CAPPELLO, Girolamo
Nacque a Venezia il 28 marzo 1544, secondo dei tre figli maschi di Alvise (1515-1559) di Girolamo e di Isotta (o Ixiona) di Melchiorre Michiel. Savio agli Ordini, a 23 anni entra nella Quarantia civil nova, essendogli stati dispensati tre anni grazie ad un cospicuo versamento per le necessità della lotta antiturca. È quindi per la seconda volta savio agli Ordini nel 1571, "auditor novo" nel 1572, provveditore sopra gli Uffici nel 1575 e sopra i Banchi nel 1578.
Divenuto, nel 1580, provveditore sopra le Acque, esaminò coll'aiuto di due periti, la fondatezza delle lagnanze dei Veronesi riguardo un taglio, voluto dal duca di Mantova Guglielmo Gonzaga, per deviare le acque del Mincio nel Tione e quindi nel Tanaro e, finalmente, tramite la fossa della Molinella, nell'Adige; sul rapporto presentato dal C. nel luglio del 1580 si basò il Senato per comunicare all'inviato mantovano, il cavalier Pompeo Strozzi, la richiesta che si garantissero da eventuali danni i sudditi veneti con la costruzione di un "ponte canale" e l'erezione di un muro tali da separare le acque.
Eletto bailo a Corfù nel 1583, della zonta del Pregadi nel 1588, duca di Candia il 13 maggio 1590, vi giunge, dopo 67 giorni di "lungo et travaglioso viaggio", a partire da Zante sempre "nel mezo di galee turchesche", il 12 nov. 1590 e vi risiede sino al marzo del 1593. Si prodiga, assieme al capitano Filippo Pasqualigo, contro la peste, che infierì soprattutto nell'estate del 1592 e di cui qualche "residuo" persisteva ancora nel marzo del 1593 nella città di Candia e nel territorio.
In una lettera al doge dell'arcivescovo di Candia, il nobile veneto Lorenzo Vitturi, del 30 maggio 1591, di protesta contro due gesuiti presentati come elemento di disordine e turbamento nella vita della Chiesa locale, al C. è attribuita la responsabilità della loro permanenza nell'isola avendoli "intertenuti" quando "erano per partir". A prescindere dalla veridicità dell'accusa molto più probabilmente, come asserisce il provveditor generale di Candia Giovanni Mocenigo, i due erano malvisti per l'"assignamento fatto per la loro sostentatione sopra l'entrate di questo... clero" -, è da tener presente come sin d'allora il C. appaia legato ad elementi della Compagnia di Gesù, di cui in seguito favorirà la penetrazione a Padova e a Venezia.
Di nuovo a Venezia, è eletto il 3 ott. 1593 savio alla Mercanzia; il 20 maggio 1594 "esecutor sopra la deliberation delle cose del Friul"; il 3 luglio 1594 della commissione incaricata di "andar a riveder la nova fortezza di Palma".
Il C. vi si reca, coi colleghi Pietro Lando, Alvise Mocenigo e Alvise Priuli, per indagare sugli eventuali abusi avvenuti nel corso dei lavori; ché, rivelatosi difettoso il progetto di Giulio Savorgnano, il governatore dell'armi Marcantonio Martinengo di Villachiara aveva apportato delle rilevanti modifiche, approvate dal provveditore generale Marcantonio Barbaro, perciò accusato di debolezza e sperpero del pubblico denaro dal tesoriere Giovanni Garzoni. La commissione, costituita dal Senato su sollecitazione dello stesso Barbaro, doveva appunto giudicare la consistenza degli addebiti; ascoltati i vari pareri e presa diretta visione dell'andamento delle opere di edificazione, i quattro stesero una relazione tutto sommato favorevole al vecchio patrizio, di cui lodarono la solerzia e diligenza.
Sempre nel 1594 il C. è eletto della zonta del Pregadi il 30 settembre, del Consiglio dei dieci il 2 ottobre, savio di Terraferma il 6 novembre. L'anno dopo, il 9 maggio, è nominato riformatore allo Studio di Padova e, il 26 novembre, bailo a Costantinopoli, ove, giunto alla fine del 1596, si trattiene sino all'agosto del 1600; questa lunga permanenza, fu dovuta alla malattia e alla morte, a Costantinopoli, il 22 febbr. 1600, del successore Vincenzo Gradenigo e alla necessità pel C. d'attendere l'arrivo del nuovo bailo Agostino Nani.
