CAPPELLO, Girolamo
Secondo dei tre figli maschi di Vincenzo (1522-1604) di Domenico e Andriana di Girolamo Grimani, nacque a Venezia il 30 ag. 1546 e si sposò, nel 1605, con Paolina di Benedetto Lando, vedova di Francesco Molin di Vincenzo, da cui ebbe un figlio, Vincenzo (1606-1673). Giovane e fresco di studi pubblicò a Padova, nel 1570, presso lo stampatore Lorenzo Pasquato, un trattatello latino, De disciplinis ingenuis,urbe libera liberoque iuvene dignis,per compendium in capita resolutis, dedicato al patriarca di Aquileia Giovanni Grimani, al quale era legato da vincoli di parentela e di affetto. Vi esponeva succintamente gli studi formativi per l'"homo liber et ingenuus", distinguendo in tre gradi gli aspetti di una educazione completa: "attinentia ad curam corporis", "ad compositionem appetitionis", "ad institutionem rationis et mentis".
Il tono è didascalico e ripetitivo; tuttavia, pur nei suoi limiti di compilazione scolastica, l'operetta presenta un qualche interesse in quanto testimonianza delle ammanierate idealità tardorinascimentali del patriziato veneziano del secondo Cinquecento, non immuni peraltro da preoccupazioni controriformistiche. Non per niente si preoccupa di dichiarare, nell'epilogo, quasi a scusa di non averne trattato, che la teologia è "fundamentum" d'una vita retta, principio informatore "omnitum disciplinarum", vera guida dell'animo, fonte di luce perenne nelle tenebre dell'umana ignoranza. Significative le pagine "de attinentibus ad nobiles et probos cives", cioè "de illis... quae virum iam formatum et libertate donatum decent". Proprie al "vir ingenuus" l'architettura, le scienze, la medicina, la "ars chymica", la divinazione, la scienza antiquaria, la milizia, la navigazione. E vien da pensare al compiaciuto ritrarsi della nobiltà in villa, lontano dal rischioso esercizio della mercatura, quando il C. include tra le attività più decorose confacenti alla dignità dell'uomo anche l'agricoltura, "non quidem ut corpore laboret, sed ut naturae vires advertat et aliis praecipiat"; implicita esaltazione dunque dell'olimpico possidente terriero, alieno da qualsiasi concreto impegno nel faticoso lavoro dei campi. Escluso invece il commercio; "genus cum quaestum respiciat vile et sordidum, est nec viro ingenuo consentaneum", preferibile tuttavia alla degradazione delle arti liberali quando queste siano avvilite sino a trasformarsi in professioni volte al guadagno. Ché il C., senza ombra di dubbio, ritiene "magis vituperandos esse eos qui artem aliquam ingenuam dirigunt ad quaestum, quam qui mercaturam exercent gratia lucri".
Graduale l'affermazione del C. nella vita politica. Dopo essere stato savio agli Ordini, fu, per circa un anno e mezzo, a partire dal 12 ott. 1578, data del suo ingresso, podestà e capitano di Feltre, avendo come vicario il veronese Girolamo Monselice; di questo periodo restano due lettere, del 20ott. 1578 e del 25 ott. 1579, ai capi del Consiglio dei dieci. Nell'ultima il C. assicura d'aver esortati "li... deputati, sindici et esattor di questa magnifica comunità", perché s'affrettino a riscuotere i "sussidii ordinari et estraordinarii" e ad inviarli alla "cecca"; lo stesso "officio" ha compiuto col vescovo, "esattor.. delli sussidii del clero". Scarse pure le notizie sugli anni 1583-1584, nei quali il C. fu provveditore a Salò e capitano del lago di Garda: nelle due lettere, del 22 dic. 1583 e del 19 sett. 1584, ai capi del Consiglio dei dieci il C. sottolinea la necessità di porre fine alle violenze e ai soprusi di un notorio assassino, Girolamo Bergognino, "persona potente fatiosa et insolente, che si fa lecito di andare per tutto quel territorio con setta d'huomini, armati tutti d'archebusi con scandolo et terrore di tutti". Il C. è quindi savio di Terraferma e tale è rieletto il 31dic. 1590. Nominato capitano di Verona il 23 giugno 1591, ne rimane una lettera, del 1592, ai capi del Consiglio dei dieci. Viene in seguito eletto: membro del Pregadi il 21 sett. 1591, il 13 luglio 1600 e il 9 ag. 1602; provveditor alla Giustizia "vecha" il 3 ott. 1593; provveditor sopra i Danari il 9 ottobre 1594; censore il 9 apr. 1600; savio del Consiglio il 27 dic. 1601; ancora savio del Consiglio e capitano a Brescia nel maggio del 1603. Vi risiede dal settembre del 1603 all'aprile del 1605.
