CAPODIFERRO, Girolamo
Nacque a Roma il 22 giugno 1502 o 1504 da Alfonso de' Recanati, nobile napoletano, (avvocato concistoriale, che appare come conclavista al seguito del cardinale Oliviero Carafa, in occasione dell'elezione, nel novembre del 1503, di papa Giulio II: Burchardi Diarium), e da Bernardina Capodiferro. Il cognome paterno, cui preferì quello più illustre della madre, appartenente ad antica e facoltosa famiglia romana, ha fatto cadere molti nell'errore di ritenerlo originario di Recanati. Giovanissimo fu accolto nella corte del card. Alessandro Farnese, dove, a contatto con i più illustri letterati e artisti del tempo, è probabile sviluppasse quell'interesse e quel gusto per le arti che trovarono la loro più alta espressione nel palazzo del rione Regola e che ne fecero, a detta del Boissard, il protettore e l'estimatore di Michelangelo.
Divenuto papa nel 1534, il Farnese si avvalse ben presto dei servizi del suo protetto nominandolo, il 17 luglio 1536, governatore di Fano, carica che questi detenne per breve tempo, se nell'agosto seguente gli fu dato un successore. Paolo III, evidentemente, pensava di adoperarlo nella sua instancabile opera di mediazione fra gli Stati europei, volta a garantire una pace duratura che potesse consentire la convocazione del concilio.
Il 24 dic. 1536 il C. fu nominato nunzio in Portogallo, e il 17 febbr. 1537 gli furono consegnate le istruzioni (dalle quali risulta il titolo di protonotario apostolico).
Non si trattò di una missione facile. Giovanni III, temendo che il suo regno venisse minacciato dagli ebrei costretti a convertirsi al cristianesimo sotto il padre Emanuele ottenne da papa Paolo III nel maggio del 1536 l'autorizzazione ad erigere un tribunale stabile dell'Inquisizione, i cui abusi furono causa di lamentele a Roma e resero necessario l'invio di un nunzio pontificio. Le sopraffazioni e le violenze non cessarono con l'arrivo del C., che venne a conflitto con l'infante don Enrico durante il processo del medico neoconvertito Ayrez Vaz, il cui fratello era entrato come paggio al suo servizio. Il re chiese ripetutamente il richiamo del nunzio e alla fine del novembre 1539 il C. lasciò Lisbona, non senza aver sollecitato più volte nel corso della nunziatura l'invio di prelati portoghesi al concilio.Rientrato a Roma, il 22dic. 1539 il C. fu nominato tesoriere generale della Camera apostolica, ufficio che lasciò a Giovanni Poggio quando, il 21 febbr. 1541, Paolo III, intendendo riformare la Dataria, gliene affidò la direzione al posto di Vincenzo Durante "cum illud male administrasse diceretur" (Concilium Tridentinum, IV, p. 454). Niccolò Ardinghelli, che durante le assenze dalla Curia del C. fungeva da datario, non gli succedette nel 1542 (M. Rosa, in Diz. biogr. d. Ital., IV, p. 31), poiché ancora in un documento del 1546 il C. conserva quel titolo.
Nel maggio del 1541 fu inviato nunzio in Francia: sarà questa la prima di una lunga serie di missioni presso il re cristianissimo. Essa coincise con l'assassinio di Rincone e Fregoso, di cui Francesco I addossò la responsabilità a Carlo V, e la conseguente detenzione in Francia dell'arcivescovo Giorgio d'Austria. Questi gravi episodi, nonostante i tentativi di pace promossi da Paolo III, provocarono la rottura della tregua tra i due sovrani e il rinnovo delle ostilità militari, nel giugno del 1542. In questa situazione estremamente tesa il nunzio sembra non aver goduto di alcun credito a corte e avere svolto un ruolo esclusivamente di informatore nel suoi dispacci, definiti "grisaille" dal Lestocquoy (p. XXVI). Mentre era nunzio in Francia il C. fu nominato vescovo di Nizza (6 febbr. 1542), nomina che sollevò varie difficoltà per essere Nizza contesa fra il duca di Savoia e Francesco I: dopo aver ascoltato le rimostranze di un inviato speciale del duca, Paolo III sciolse il nodo stabilendo che Christofano Duc, maggiordomo del duca di Savoia, avrebbe preso possesso della Chiesa di Nizza quale procuratore del vescovo Capodiferro. Il 9 maggio 1544 questi rinunciò a Nizza a favore di Giovanni de Provanis, mantenendo il titolo, una pensione di 600 scudi e il diritto di reingresso. Ma il 30 luglio del medesimo anno venne trasferito alla diocesi di Saint-Jean-de-Maurienne in Savoia, di cui rimase vescovo fino alla morte.
Nell'aprile del 1543 il C. lasciò bruscamente la corte francese e si recò a Bologna dove si trovava Paolo III.
