CAVAZZA, Girolamo
Da non confondere con l'omonimo presente in Spagna per conto del duca di Modena nel 1638 (cfr. F. Testi, Lettere, a cura di M.L. Doglio, III, Bari 1967, pp. 55, 58 s.,63), nacque da Giovanni a Venezia il 17 maggio 1588.
Famiglia d'origine tedesca quella del C. insediatasi nella città lagunare ancora nel Medioevo - a essa appartengono un Tommaso, che partecipa all'assedio di Padova sottoposta alla tirannide ezzeliniana, un Giovanni, prete, che fonda un ospedale nell'isola di San Cristoforo della Pace da lui ottenuta in concessione nel 1367, e un Leonardo e un Francesco, parroci, rispettivamente di S. Giuliano attorno al 1326-29 e di S. Cassiano attorno al 1365 - e quivi affermatasi socialmente ed economicamente (più d'una Cavazza, specie nella seconda metà del sec. XV, risulta sposata ad un nobile veneto; e un Bartolomeo, nel 1614, è guardiano grande della Scuola della Misericordia) e soprattutto distintasi per la crescente e sempre più qualificata presenza suoi membri nei ranghi della Cancelleria veneta (un Giovanni, per es., è "ragioniere" quanto meno nel 1521-22; e un Leonardo è cancelliere nella prima metà del sec. XIV). Né la grave colpa dei segretari Nicolò e CostantinoCavazza, imputati d'aver venduto, nel 1540, all'ambasciatore francese le istruzioni ad Alvise Badoer riuscì ad interrompere la continuità vigorosa di tale tradizione di servizio: tant'è vero che, come ricorderà lo stesso C., suo padre, Giovanni, morì "in Puglia, incaricato di publiche commissioni", e il fratello di questo, Gabriele, autore del Viaggio a Costantinopoli di sier Lorenzo Bernardo per l'arresto del... Lippomano... 1591 (ed. a cura di F. Stefani, Venezia 1886), fu segretario del Senato.
Pure il C. - come i fratelli Gabriele, che fu segretario presso varie ambasciate, del Senato e del Consiglio dei dieci e che morrà in Dalmazia, e Francesco, che fu coadiutore del provveditor generale a Candia - venne avviato alla carriera cancelieresca. Straordinario della Cancelleria ducale il 23 luglio 1607, ordinario il 14 ag. 1612, il grosso della sua esistenza è tutto un succedersi d'incombenze tra le quali prevalgono gli "impieghi esterni", al punto che il C., alla fine del 1652, potrà dire con orgoglio d'aver trascorso fuori Venezia ben 28 anni. Dopo un soggiorno romano alle dipendenze dell'ambasciatore Francesco Contarini, nel 1610 si reca in Spagna col rappresentante veneto Pietro Priuli e, morto questi il 2 ott. 1613 e consegnate "le scritture publiche" al successore, lascia Madrid il 10 genn. 1614 diretto a Parigi; e qui rimane sino al marzo 1616, segretario dell'ambasciatore Piero Contarini. Nominato, il 25 maggio 1616, segretario del Senato, la sua attività si esplica sempre più in forma diretta - come dirà con evidente autocompiacimento - in "maneggi di pace, di guerra, di leghe, dapertura de' passi e d'altri scabrosi affari". Nel marzo 1618 si svolge la sua breve missione a Mantova, concomitante colle pressioni esercitate a Torino dall'ambasciatore Renier Zeno, ai fini di favorire, per quanto possibile, l'"unione" sabaudo-gonzaghesca. Nel 1619 il Senato, preoccupato per le insidie spagnole alla "libertà", alla "pace" e alla "quiete" italiane, decide, il 23 marzo, di inviare - senza, peraltro, che l'iniziativa risulti gradita a Carlo Emanuele I - il C. a Mantova, Parma, Modena ed Urbino affinché da un lato fughi ogni dubbio sul carattere difensivo della "lega" veneto-sabauda (che gli Spagnoli, invece, andavano "divolgando" come "offensiva"), dall'altro, sensibilizzate quelle corti al problema della "libertà comune", la prospetti aperta "ad ogni principe italiano" in modo da sollecitarne l'adesione.