Nella primavera del 1604 ispeziona la fortezza di Orzinuovi, che aveva "una cortina" completamente "caduta" ed un'altra pericolante, affidando i lavori di restauro e rafforzamento all'ingegner Buonaiuto Lorini; e provvede, inoltre, a "fabricare nel palazzo" di quel provveditore "alcuni magazeni per le armi e vettovaglie". In ottemperanza agli ordini del Senato, che vietavano l'emigrazione dei "maestri armaroli" fa il possibile per trattenerli; ma questi non avevano "da lavorar" e si recavano di continuo dal C., le cui "camere" erano "sempre... piene di questi meschini, i quali continuamente protestano che, per non perir loro et i figliuoli, saranno astretti abbandonare questa patria". Il C., grazie ad una sovvenzione di 6.000 ducati, riesce a farli rimanere a Brescia, "con molta loro soddisfattione" ed un avvio di ripresa della loro attività: "le botteghe si sono accresciute - scrive al Senato il 27 ott. 1604 - et il negozio si è incaminato molto bene". Certo occorre però elargire ogni anno un analogo contributo. Nel frattempo ben tredici che "lavorano l'arcobuggi" erano passati da Salò nel Milanese; ed il C. informa, il 10 nov. 1604, di aver fatto arrestare "quello che sviava di qui".
Di nuovo a Venezia, il C. è rieletto savio del Consiglio il 26 maggio e 24 sett. 1605 e il 28 dic. 1606; ha un ruolo di rilievo quindi durante il periodo dell'interdetto, nel quale fu favorevole alle mediazioni di Francia e Spagna. Il suo nome compare altresì tra quello degli estensori della blanda e conciliante "formola di levation del Protesto", preferita dal Senato a quella, ben più decisa e ferma, ispirata dal Sarpi e caldeggiata dai patrizi a lui più vicini.
Dopo esser stato nominato, il 29 ag. 1610, consigliere pel sestiere di Castello, il C. viene eletto, il 12 giugno 1611, capitano di Padova dove giunge il 13 dicembre e si trattiene sino al 26 maggio 1613.
Vi ispeziona "lo stato delle munitioni", sovrintende all'arginatura dei corsi d'acqua, pone fine a beghe interne sorte nel convento degli eremitani, cerca di riportare ad una più corretta amministrazione il Monte di pietà, ormai dimentico delle finalità istituzionali sino a divenire "un banco di usura più eccessiva di quella de' gl'hebrei", coi "massari" speculanti sulle monete, "scodendo buona valuta et spendendone se non di scarsa". Peggiore ancora la situazione del Monte della vicina Campo San Piero. Tra le lettere inviate al Senato meritevole di un cenno è quella del 10 febbr. 1613, di implicita critica all'Avogaria di Comun: "è così grande la malitia che usano ai tempi presenti li rei con la giustitia et così indebitamente et cavillosamente vengono usati in essa li suffragii... dell'avogaria che, siano pure importanti le cause quanto si voglia, le reducono a quel fine che desiderano; sì che infiniti gravissimi eccessi... passano ben spesso impuniti". E adduce, a mo' d'esempio, un caso concreto: tal Bartolomeo Pogliarino, un uomo violento "di pessima qualità", da lui citato a comparire, riesce a beffarsi dell'intimazione data la facilità con la quale ottiene dall'Avogaria la proroga del termine di presentazione.Il C. morì nel giugno del 1614.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 52, c. 392r; 90, c.63r; lettere del C. capitano a Brescia, Padova e Verona, rettore a Feltre, provveditore a Salò, Ibid., Senato. Lettere Bressa e Bressan, filze 2-4; Senato. Lettere Padova e Padovan, filze 8-10; Capi del Cons. dei Dieci. Lettere di rettori e altre cariche, buste 26, nn. 180-238 passim; 60, nn. 119,120; 87, nn. 57-103 passim; 159, nn. 90, 91; 196, n. 132; una divisione di immobili, del 10 dic. 1613, arbitro Tommaso Cappello, tra il C. e Vincenzo Cappello di Domenico, in Venezia, Civico Museo Correr. mss. P.D.C. 670/50; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, II, Milano 1974, pp. LV, 262; Paolo V e la Republica veneta. Giornale dal 22 ott. 1605-9 giugno 1607, a cura di E. Cornet, Vienna 1859, pp. 181, 182, 194, 199, 222, 243, 245; Diario feltrino del sec. XVI, a cura di M. Gaggia, in Arch. stor. di Belluno Feltre e Cadore, III(1931), p. 219; Le cronache bresciane inedite..., a cura di P. Guerrini, IV, Brescia 1931, p. 55; P. Sarpi, Opere, a cura di G. e L. Cozzi, Milano-Napoli 1969, p. 222 n. 2; A. Gloria, I podestà e capitani di Padova..., Padova 1861, p. 25; F. Bettoni, Storia della riviera di Salò, II, Brescia 1880, p. 339; G. Soranzo, Bibliogr. veneziana..., Venezia 1885, p. 344 n. 4136; A. Cambruzzi, Storia di Feltre, III, Feltre 1886, p. 73; F. Capretti, Mezzo secolo di vita vissuta a Brescia nel Seicento, Brescia 1934 p. 80; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini..., Venezia-Roma 1958, p. 107.