CASTIGLIONE, Girolamo
Le notizie che possediamo sul suo conto risalgono esclusivamente a quanto egli stesso premette al Fiore di Terra Santa, il libro di viaggi grazie al quale ci è stato trasmesso il suo nome. Del Fiore si conoscono tre edizioni (la terza è tuttavia una semplice ristampa della seconda), apparse rispettivamente per i tipi di Eucharius Silber (Roma, poco dopo il 2 maggio 1491, data in cui l'autore dichiara di aver completato l'opera), Georg Ricker (Messina, 1º dic. 1491, se, come è probabile, si deve riconoscere in questa data non quella finale di composizione dell'opera, che abbiamo già visto diversa nell'edizione romana, bensì quella in cui fu portata a termine la stampa) e Wilhelm Schomberger (ancora Messina, 6 ag. 1499, a spese di Matteo Pangrazio). L'incunabolo romano reca la dedica in latino a Guglielmo (in realtà Girolamo) Calagrano, che era cubiculario del pontefice Innocenzo VIII, mentre la prima delle due edizioni messinesi, che occupano un posto di rilievo nella storia dell'arte tipografica in Sicilia, fu dovuta alle insistenze di don Francesco de Bivero, che sappiamo essere stato stratigoto di Messina nel 1491-92.
Dalla prefazione al Fiore si sa che il C., "alleuato e nutrito nella nobile e inclita cita de Milano",era frate e aveva il titolo di predicatore apostolico. La dedica al Calagrano fa supporre suoi buoni rapporti con la corte di Innocenzo VIII, mentre la richiesta di una nuova edizione del Fiore da parte del de Bivero rende verosimile un non troppo breve soggiorno messinese del Castiglione. Ultimo dato biografico disponibile è l'anno 1486 in cui il C. effettuò, o piuttosto cominciò, il suo viaggio in Terrasanta.
In realtà nel corso del suo pellegrinaggio il C. non si limitò a visitare la Palestina, ma toccò anche il Libano, la Siria e l'Egitto. La durata complessiva del viaggio, a stare ai tempi di alcune tappe indicati dal C., dovette senz'altro superare l'anno. Dopo aver a lungo peregrinato per il Mediterraneo orientale il C. sbarcò a Giaffa, da dove si diresse a Gerusalemme, che scelse come base di partenza per una serie di viaggi verso alcuni dei più famosi luoghi santi della Palestina (Betlemme, Hebron, Nazareth, Cana, Cafarnao, il Giordano, il Mar Morto). Trasferitosi quindi a Damasco, volle andare alla scoperta delle rovine di Babilonia, ma dopo tre mesi di marcia nel deserto dovette desistere e tornare sui suoi passi. Imbarcatosi a Beirut, si diresse ad Alessandria, da dove risalì in barca il Nilo fino al Cairo. Qui, con l'aiuto di un dragomanno, organizzò una carovana di cinque cammelli con cui, dopo essere passato da Suez, s'inoltrò nel Sinai fino al monastero di S. Caterina. Sulla via del ritorno toccò Gaza e, imbarcatosi a Damietta, fece infine ritorno dopo ulteriori tappe a Venezia.
Il C. si dimostra cronista scrupoloso e attento, che ad un vivo desiderio di conoscenza unisce una fede semplice e schietta. Avverte infatti i suoi lettori che al pellegrino cristiano in Terrasanta occorrono soprattutto fede e pazienza, la prima per credere, nonostante che non si trovino "in quelli lochi sancti se non saxi e terra", che vi siano realmente avvenuti i fatti narrati nell'Antico e Nuovo Testamento, e la seconda per sopportare i maltrattamenti di ogni genere cui i musulmani sottopongono i visitatori di altra religione. Generalmente il C. si attiene nel suo racconto a ciò che ha in effetti visto e se talvolta esagera, come avviene per alcuni dati riguardanti il Cairo e Damasco, ciò è principalmente dovuto ad informazioni fornitegli dalle guide. Le sue minuziose descrizioni di chiese e monasteri offrono un utile contributo alla ricostruzione dell'aspetto e della storia di monumenti oggi scomparsi o profondamente mutati. Non mancano naturalmente nel Fiore parti poco interessanti o francamente tediose (soprattutto quelle in cui la vista di luoghi famosi ispira al C. prolisse rievocazioni di episodi biblici), ma nel complesso il valore storico-documentario dell'opera rimane notevole. La lingua usata dal C. è un italiano non propriamente letterario, anzi intriso di inflessioni dialettali di chiara impronta settentrionale. L'ultimo dei 164 capitoli del Fiore contiene la tradizionale invocazione ai principi della Cristianità affinché, riuniti sotto la guida del pontefice, si decidano a riconquistare la Terrasanta.
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