Nulli però i risultati della peregrinazione fatta dal C. in giugno: il Farnese, escludendo male intenzioni madrilene (si tratta, semmai, di iniziative personali dei "ministri" in Italia), si dice fiducioso nella "mente del re Cattolico" e nella "pia intentione" del papa; il Gonzaga motiva il suo rifiuto colla diversità d'"animi... fini et interessi" che lo contrappone al Savoia; l'Este trova la lega superflua non avendo Filippo III "pensiero alcuno d'occupare quel d'altri"; del pari netta la ripulsa del duca d'Urbino, anche se raddolcita da cortesissime espressioni.
Nominato residente in Svizzera, il C., varcato tra la "furia" dei venti il San Gottardo, entra a Zurigo il 24 febbr. 1623 e vi rimane - non senza che la sua salute risenta dell'"aria humida e freda di questo clima" - sino al 23 dic. 1628.
Espressione d'una politica che proclama proprio scopo precipuo "assicurar la quiete nell'Helvetia, la libertà al Grisoni et... divertir nuovi travagli" dall'Italia, egli deve "penetrar" il più possibile i disegni del governatore di Milano, opporsi sistematicamente ad ogni "pretensione" spagnola d'"haver il passo libero per di là da' monti" (donde, ad esempio, il suo adoperarsi perché il "passo di Orsera" venga chiuso, da parte di "quelli di Altorf" alle "tante genti che, per servitio di Spagnoli, passano" in Italia), sostenere i Grigioni nella loro opposizione alle pressioni ispano-pontificie, o "incalorir" tutti i "popoli" svizzeri "alla comune libertà", mantenere la "buona intelligenza" con Bormio, vigilare attentamente sulle mosse "dell'armi imperiali". Suo compito, inoltre, sollecitare la partenza dei colonnelli e capitani assoldati da Venezia e fornire loro il denaro - di cui dispone grazie a "lettere di credito" e di "cambio" - necessario per le "levate". Ricchi di notizie i dispacci del C. su le "cose d'Alemagna" e la guerra condotta dal "re di Danimarca", gli umori variabili degli Svizzeri e la loro diffidenza "nella corona di Francia", l'intolleranza cattolica in Valtellina, le lamentele di quanti, "calati nel Milanese", si pentono, perché "non pagati e in carestia del viveri", d'aver accettato di militare per la Spagna; molti di questi, "amalati e… sani", abbandonando i loro reggimenti, tornano indietro, mentre "ogn'uno esclama... contro Spagnoli per il mal trattamento che fanno".
Rientrato a Venezia, il servizio del C. non conosce pause, essendo subito inviato al provveditore oltre il Mincio, Zaccaria Sagredo. Per pochissimo, però: il 3 marzo 1629 il Senato dispone che, precedendo l'ambasciatore straordinario Girolamo Soranzo, si trasferisca "immediate" presso Luigi XIII e il Richelieu, seguendoli in ogni loro spostamento sino all'arrivo di quello.
Messosi prontamente in viaggio, raggiunge Genova e, quindi, Ventimiglia; quivi s'imbarca, il 17, in una minuscola imbarcazione "per Antibo"; ma, all'altezza di Mentone, "terra de... principe di Monaco", viene bloccato dalla galera del Doria "generale della squadra di Genova del re cattolico". Ingoiata, a ogni buon conto, la cifra, il C. subisce l'interrogatorio del marchese di Castañeda, ambasciatore spagnolo a Genova, il quale, rifiutando di riconoscere la sua "patente" (d'altronde il C. aveva cercato d'ingannarlo dicendo di esser diretto in Spagna e rivela solo in un secondo momento la sua vera destinazione) e sospettando in lui un emissario mantovano, lo fa trattenere dal principe di Monaco, che, peraltro, gli riserba un "buon trattamento" nel "proprio palazzo". L'"accidente" si risolve, comunque, in breve, ché, riconosciuto per inviato veneto, il C. può proseguire - per ordine espresso del governatore di Milano pervenuto il 20-liberamente il suo cammino per Nizza donde raggiunge Trino e Avigliana, dove ha un incontro col duca di Savoia.
Ricevuto, il 13 sett., dal Richelieu, il 16 novembre è a Lione e il 24 a Marsiglia; e qui e a Tolone rimane sino alla fine del 1630, incaricato - e perciò dispone di notevolissime somme - di verificare i "rolli" delle compagnie arruolate per la Repubblica, di controllarne l'equipaggiamento e di noleggiare i vascelli per la loro partenza. Quindi il Senato. il 28 dic. 1630, lodatolo per l'invio "del pieno delle nostre militie" e per le "diligenze per avvantaggiar il nostro servitio nella compra delle arme", gli ordina di "trasferirsi nell'armata" francese "in Italia per dimorar appresso a' capi di essa, assister alle trattazioni et a gli andamenti loro".