I motivi di questa repentina partenza, che non mancòdi suscitare stupore a corte, non sono tuttora chiari: il legato Grimani, che in sua assenza assunse le funzioni di nunzio, riportò voci secondo cui quella partenza sarebbe stata causata dal progetto di matrimonio tra Vittoria Farnese e il duca di Orléans, figlio di Francesco I, ma è probabile che il C., offeso dalla scarsa considerazione che la corte mostrava di avere per lui, non informandolo neppure della missione di Echenay a Roma, intendesse in tal modo manifestare il suo disappunto.
Il 23 nov. 1543 il C. era di nuovo alla corte di Francia dove aveva accompagnato il card. Farnese e dove rimase per qualche tempo dopo il ritorno di quest'ultimo in Italia: il 6 apr. 1544 fu richiamato e sostituito da Alessandro Guidiccione.
Al suo ritorno in Italia, il C. - il cui nome era già stato fatto in occasione della creazione cardinalizia del giugno 1542 e in favore del quale il card. Sadoleto aveva scritto una calorosa lettera a Paolo III - vide ricompensata la sua azione diplomatica con la porpora, conferitagli il 19 dic. 1544: il 9 gennaio successivo fa insignito del titolo di S. Giorgio al Velabro. Nei mesi immediatamente successivi egli sembra occupare una posizione influente nel "consiglio privato" di Paolo III, alle cui ristrette riunioni prendevano parte il Crescenzi, lo Sfondrati e l'Ardinghelli. Il 26 ag. 1545 gli venne affidata la legazione di Romagna (questa provincia, sottratta alla legazione di Bologna, era stata eretta a legazione il 26 giugno 1545), e la nomina gli sarà confermata da Giulio III eda Marcello II. Nel settembre del 1548 papa Paolo III decise che il C. "utatur in Romandiola (ubi est legatus) facultatibus in spiritualibus, ubi habet temporalem iurisdictionem; sed ponatur nihilominus ... quod habeat eandem potestatem in spiritualibus in Romandiola et exarcato Ravennae, qua tamen non utetur" (ConciliumTridentinum, I, p. 798).Sembra che abbia governato saggiamente la Romagna, promulgandovi opportune costituzioni; si adoperò anche con solerzia nella repressione dell'eresia.
Il 25 febbr. 1547 Paolo III nominò lo Sfondrati e il C. legati a latere rispettivamente a Carlo V e a Francesco I. Morto frattanto quest'ultimo e succedutogli Enrico II, il C., messosi in cammino il 4 apr. 1547, fu incaricato di portare al nuovo re le condoglianze e i rallegramenti del papa e di informarlo, oltre che dei progressi della riforma della Curia (obbligo della residenza dei cardinali a Roma; divieto della pluralità delle chiese), del trasferimento della sede del concilio a Bologna per motivi di sicurezza.
Il legato avrebbe dovuto altresì insistere acciocché il re costringesse i prelati francesi, che dopo il trasferimento a Bologna avevano disertato il concilio, a recarvisi immediatamente. La sua richiesta fu accolta: il sovrano ordinò al d'Urfé, suo ambasciatore a Roma, di costringere i prelati francesi che si trovavano in quella città a recarsi immediatamente a Bologna. Si concreta anche, nel corso di questa legazione, il progetto da tempo ventilato delle nozze di Orazio Farnese con Diana di Francia, figlia naturale di Enrico II. Forse soddisfatto per i successi conseguiti, il C. non si attenne alle direttive della Santa Sede e nell'agosto del 1547 a Roma corse voce che "fa tante speditione in Francia che secca Roma, e per adesso se li toglie le facultà et quanto prima se revocarà" (Conc. Trid., XI, p. 901). Le voci dovevano essere fondate: nel settembre giunge il nunzio e all'inizio di ottobre il C. riprende la strada di Roma.
Ma qui la sua influenza nella stretta cerchia dei consiglieri di Paolo III non sembra essere diminuita. Con i cardinali Farnese, Cervini e Crescenzi svolge un ruolo di primo piano nella questione sollevata dall'assassinio, avvenuto il 10 sett. 1547, di Pier Luigi Farnese e dall'occupazione di Piacenza da parte di Ferrante Gonzaga. Il C., facendosi portavoce degli interessi francesi, "hizo gran instantia sobre que [Paolo III] diese Parma a Orazio" (Nuntiaturberichte, X, p. 683), figlio di Pier Luigi e futuro genero di Enrico II, suscitando l'ostilità degli Imperiali, i quali informavano Carlo V che, in concistoro il C. si comportava come una "lavandera" (ibid., p. 675). Sul finire del 1548 il C. è di nuovo in Romagna, in qualità di legato.
