CANINI, Girolamo
Nacque ad Anghiari, nel 1551circa, dal nobile Gualtieri fratello dell'orientalista Angelo. Ebbe almeno due sorelle; una, Orsina, si sposò con Nicola Carrocci, l'altra, col nome di suor Maria Eletta, entrò nel locale monastero di S. Martino. Quanto al C., accolto nell'Ordine dei gesuati, si trasferì a Venezia, conservando tuttavia nel luogo natio "beni stabili di case e di terreni".
Nella città lagunare agli obblighi della vita conventuale s'aggiunse un'intensa attività di traduttore, editore, commentatore e manipolatore di testi. A detta del francese Le Secq, che lo conosceva personalmente, il C. era dottore in teologia ed aveva fatto molti viaggi. "Connaît - aggiungeva - toutes les langues": francese, spagnolo, tedesco, ceco, ungherese, greco, latino, ebraico, siriaco ed arabo. E gli faceva credito d'aver steso un gran numero di scritti, rimasti inediti, sui più svariati argomenti: teologia, filosofia, filologia, giurisprudenza, storia. Siffatte informazioni, probabilmente non prive d'esagerazioni, erano fornite dal Le Secq nella prefazione alla sua traduzione in francese (uscita a Parigi nel 1613 e ivi ristampata nel 1633) di un lavoro del C., il primo da lui dato alle stampe. Trattasi della Sommaria historia della elettione e coronatione del re de' Romani... (Venetia 1612), scritta dal C. in concomitanza colla stampa della Bolla d'oro di Carlo IV "per l'occasione" dell'elezione imperiale di Mattia d'Asburgo.
Nella prima parte, dedicata al principe d'Urbino, prendendo le mosse dall'accezione via via assunta dal nome di Cesare, il C. illustra i vari modi coi quali gli imperatori sono stati eletti, la funzione degli "elettori", il tipo d'"autorità" da loro conferita. Segue, nella seconda parte - dedicata a Michele Priuli, nipote di Francesco, già ambasciatore a Vienna, ove aveva proceduto alla "raccolta" di notizie in proposito -, il compendio della bolla coll'esame dei suoi "capi principali"; minuziosamente trattati i titoli usati dall'imperatore nella corrispondenza con pontefici e sovrani, senza trascurare un cenno a quelli del "parlar ordinario".
Al C. si deve anche l'edizione veneziana del 1615 delle Lettere, "di nuovo corrette, et accresciute", di Battista Guarini, dedicata a Leone Strozzi. Più impegnativa la cura dell'edizione - corredata dalle note di Giusto Lipsio, dalla "distinzione del testo" di Jan Gruter, dalla cronologia di Charles Aubert - delle Opere "restateci" di Tacito, stampata a Venezia dai Giunti nel 1618 e, di nuovo, nel 1620 e 1628, quindi dagli eredi di Tommaso Giunti nel 1644 e da Paolo Baglioni nel 1665.
La traduzione italiana adottata è quella - già comparsa a Roma nel 1603 e nel 1611, a Venezia nel 1604e nel 1615 - di Adriano Politi, mentre al C. si deve la traduzione dallo spagnolo degli "aforismi", che figurano a margine, di Baltasar Alamos de Barrientos volti a "cavare lo spirito e la quinta essenza da l'Historie di Tacito"; alcuni sono piattamente moralistici, altri semplici consigli di savia accortezza, altri ancora contrabbandano una non ingenua lettura di Machiavelli. Del C. sono pure: la "tavola" dei "nomi proprii" e degli argomenti; la "tavola de' nomi e luoghi antichi più oscuri e particolarmente di Germania ridotti alla notitia moderna"; la dedica, sostituita da un'altra solo nella ristampa del 1665, a Girolamo Soranzo, già rappresentante della Repubblica a Madrid e a Vienna, il più indicato perciò - in quanto penetrò "l'intrinseco et essentiale delle corti de' maggiori principi" - ad intendere l'autore latino. Anche del C. la premessa Del modo di cavar profitto dalla lettura di Cornelio Tacito, ove s'affanna a verniciare, non si sa se più candido o furbesco, d'un compunto cattolicesimo il pressante invito alle opere dello storico. Dai suoi scritti, assicura, si può apprendere addirittura "il modo di bene e virtuosamente vivere", ammirare gli "atti della fortezza e della temperanza, della giustitia e delle prudenza e delle altre virtù ordinarie". Certo non vanno letti con l'animo de "i Machiavelli, gli ateisti et altri mostri horrendi et infuriati", ma con cristiana sensibilità, limitandosi a "cavar da lui ciò che di buono ci ha potuto lasciare perfettionandolo". Estrinseca e di maniera l'esaltazione, che il C. trova il modo d'inserire di Venezia, seconda "Atene, senza paragone molto meglio regolata dell'antica"; ma non del tutto priva d'interesse. Non tanto perché contenga novità rispetto alla letteratura rilanciante il mito della città: la perfezione costituzionale, la vocazione alla pace, la fermezza della fede, il benessere, la "libertà". Quanto perché è dato per scontato il carattere aristocratico dello Stato, senza più insistere, come ancora si tentava di fare, sui suoi presunti aspetti misti d'aristotelica memoria: c'è una classe dirigente, la nobiltà, formata dai "soggetti nati et allevati al dominare", e ci sono ben distinti e ben distanti, i sudditi. Alla prima l'onere di governare, ai secondi la gioia d'essere ben diretti; in tal senso "si può veramente affermare" che l'aristocrazia, comandando "benignamente, serva" mentre "chi serve, felicemente regni". A partire dalla ristampa del 1620, il C., riportando alcuni passi dell'originale latino, ne confronta la traduzione del Politi con la francese di Etienne de la Planche e Claude Fauchet, la spagnola del Barrientos, l'italiana di Giorgio Dati ed un'altra, anonima, "antica", da identificare con Le historie auguste di Cornelio Tacito novellamente fatte italiane (Vinegia 1544).
