CHIARAVACCI (Claravacaeus), Girolamo
Nacque a Pizzighettone (Cremona) verso la fine del sec. XV. Non conosciamo con precisione la data della nascita. Supponendo che l'Arisi, menzionandolo nella propria Cremona literata (II, p. 91) sotto l'anno 1530, si riferisca al momento della sua fioritura, si può pensare che sia nato tra il 1490 e il 1495.
La sua famiglia doveva essere discretamente agiata e, per testimonianza del C. stesso, possedeva un podere coltivato a vite e a frumento (Fasti, VI, c. 50). Questo permise di assecondare le inclinazioni del giovane C., che studiò prima privatamente a Pizzighettone e in seguito nelle scuole di Lodi come fanno pensare gli elogi per questa città contenuti nei suoi Fasti (I, c. 12)e il fatto che vi insegnassero valenti maestri. Imparò il latino e il greco e oltre alla cultura classica divenne buon conoscitore della tradizione biblica, anche per lo stretto contatto che egli ebbe con gli ambienti ecclesiastici della sua città e della vicina Cremona. Direttamente dal C. apprendiamo che si sposò ed ebbe una figlia; le sue parole "non chiedo che mia moglie ritorni giovane, o che mia figlia concluda un matrimonio migliore" (Fasti, VI, c. 50) inducono a pensare che si sia sposato giovane e che la sua condizione fosse agiata, ma non troppo.
Dallo stesso passo risulta che il podere familiare "due volte fu sottratto dal nemico, due volte tuttavia esso trovò il suo erede". Al di là della reminiscenza virgiliana, possiamo cogliere qui un accenno alle vicende della famiglia del C. durante le guerre tra il ducato di Milano e la Repubblica di Venezia. D'altra parte nel libro X, c. 103, dei Fasti il C. inserì anche un sincero elogio di Bianca Maria Visconti, signora di Cremona, che aveva respinto le truppe veneziane. Ma il tono laudativo dei Fasti nei confronti dei duchi di Milano si spiega anche per la concessione a Pizzighettone, da parte di Giovanni Maria (1472) e di Massimiliano, (1515), di importanti autonomie amministrative (Grandi, p. 114).
Fra i suoi conterranei, il C. fu particolarmente legato a Girolamo (o Giacomo) Trecchi, preposto della collegiata di S. Agata in Cremona, membro di una nobile famiglia, uomo pio ed esperto di lettere, scienze, filosofia e teologia (Fasti, II, c. 16). Ebbe anche rapporti di amicizia con Gian Giacomo Cipelli, preposto della collegiata di S. Bassiano in Pizzighettone. La vita del C., complessivamente, sembra essere stata quella di un uomo, onesto e religioso, dedito agli studi e alla famiglia, incline alle pratiche edificanti e attento all'amministrazione delle sue terre. Non risulta una sua partecipazione alla vita politica o municipale della città; nell'ode che Ottaviano Vignati di Lodi premise ai Fasti si fa cenno a una milizia del C. come "Christi... sacerdos", ma l'espressione è vaga e potrebbe escludere una reale carica ecclesiastica, se non l'appartenenza a qualche confraternita religiosa.
Negli ozi piceleonesi, il C. compose edivulgò manoscritto un ampio poema in dodici libri che, a imitazione dell'omonima opera ovidiana, volle intitolare Fasti.
Il poema pubbl. post. (Fastorum l. XII, Mediolani, apud Franc. et Simonem Moschenios, 1554) è preceduto da una lettera del nipote del C., Omobono, ad A. Farnese, card. di S. Lorenzo in Damaso, nipote di Paolo III, (12 giugno 1554). La dedica dei Fasti è di GiangiacomoGabiani, professore della scuola di Lodi, e con data in Lodi, 21 marzo 1549, è indirizzata allo stesso papa "siccome trovammo l'opera, dedicata a te, il Mecenate degli studiosi" (Praef., c. 2v). Nella prefazione il Gabiani menziona pure Elegiarum tres [libros] ac Epigrammatum unum, indicatigli con i Fasti da Omobono, di cui egli, anche per il contenuto cristiano, volle impedire la rovina e l'oblio. Tuttavia furono pubblicati solo i Fasti, mentre le altre opere, non stampate, sono irrimediabilmente perdute. È quindi errata l'affermazione del Draud (p. 1146), che sulla base di tale prefazione ammetteva l'esistenza a stampa delle elegie e degli epigrammi. Forse la pubblicazione ne fu impedita proprio dal cattivo stato di conservazione, o da motivi economici. I Fasti si presentavano incompiuti, mancanti probabilmente della definitiva revisione stilistica; ma il Gabiani, cui spettò la ricognizione dell'opera, afferma di essersi comportato come Vario e Tucca nei confronti dell'Eneide virgiliana. Omobono si occupò invece dell'indice e dei memorabilia a fianco del testo.