Il C. si impegnò anzitutto nella difesa della navigazione veneta; ed ottenne un successo di prestigio quando, in seguito alle sue rimostranze corroborate da ingenti donativi, vennero pubblicamente giustiziati nel "Besestem" il bey di Nauplia Solimano e il suo "decalà", implicati nella cattura di un mercantile veneziano. Nel 1599 particolarmente efficaci si rivelarono i suoi interventi, appoggiati dall'ambasciatore francese, in difesa dei luoghi santi e dei francescani addetti alla loro custodia. Non mancarono momenti imbarazzanti, specie nel 1597, quando Venezia si sottrasse alla richiesta mediazione di pace fra i Turchi e l'Impero.
Il C. è quindi nominato, il 20 genn. 1601, riformatore allo Studio di Padova; in tale veste sottoscrive, coi colleghi Giacomo Foscarini e Giovanni Dolfin, la lettera ai rettori della città, del 30 ott. 1601, in cui si esprimeva parere contrario alla concessione di "anatomie private". Il che equivaleva, in pratica, a vietarle a Giulio Casseri, al quale peraltro già i rettori, favorevoli all'anatomista pubblico Fabrizio d'Acquapendente, erano ostili.
Dopo essere stato consigliere pel sestiere di Cannaregio, il C. è, dal 14 maggio 1602 al 22 nov. 1601 provveditore generale a Palma: fece "accomodare", rendendolo girevole al centro malgrado le proteste del capitano di Gradisca, "il ponte di Cervignano in maniera che non apporta impedimento al transito di qualsivoglia vassello"; promosse la costruzione di una chiusa la quale permise ai barconi, che prima s'arrestavano a Muscoli, la navigazione sino a Strassoldo; impiantò l'ospedale delle milizie; pose, il 7 ag. 1601 la prima pietra del duomo, progettato dallo Scamozzi, più auspicio che altro poiché i lavori veri e propri inizieranno solo nel 1615; istituì, pei militari e civili di rango più elevato, la Confraternita del SS. Sacramento, di cui stese pure lo statuto.
Il 22 luglio 1602 fu issato, con strepito di artiglierie e suo commosso discorso, per la prima volta il vessillo di S. Marco su un'antenna posta al centro della piazza; da notare che la benedizione venne impartita dai cappellani della fortezza, "senza valersi del piovan di Palmada o d'altri per dimostrare la giurisdittione di questa chiesa separata da tutte le altre". Mossa accorta, ché a benedire s'era offerto anche il patriarca di Aquileia, Francesco Barbaro (peraltro in ottimi rapporti col C.), di cui erano ben note le esorbitanti pretese in materia giurisdizionale.
Durante il provveditorato del C. la fortezza cominciò a popolarsi raggiungendo, escluse le milizie, i 503 abitanti; furono terminati due baluardi ed eretta una torretta per la custodia delle polveri. Il C. istituì inoltre, per meglio sorvegliare le mura, un servizio di 88 sentinelle e dispose fosse collocata in ogni baluardo una campana d'allarme; infine, preoccupato delle frequenti diserzioni, specie da parte dei mercenari francesi, fece abbattere le cappelle votive dei dintorni, che offrivano ai malviventi e ai disertori momentaneo rifugio.
Eletto savio del Consiglio il 31 dic. 1603, il 31 dic. 1604, il 30 giugno 1606, il C. si conferma personalità autorevole del settore più conservatore del patriziato; come tale, durante l'interdetto, si oppone all'invio di ambasciatori in Inghilterra e ai principi protestanti tedeschi e asseconda gli avveduti sforzi del residente toscano Asdrubale Barbolani di Montauto, che, attenendosi fedelmente alle direttive del granduca, faceva il possibile per attenuare l'asprezza del contrasto con Roma e favorire un "amichevole accordo".
Il Barbolani trovava così nel C., che definiva "soggetto pieno di bontà, modestia, et d'una candida mente", un ascoltatore timoroso delle conseguenze, sul piano politico e religioso, del prolungarsi della contesa, totalmente consenziente quindi coi suoi "offitii" volti a bloccare la pubblicazione dei più violenti scritti antiromani. Era il C. anzi ad assicurargli, all'inizio del 1607, che da varie settimane non si permetteva "a nissuno di stampare scritture in questi propositi", né più si sarebbe concesso se non in caso di "cosa giustificatissima et netta da ogni ombra di heresia, et per difesa". Quanto alle intemperanti prediche del minorita Fulgenzio Maneredi, sulle quali il rappresentante toscano richiamava la sua attenzione, il C., pur negando contenessero "cose heretiche", garantiva che si sarebbe fatto "precetto" al frate di non parlare più dal pulpito. Rilevante dunque e consapevole l'influenza appianatrice del Cappello. Una volta giunti alla composizione della contesa, il Barbolani informava il suo principe come il cardinal de Joyeuse avesse lasciato Venezia, il 4 maggio 1607, più "sodisfatto" del previsto; grazie, infatti, agli "offitii vehementi" del C. erano stati superati alcuni e particolari che avevano ferito la suscettibilità del prelato francese. Ché fu proibito al Manfredi di predicare e più cauto, meno incline, cioè, ad avallare globalmente i loro scritti, s'era fatto l'atteggiamento pubblico nei confronti di quanti, specie religiosi, con lo scritto e con la parola, s'erano pronunciati, con entusiasmo non sempre controllato, a favore dell'operato della Repubblica.