Mentre il C. è, tra il gennaio e il marzo del 1631, col campo regio a Rivoli e poi a Vigone, le istruzioni si precisano: è doveroso che Venezia, la quale ha sempre mirato alla "libertà" d'Italia e, perciò, è stata coinvolta, suo malgrado, nei "motti" della guerra di successione di Mantova, non sia tagliata fuori dalla "negotiatione in più parte maneggiata" ed ottenga lo sgombero delle truppe spagnole e imperiali ancora "dentro suoi stati" sì che i suoi territori siano restituiti al "primiero stato"; in particolare il C. deve "eccitar l'unione et il rinforzo di quell'armata" francese "et sollecitar la devastatione delle fortificationi lasciate da' Spagnoli al recinto fuori Casale". In costante contatto col luogotenente regio in Italia maresciallo Toiras e col Servien, consigliere e segretario di Stato, entrambi delegati alle trattative, il C., che tra il 2 aprile e il 26 giugno risiede a Cherasco, ha appunto il compito "d'essersi condotto all'assistenza del congresso per andar di concerto con li ministri francesi nelli comuni interessi". Di fatto occorre vigili perché gli Spagnoli, in una "pace tanto desiderata da buoni principi, tanto sospirata da popoli", non conservino posizioni troppo vantaggiose e non accampino pretesti per ritardi e rinvii; naturalmente, essendo la sua voce poco autorevole, deve convincere le autorità francesi ad essere esigenti ed intransigenti nei confronti di quelli. A Chieri, al seguito del Servien tra la fine di giugno e metà luglio, il C. si sposta a Casale che lascia per Venezia il 24 maggio 1632.
Promosso segretario del Consiglio dei dieci il 13 sett. 1633, alle dipendenze del provveditor generale da Mar Alvise Zorzi nel 1640-41, il 18 dic. 1643 viene "destinato in Grisoni et Svizzeri... per veder di ottenere il passo da quelle nationi"; "lasciate all'abbandono tutte le cose" sue, il C. affronta senza indugi il "travaglioso viaggio in staggione la più horrida" giungendo a Coira il 5 genn. 1644 e quivi, destreggiandosi abilmente tra richieste troppo esose e, nel contempo, alimentando la disponibilità dei più influenti personaggi con oculate promesse di donativi e favori, ottiene il suo scopo. Ultimata, col successivo soggiorno zurighese dell'aprile-ottobre 1644, la missione, il 18 luglio 1645 il Senato lo sceglie ancora perché si rechi, con tutta urgenza, a Malta ad assoldarvi "militia" per poter efficacemente fronteggiare l'aggressione turca contro l'isola di Candia.
La Repubblica - commenta con una certa acidità l'ambasciatore francese Nicolas Bretel de Gremonville -, dopo aver più volte e giustamente condannato l'irresponsabile e criminale comportamento dei cavalieri, colpevoli, anche pel Gremonville, di "piraterie manifeste", invia il C. "pour demander à leur maître les hommes qu'ils peuvent avoir de superflu qu'ils offrent de bien payer, demandant aussi les galères de la religion" (cfr. Piccolomini), cui spettava la responsabilità di gravi provocazioni antiottomane. Partito il 22 luglio, il C., dopo una sosta a Firenze, s'imbarca a Livorno per Messina e di qui, con rischio di naufragio, guadagna Malta il 14 agosto. Con poco frutto ché, con impagabile ipocrisia, il gran maestro gli dice: "haveressimo goduto che passassero al servitio" di Venezia "le militie che si trovavano qui, ma erano state licenziate prima che giungessero le nuove di quei signori di haverle et ce ne dispiace assai". Lo "sbando", già avvenuto dunque, delle milizie vanifica ogni speranza di inviarne un nutrito contingente a Candia assalita.