Seguendo l'esempio di Ovidio, il C. suddivise la materia secondo i dodici mesi dell'anno. Ogni libro presenta uno schema fisso, etimologia e storia del mese all'inizio, breve ricapitolazione alla fine. Inoltre il C. premette ai dodici libri, singolarmente, brevi invocazioni o protasi, in cui chiede l'ispirazione o la benedizione di un personaggio biblico (I, Mosè) o pagano (III, Pallade) o di una musa (XI, Urania). Egli si proponeva di redigere una specie di cronaca, sacra dove avessero il massimo rilievo gli episodi più "drammatici" dell'Antico e del Nuovo Testamento, e nello stesso tempo una specie di martirologio coordinato con il calendario.
Accanto alla materia edificante troviamo digressioni morali e filosofiche e una serie non molto ordinata di fatti storici e leggendari richiamati dalle antiche letterature. A grandi linee si può cogliere nei Fasti anche un disegno cosmologico, che va dalla creazione del mondo ai massimi esponenti della patristica latina al dibattito teologico-filosofico sulla Immacolata Concezione. L'autore inoltre non nasconde la sua ammirazione per le grandi figure di legislatori, filosofi, condottieri, mostrando in ciò la sua formazione scolastica.
Il metro elegiaco, nonostante l'accurata versificazione e il rispetto della prosodia, non riesce a evitare la monotonia della trattazione etiologico-edificante. Sono evidenti a ogni verso le reminiscenze, specialmente da Ovidio e Virgilio, sia nei particolari sia nel taglio dei singoli episodi. I Fasti del C., astraendo dai modelli classici di Alcimo Avito e Venanzio Fortunato, possono essere inquadrati nel filone, inaugurato dal Sannazaro con il De partu Virginis, proseguito dal Vida con la Cristiade (1535), dove con sofisticato sincretismo la materia sacra è riproposta secondo moduli classici, per lo più virgiliani.
La morte del C. si può collocare in un tempo di poco anteriore al 1549, dato che la prefazione dei Gabiani ai Fasti sembra ispirata al recente dolore per la perdita dell'amico.
Fonti e Bibl.: In gener., la fonte migliore per la sua vita è il C. stesso nei Fastorum libri XII. Il primo a registrarli fu C. Gessner, Bibliotheca instituta et collecta, Tiguri 1583, sub voce; cfr. inoltre M. G. Draud, Bibliotheca classica sive catal. officinalis, Francofurti 1611, p. 1146; I. Gaddi, De scriptoribus non eccles. Graecis,Latinis,Italicis, Florentiae 1648, p. 128. Per la grafia "Chiaravacci", di cui "Claravacaeus" rappresenta l'evidente latinizzazione umanistica, cfr. F. Arisi, Cremona literata, II, Parma 1705, pp. 91 s., che offre anche informazioni biografiche. Cfr. inoltre: A. Grandi, Provincia e diocesi di Cremona, II, Cremona 1856, p. 114. Lo studio più completo sul C., che tende a ricostruirne la vita e l'ambiente oltre a dare un'idea esauriente dell'opera, è quello di L. Cisorio, E. G. Crotti e G. Oldoini di Cremona,G. Claravaceo di Pizzighettone, Cremona 1916, pp. 41-56, 67-72.Per la diffusione ms. dei Fasti, cfr. L. Cisorio, cit., pp. 42, 68.Un codice è conservato anche alla Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 2846, forse l'esemplare di dedica del Gabiani al card. Farnese prima della stampa, dato che reca l'indicazione cronologica "1548" (per questo cfr. P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 125).