'Amorosa Visione, Mediolani 1521.
Bibl.: V. Branca, L'editio pricenps della Amorosa Visione, in La Bibliofilia, XI (1938), pp. 40-50; V. Pernicone, G.C., in Belfagor, II (1946), pp. 474-486; E. Raimondi, Il C. Metodo di un filol. uman., in Convivium, n. s., II (1948), pp. 108-134, 258-311, 436-457; I. Baldelli, G. C. edit. dellaCelestina, in Giorn. stor. della lett. ital., CXXVII (1950), pp. 111-116; C. Dionisotti, G.C., in Studi sul Boccaccio, II, Firenze 1964, pp. 291-341.