Non restano al C. che compiti di minor rilievo: spedire al capitano generale da Mar la cospicua somma di 10 mila "reali" e 2 mila "doppie di Spagna"; avviare trattative con cavalieri francesi per vascelli "d'armarsi in Francia" con soldati e artiglieria; cercare di "fermar", tra le truppe licenziate e non ancora partite, "bombardieri, marinai, ingegneri et altra simil gente da guerra". E poiché in Francia si offrono maggiori possibilità di "levate", lasciata Malta il 4 novembre, sbarca, superata un'"horribile borasca", il 16 a Tolone: ha così inizio il suo soggiorno francese prolungato sino al luglio del 1646, nel corso del quale -risiedendo per lo più a Marsiglia donde si reca, temporaneamente, ad Arles e, talvolta, a Tolone - è incaricato, essendo a tal fine fornito di notevoli somme, di sollecitare "l'ammassamento delle militie per la partenza delli vasselli", di sorvegliare che i "cannoni" di questi siano "ben muniti", di valutare che gli arruolati siano "della gente migliore con capitani et officiali sperimentati" e con tecnici, "ingegneri minatori et altri prattici", qualificati, avendo inoltre "cura che vengano tutte le genti armate".
Di nuovo a Venezia, i meriti delle sue "applicationi incessanti" non vengono ignorati ché, nell'elezione del 1º settembre del nuovo cancellier grande che vede prevalere Marcantonio Busenello, il C. ottiene, risultando secondo nelle due votazioni con 444 voti nella prima e 480 nella seconda, una significativa affermazione. Ed ulteriore prova di stima gli viene da parte del Senato che, il 6 apr. 1647, lo invia a Monaco "a fine di trattar l'accordo et condotta nello stato nostro di quei reggimenti che saranno sbandati dal duca di Baviera".
Messosi in viaggio, il C. - dopo aver ottenuto, nella rapida sosta a Innsbruck del 24-25, le Conditioni capitolate sopra il passaggio per li stati del ... arciduca Ferdinando Carlo d'Austria delle, genti da guerra destinate al servitio ... di Venetia, subordinato al semplice impegno di evitare "qual si sia molestia al paese" - è a Monaco il 30 trattenendovisi sino al 15 luglio, chiedendo, pel momento, l'arruolamento di 3 o 4 mila fanti da "impiegarsi contro turchi".
Più impegnativa la successiva permanenza, tra il 31 dic. 1648 e il 4 giugno 1650, nella capitale bavarese, quando, approfittando della massiccia smobilitazione conseguente alla definitiva conclusione della guerra dei Trent'anni, contratta gli arruolamenti per conto della Repubblica e predispone le partenze dei reggimenti a quella destinati. "Tutte le leve da te accordate... restano da noi approvate - gli scrive il Senato, lodandone l'operato - tanto nel numero e nella qualità della gente ammassata sotto la tua direttione quanto nel risparmio del danaro e della spesa". Ed il C. è a Trento, sulla via del ritorno, quando gli si ordina di recarsi subito a Vienna, presso il rappresentante veneto Nicolò Sagredo, e quivi aspettare ulteriori istruzioni. Una nuova delicata missione l'attende: ottenere, "nella manifesta declinatione delle forze ottomane", il vigoroso concorso polacco alla lotta contro il "nemico comun".
Raggiunte Cracovia e quindi, il 20 sett. 1650, Varsavia, qui si trattiene - salvo rapidi spostamenti a Lublino, Krzemieniec (Kremenec) e Leopoli - sino all'inizio di settembre del 1652. Con scarso risultato ché - per quanto la corte abbondi di buoni propositi e vi si ventili "trattato di lega" della Polonia e della Lituania con Venezia, per quanto l'avvenuto "aggiustamento de' polacchi e cosacchi" sia "udito" dal Pregadi "con sensi di perfetto contento", nella fiducia induca entrambi alla lotta antiturca per terra e per mare - di certov'è solo la sfacciata disponibilità della nobiltà polacca e dell'atamano dei Cosacchi Chmel´níckij a essere finanziariamente foraggiati senza contropartite. Nemmeno si concreta, infatti, il più modesto obiettivo, perseguito con sfortunata tenacia dal C., d'una "mossa" di "saiche" cosacche nel Mar Nero, per la quale Venezia era disposta a stanziare 30 mila reali; è sin troppo "chiara... l'alienatione" dell'atamapo - che rimane in "corrispondenza" colla Porta - "dall'inferir danni a' Turchi".