Nominato riformatore allo Studio di Padova il 13 ag. 1605, il C., che tiene la carica sino al 12 ag. 1607, favorisce apertamente il Galilei ottenendo che, nella riconferma dell'insegnamento del 5 ag. 1606, il suo stipendio venga elevato da 320 a 520 fiorini. A vantaggio ancora del Galilei il C., assieme ai colleghi Francesco da Molin e Antonio Querini, sentenzia, il 4 maggio 1607, che siano portati a Venezia e quivi distrutti gli esemplari dell'opera di Baldassarre Capra, accusato da Galileo di aver plagiato le sue Operazioni del compasso.... Il C. è infine eletto, il 21 ott. 1607, provveditore generale nel regno di Candia.
Vi giunge nell'ottobre del 1608 e subito si impegna nell'ispezione dei porti e delle fortificazioni di tutta l'isola; promuove lavori contro l'interramento e restauri della fortezza di Candia. Introdusse nel sistema delle angarie (per cui tutti gli uomini tra i 14 e i 60 anni, ad eccezione degli "esentati" appartenenti ai ceti privilegiati, erano obbligati "ad adoprarsi nel servitio delle fabriche... dal lunedì al sabbato" periodicamente) un'innovazione che sarà criticata dal successore Gian Giacomo Zane: stabilì che solo i contadini delle località più prossime alle fortezze, in numero fisso e costante, partecipassero ai lavori e gli altri versassero 8 perperi, in due rate annuali. L'angaria personale venne così limitata agli abitanti dei "casali più vicini" alle città, mentre la maggior parte fu sottoposta all'angaria reale. L'azione più notevole del C. fu il ritiro dalla circolazione di una "mala moneta", i "quattrini", a tal punto deprezzati che i contadini li rifiutavano nei pagamenti, esigendo invece "moneta bianca"; volle che ovunque andassero "un nobile veneto, un cretense et uno delli collonelli del popolo... casa per casa cambiando li quattrini", sino a che, "mutato il rame in oro et argento, ogni uno" ricevesse "sodisfattione, oltre poi al benefficio dell'abbassamento de i prezzi delle robbe".
Le condizioni di salute del C. s'erano nel frattempo aggravate, tanto che il Senato gli concesse il rimpatrio. Troppo tardi, ché, ritiratosi alla Canea sperando che il clima, migliore che a Candia, gli giovasse, vi morì il 30 sett. 1611, non potendo così ricoprire quella carica di consigliere del sestiere di Cannaregio che gli era stata conferita, ancora una volta, il 22 agosto del 1610, riserbandogli "il luogo".