Alla morte di Paolo III, sopravvenuta il 10 nov. 1549, il C. parve schierarsi inizialmente al fianco del card. Farnese, che capeggiava il partito, imperiale, ma con l'arrivo, il 12 dicembre, dei cardinali francesi che lo indicarono come loro candidato - contrariamente a ciò che ci si sarebbe attesi da chi a casa Farnese doveva tutta la sua fortuna, a tal punto che Massarelli (Concilium Tridentinum, II, p. 340) riporterà voci secondo cui egli sarebbe stato figlio naturale del pontefice, e da chi, come lui, era stato persino indicato da Paolo III come suo possibile successore - dimenticò ogni suo obbligo verso i Farnese. La sua candidatura non incontrò però alcun successo, anche perché aspramente osteggiata da Carlo V, e, quindi, riconciliatosi con il card. Farnese, grazie all'intervento del card. Maffai, ebbe una parte importante nelle trattative fra Francesi e Imperiali che portarono l'8 febbr. 1550 all'elezione del card. Del Monte.
Con il pontificato di Giulio III si aprì per il C. un periodo aureo. Intimo del pontefice, con il quale condivideva l'amore per la vita gaia, lo incontriamo costantemente tra gli invitati alla sua mensa, alle rappresentazioni teatrali che si davano a corte, e in quel gruppetto di cardinali che lo accompagnava nelle passeggiate e scampagnate alla Magliana e alla vigna di villa Giulia. Fu in questi anni che il C. dovette occuparsi della costruzione - iniziata probabilmente già sotto il pontefice Paolo III, con ogni verosimiglianza su progetto di Giulio Merisi da Caravaggio, oscuro artista della scuola sangallesca - e soprattutto della decorazione con stucchi e affreschi (opera del piacentino Giulio Mazzoni, pittore e scultore discepolo del Vasari e di Daniele da Volterra) di quel palazzo edificato nel rione Regola accanto alle case avite, che fu considerato uno dei mirabilia di Roma e cui è legata oggi la sua fama, nonostante porti il nome degli Spada che nel 1632 lo comprarono dai Mignanelli, cui era toccato in eredità nel 1569 alla morte della madre del cardinale (Fabio Mignanelli aveva sposato nel 1532 Antonina Capodiferro, sorella del C., e ne era rimasto presto vedovo).
Nell'estate del 1550 e di nuovo nell'aprile del 1553, Giulio III, avvalendosi della lunga esperienza che il C. si era fatta della corte francese durante il pontificato del suo predecessore, lo inviò quale legato a latere a Enrico II, mentre Dandino fu inviato a Carlo V, nell'intento di giungere alla pace tra i due sovrani con il ritiro innanzitutto dei Francesi da Siena. I negoziati di pace, tuttavia, fallirono e il 10 ottobre di quell'anno il C. si congedò dal re e il proseguimento delle trattative venne affidato al Pole.
Nell'aprile del 1555 prese parte al conclave dal quale uscì eletto Marcello Cervini, che il C. e altri cardinali "avezzi a vivere licentiosi" avrebbero osteggiato "sendo loro tremenda la sua severità" (Pastor, V, p. 619). Il pontificato di Marcello II fu breve, ma la scelta del successore, Paolo IV Carafa, non poteva essere meno felice per il Capodiferro. Privato immediatamente della legazione di Romagna, che venne affidata il 2 giugno 1555 a due vicelegati, nell'agosto del 1557 fu addirittura costretto ad allontanarsi da Roma, rifugiandosi, come pare, a Padova col pretesto degli studi, ma in realtà indotto a partire dall'inasprirsi della lotta del Carafa contro l'eresia e i cattivi costumi. Infatti il suo abbandono di Roma viene collegato dai contemporanei con l'incarcerazione per sodomia del segretario del card. Pietro Bertano e di un familiare del card. Farnese, Pasino de' Giusti.
Riapparirà, ormai vecchio e malandato, al conclave che elesse Pio IV, durante il quale, il 2 dic. 1559, morì. Fu sepolto a S. Maria delle Febbri e di lì traslato a S. Maria della Pace.
Essenzialmente uomo del Rinascimento, cresciuto nella splendida corte di Alessandro Farnese, assiduo compagno di quel papa festaiolo che fu Giulio III, il C. ci appare del tutto indifferente di fronte ai problemi più specificamente religiosi che agitarono l'epoca profondamente travagliata della storia della Chiesa in cui visse e nei quali alcuni fra i più sensibili suoi contemporanei consumarono la loro esistenza. Indifferente, probabilmente ostile alle esigenze dell'ala riformatrice della Curia romana, che nella vita e nei costumi del cardinale C. poteva trovare sufficienti elementi di condanna, la sua carriera ecclesiastica non incontrò ostacoli sotto i pontificati del Farnese del Del Monte, ma, inevitabilmente, fu troncata dall'austero Carafa.
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