Rientrato a Venezia col legittimo orgoglio d'aver evitato "ogn'inutile dispendio" e d'aver conservato i 50 mila ducati messi a sua disposizione "a rischio della vita et a proprio costo", non gravati, cioè del 7 o 8% "che si sarebbono perduti nel cambio et nella valuta de gl'ongari posta a credito" della Serenissima, l'anziano segretario può vantare un servizio di oltre quarantacinque anni durante i quali, con rilevanti "vantaggi e risparmi di grandi somme d'oro a beneficio publico", è riuscito ad ottenere l'arruolamento di circa 27.000 fanti "nell'occorrenze de' più stringenti bisogni" nonché "cavalleria ancora e vascelli armati".
Manca, a rendere completo il suo autocompiacimento, il titolo nobiliare; di qui la supplica, del dicembre 1652, d'aggregazione all'aristocrazia veneziana - da lui presentata assieme ai fratelli Giacomo e Antonio Lion di Girolamo, due nobili padovani imparentati col C. avendo sposato, rispettivamente, Laura e Francesca Cavazza, figlie del suo defunto fratello Gabriele - avvalorata colla promessa dell'ingentissimo versamento di ben 200.000 ducati, 60.000 "in libero puro dono" e 140.000, "da esserne dato credito nelli depositi... di Zecca" - che ottenne il voto favorevole, anche se non unanime, del Maggior Consiglio.
Divenuto, dunque, nobile veneto il 31 genn. 1653 lo attende una prolungata vecchiaia, confortata dalla ricchezza, dalla fama d'uomo munifico - in effetti per le occorrenze della guerra di Candia versa mille ducati nel 1657 e 10.500 nel 1667 - e dal prestigio accumulato nel corso della sua operosa esistenza.
Ricordata la sua "man dispensatrice", Francesco Carboni, nei suoi Devotissimi tributi al merito impareggiabile dell'illustriss. ... G. C. ... (Venezia 1668), lo affianca ai "Curtii... Scevoli... Decii", lo dice "caro a' cittadini, diletto a' popoli, nomaio a' stranieri, immortale alla gloria"; due nobili padovani, Giovanni Cavazza Lion (questi, evidentemente, suo parente) e Giacomo Zabarella a lui dedicano, corredandola inoltre d'un suo ritratto, la loro fatica d'erudizione antiquaria Aula Zabarella, sive elogia illustrium Patavinorum... (Patavii 1670). Abita, a S. Lucia, nel suo palazzo - demolito nel secolo XIX - prospiciente il Canal Grande, dalla facciata marmorea: piuttosto allungato, attesta Giustiniano Martinioni, "ripartito dentro in tre suoli", ha stanze spaziose, specie "quelle di mezo", abbellite queste da "portoni e porte guarnite" e "nape de camini adorni de stucchi eccellenti", arredate tutte con mobilio lussuosamente rifinito. Soprattutto suggestivo, comunque, l'"appartamento basso", un autentico "paradiso" senza eguali, a Venezia, per approntarlo il C. "niente ha risparmiato" della sua "studiosa applicatione". La "galleria" d'accesso poi, con sculture antiche e "ovati" con pitture di maestri moderni (il Liberi, Pietro Vecchia), sotto i quali vi sono bassorilievi, teste scolpite, quadri più grandi, la stanza successiva con sculture più piccole e meraviglie naturali, le piante d'arancio spiccanti su diuno sfondo irreale dovuto a pittori bresciani offrivano agli occhi stupefatti dei contemporanei una delle più compendiose e affascinanti esemplificazioni del gusto barocco; una illusionistica atmosfera di meraviglia, il contrasto arte natura, l'antitesi antico moderno, l'accostamento, bizzarro e paradossale, di pittura e scultura, l'accumulazione estrosa di reperti curiosi.
Protettore dei carmelitani scalzi, grazie alla sua donazione di 75mila ducati viene eretta, su progetto (più organico di quello di S. Salvador, ma anche meno brillante) di Giuseppe Sardi, la facciata marmorea della chiesa di S. Maria di Nazareth o, appunto, degli Scalzi. L'8 maggio del 1681, nel dettare, ormai novantatreenne e, come tale, "il più anziano di tutto l'ordine patrizio", il suo ultimo testamento, ove nomina erede universale il pronipote Girolamo Lion "primogenito del fuconte Giacomo e di mia nipote Laura", il C.insiste su questa sua benemerenza ringraziando Diod'avergli "concesso di veder finita" la "facciata" che rimette "accompita... nelle mani de' ... padri, i quali hanno grande occasione di accarezzarla essendo il solo edificio... nel mondo christiano... di questa qualità"; l'erede dovrà aggiungere, "nella sommità del frontespicio", altre due statue, miranti quella del Salvatore, che appaiano "nella lontananza... maestose... dilettevoli".