"È morto - scriveva il suo segretario Gaspare Spinelli - christianissimamente, con quella gran religione et pietà con la quale ha sempre vissuto... dopo aver restituito questo regno alla quiete, all'abbondanza et alla felicità havendo castigati li tristi et scelerati, represso l'ardire di gente insolente et indomita... avanzato all'erario publico ben 20 mila ducati di entrata" e, soprattutto, dopo aver "liberato questo regno et le isole a lui adherenti dalla gravissima peste de' quattrini che teneva oppressi questi popoli".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 52 (Libro d'oro nascite, II), c. 75v; sporadiche lettere del C. duca di Candia, due lettere del C., del 17 dic. 1597 e del 25 febbr. 1598, da Costantinopoli, e lettere del C. provveditore generale a Candia, Ibid., Senato. Lettere provveditori da terra e da mar, filze 755-759, 766, 773-775, e Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di rettori e altre cariche, busta 286, nn. 155-159, e Senato. Dispacci Candia, filze 5, 7; sul passaggio del C. per Candia durante il viaggio per Costantinopoli lettere del provveditor generale Nicolò Donà del 20 nov. e 13 dic. 1596, Ibid., Senato. Lettere provveditori da terra e da mar, f. 763; lettere del C. da Costantinopoli, Ibid., Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di ambasc. e rappresentanti, bb. 6, nn. 177-208; 7, nn. 1-11; lettere del C. da Palma, Ibid., Senato. Lettere Palma, f.6; ducali al C., copia di decreti senatori al C. provveditore generale a Palma, copia di una lettera al C. di Marco Venier in Venezia, CivicoMuseo Correr. mss. P. D. C.725 / I, II e cod. Cicogna 3249, 3575; Ibid., cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, cc.129v-130r; sulla questione del taglio voluto dal duca di Mantova, cenni in lettere di Paolo Moro e Pompeo Strozzi nell'Archivio di Stato di Mantova, Carteggio di inviati e diversi, busta 1511, passim;alcuni dispacci del C., del periodo costantinopolitano, sono editi in Documente privitóre la Istoria Românilor, IV, 2 a cura di E. de Hurmuzaki, Bucuresci 1884, pp. 7-28, 666-256, ed il C. è nominato in Ibid., XIV, a cura di N. Iorga, ibid. 1915, pp. 96, 101, 104 s.; Le relaz. degli ambasc. veneti al Senato durante il sec. XVI, a cura di E. Alberi, s. 3, III, Firenze 1855, p. XXII; Le relaz. degli Stati europei lette al Senato nel sec. XVII. Turchia, a cura di N. Barozzi-G. Berchet, I, Venezia 1871, pp. 12, 14, 23-27, 403; G. Galilei, Le opere, Firenze 1891-1909, II, pp. 548, 560; X, pp. 147, 150, 161; XIX, pp. 114, 222, 224; XX, p. 404; Calendar of State papers ... relating to English affairs existing in the archives ... of Venice…, a cura di H. F. Brown, London 1897-1905, IX, pp. 252-278, 287-319, 347-424 passim; XI, pp. 294, 329, 411; XII, pp. 36, 53 s., 85, 309; Marchands flamands à Venise, a cura di W. Brulez, I, Bruxelles-Rome 1965, p. 271 n. 808; G. F. Tomasini, Gymnasium Patavinum..., Utini 1654, pp. 346 a.; G. Sagredo, Mem. istoriche de' monarchi ottomani, Venetia 1677, pp. 779 s.; A. Morosini, Historiarum Venetarum libri, in Degl'istorici delle cose veneziane, Venezia 1718-1720, VI, p. 664; VII, pp. 132, 217, 261; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni venez., VI, Venezia 1853, p. 549; Palma e il suo distretto, Udine 1869, p. 65; L. Rosenfeld, Palmanova…, Udine 1888, pp. 41-43; G. Occioni Bonaffons, Bibliografia stor. friulana, III, Udine 1899, p. 1455 n. 120; G. Gerola, Monumenti veneti nell'isola di Creta, Venezia 1906-1917, I, pp. 146, 359, 556, 664; III, pp. 14, 90; G. Sterzi, G. Casseri anatomico e chirurgo (c. 1552-1616), in Nuovo Archivio veneto, n. s., XIX (1910), p. 85; G. Gerola, Sigilli veneto cretesi, Milano 1915, pp. 3, 46; H. Brown, Il viaggio di Vincenzo Gradenigo,bailo,da Venezia a Costantinopoli, in Scritti stor. in onore di G. Monticolo, Padova-Venezia 1922, pp. 45, 55-70; E. Guerrini, Venezia e la Palestina, Venezia 1928, pp. 56 s.; T. Bertelè, Ilpalazzo degli ambasc. di Venezia a Costantinopoli, Bologna 1932, pp. 120, 135 n. 71, 414; A. De Rubertis, Ferdinando I dei Medici e la contesa fra Paolo V e la Repubblica veneta, Venezia 1933, pp. 166, 266, 331, 349; P. Savio, Per l'epistolario di Paolo Sarpi, in Aevum, X (1936), p. 4 n.; Dispacci degli ambasc. al Senato. Indice, Roma 1959, pp. 9-10; G. Cozzi, Federico Contarini: un antiquario venezianotra Rinascimento e Controriforma, in Boll. dell'Ist. di storia della soc. e dello Stato veneziano, III (1961), p. 200; Id., Galileo Galilei e la soc. veneziana, Firenze 1965, p. 28; P. Damiani, Piccola guida di Palmanova, Udine 1965, p. 79; Id., Storia di Palmanova, I, Udine 1969, pp. 46, 201 passim; A. Favaro, Galileo Galilei e lo Studio di Padova, Padova 1966, I, p. 186; II, pp. 99, 200, 207, 307; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, L, p. 289.