Di lì a poco, il 29 maggio 1681 il C. muore "da vechiezza e catarro" e viene sepolto, nella chiesa della Madonna dell'Orto, nel greve monumento funebre in marmo elevato, per lui e la famiglia, ancora nel 1657 su progetto del Sardi.
Anche questa volta non aveva badato a spese: sfarzosamente policromo, lo adornanole statue dell'Onore, Virtù, Prudenza, Magnificenza attribuitea Giusto Le Court, mentre quelle del coronamento si devono a Francesco Cavrioli; vi spicca il busto del C.,opera del carrarese Sante Cassarini, autore, forse, anche dei due busti laterali dedicati ai fratelli del C. Gabriele e Francesco.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Senato, Secreta, regg. 103, c. 192v; 114, cc. 47v-49r, 91r, 92r, 108v-109r, 196v, 204r; 121, c. 184; 122, cc. 8r, 21v, 52v-53r, 67v-68v, 108v, 154v, 162v-163r, 345; 123, cc. 71v-72r, 84v-85r, 235r-236r; 124, cc. 11v, 41v, 54r, 61v-62r; 125, cc. 185, 284r, 358v-359r, 365v-366r, 373, 387v; 126, cc. 3v-4r, 202v-203r; 127, cc. 13, 33v, 41v-42r., 52v-53r, 67r-68r, 99, 107v-108r, 113, 123v, 146v-147v, 153v, 200r, 217, 219v, 227v, 228, 230r; 128, cc.31, 51r, 70, 76r, 84, 98v, 112r-113v, 152, 169r, 173, 188v-189v, 205, 220v-221v, 238, 243v-244r, 255; 129, passim dalla c. 143v; 130, passim alle cc. 12v-26v, 55r-88v, 103, 142v; 132, cc. 15v, 320; 133, cc. 59v-60r, 120r-121r, 211v-212r, 223, 239; 134, cc. 148v, 149, 187v-188r, 319v; Ibid., Senato, Corti, regg. 1, cc. 96v 160r passim; 2, cc. 8r-24sr passim; 3, c. 29v; II, passim; 14, cc.117v-142v passim; 15, cc. 3r-39v passim, 51r, 68v, 80v; 16, cc. 109, 123, 145v-146r, 156, 160, 178v-179v; 17, cc. 3v-183v passim; 18, cc. 3, 25v-26r, 42, 57, 72, 102v, 125v-126r; 19, passim; 20, cc. 5r-288v passim; 21, cc. 62v-249v passim; 24, passim; 25, passim; 26, cc. 5r-74r passim; 101v, 104v; 27, passim; 28, cc. 2r-244r passim; 29, cc. 4r-72v passim, 90, 109v, 113v, 141v-142r; Ibid., Senato. Deliberazioni Roma, reg. 49, passim da c. 70v; lett. del C. Ibid., Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di ambasc. e rappresentanti, busta 30/137, 138, 190; Ibid., Notarile. Testamenti, 1167/200; Ibid., Avogaria di Comun, 159, alla data di morte; Venezia, Bibl. del CivicoMuseo Correr, mss. P. D., 2387, lett. del C. dalla Polonia del 18 ag. 1650-19 marzo 1651; Ibid., mss. P. D., 359 C, lett. del C. dalla Polonia del 21 ag. 1650-15 ott. 1651; Ibid., cod. Cicogna, 2357, n.n., lett. del C. del 17 marzo 1652 da Varsavia a MarcoOttobon di congratulaz. per la "cardinalità" del fratello Pietro; Ibid., mss. P. D., 613: Origine delle famiglie aggregate per l'offerte nella guerra di Candia..., c. 11; Ibid., Cons. XI. EG: Libro... degl'ecc.mi Procuratori.. cancellieri grandi..., n.n.; Ibid., Misc. Correr, 1989 (la supplica, incompleta, del C. per l'ammiss. alla nobiltà); Venezia, Bibl. naz. Marciana, ms. It., cl. VII,15 (= 8304): G. A. 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