Nel 1619esce a Venezia, dalla stamperia di G. B. Ciotti, Del parlar senatorio... di Cornelio Frangipane; del C. le abbondanti annotazioni al breve testo, e l'aggiunta, a mo' d'appendice, d'una traduzione dell'orazione con la quale, nel prediletto Tacito, "Mutiano essorta Vespasiano ad impadronirsi dell'impero". Sempre presso il Ciotti esce, nel 1621, la traduzione del C. del Traicté de la cour... di Eustache de Refuge, assieme ad una sorta di schema riassuntivo (un "metodo"), di mano del C., ove sintetizza le caratteristiche e il "fine" del cortigiano sulla base di quanto scritto dal Refuge.
Il C. nel frattempo, ancora nell'ottobre del 1620, s'era recato a Roma, ove, forse, rimase sino al 1625; almeno di lì dedica al cardinal Barberini gli Aforismi politici cavati dall'Historia d'Italia di M. Francesco Guicciardini... (Venetia 1625).
È convinto, come scrive nell'avvertenza ai lettori sul "modo di leggere utilmente le Historie", che queste costituiscano una miniera d'esempi traducibili in "osservationi" e "precetti universali" cui commisurare le "nostre particolari attioni". E spappola il primo libro dell'opera guicciardiniana - a suo avviso la più indicata per imparare a "ben governarsi e col consiglio e con le operationi negli affari pubblici d'Italia" - in un farraginoso centone di 1.181 "aforismi". Sentenze avulse dal contesto e perciò generiche: per quanto il C. si sforzi "di aggiungere... la sua ragione", le eventuali implicanze, derivanti da una lettura dichiarata di Tacito e taciuta di Machiavelli, restano troppo allusive per conservare un sapore polemico.
In un clima filofrancese e, almeno indirettamente, antispagnolo si collocano le traduzioni del C. di varie opere del prolifico Pierre Matthieu; non a caso lo stampatore Barezzo Barezzi è persuaso che la divina "protettione" e la "somma providenza" veglino a "difesa della Francia". Esce dapprima, nel 1625, la Genealogia della... casa di Borbone dal re Faramondo fino ad Henrico IV…, alla quale il C. aggiunge, traendolo da "gravi auttori", un cenno su Luigi XIII, di cui esalta la restituzione al clero dei beni "empiamente usurpati" e il ricupero "di tante piazze ritolte di mano de gli heretici". Seguono, nel 1628: Della historia memorabile di Luigi XI… libri dieci...; il Giuditio politico sopra la vita di Luigi XI…;la Historia verace delle guerre... fra le due corone di Francia e di Spagna durante... Francesco I,Henrico II... insino la pace di Vervins, accompagnata dalla ristampata Genealogia della real casa... fino al vivente... Luigi XIII, assieme alle notizie di Matteo Zampini sugli Stati di Francia et la loro possanza... (l'edizione sarebbe stata ristampata nel 1638). Sempre a Venezia e ancora pei tipi del Barezzi esce postuma, nel 1638, la traduzione del C. di un'altra opera del Matthieu: Dell'historia delle guerre intestine e delle rivolutioni di Francia libri sette... aggiontovi la riunione e pacificatione di tutti gli sudditi all'ubbidienza...
Nella "nuova impressione" dell'operetta di Nicola Laghi De' miracolidel santissimo sacramento... (Venetia 1626) figura aggiunta una "seconda parte" costituita dall'Historia de' sacri corporali di Daroca del C. e dal Propugnacolo della... presenza di Christo nell'eucarestia di Giorgio Polacco; il C. fa precedere la sua traduzione - rimanipolazione dallo spagnolo d'un racconto (quanto mai grossolano e animato d'un virulento odio contro i "mori", dovuto ad un'ignota "persona dotta e fedele") dei fatti miracolosi attribuiti ai "corporali" della città spagnola, da un "discorso in generale de' miracoli", definiti "mutatione" o "cambiamento dell'esser delle cose contra o sopra l'ordinario corso della natura loro", che affronta quelli "interni del santissimo sacramento" fino a giungere agli "esterni" operati da Dio a conferma dei primi.
Divenuto priore del convento padovano del suo Ordine, il C. non desiste dal tradurre: escono infatti le Lettere a i principi di negotii politici e di complimenti del cardinale Arnaud d'Ossat, "divise in tre libri" - i primi due dedicati dal C. al patriarca d'Aquileia Agostino Gradenigo, il terzo all'amico Flavio Querengo - "tradotte dal francese, messe insieme et arricchite di alcuni discorsi" (Venetia 1629).
Il C. morì a Padova l'11 luglio 1631.
Non ebbe la soddisfazione di veder pubblicata la sua fatica più meritoria: la traduzione degli Essais di Montaigne la quale - condotta con sin eccessivo scrupolo di fedeltà, sull'edizione del 1595 - segna una tappa assai significativa della fortuna di questo in Italia. Seconda, rispetto alla prima parziale versione comparsa a Ferrara nel 1590 ad opera di Girolamo Naselli, quella del C. ha il pregio della completezza. Non è che il suo intervento risulti a prima vista evidente: ché i Saggi... overo discorsi naturali, politici e morali figurano "trasportati dalla lingua francese nell'italiana per opera di Marco Ginammi" (Venetia 1633: il testo, ammodernato nella grafia, verrà ristampato da Achille Mauri a Milano nel 1831-32); e così pure a proposito della versione, uscita separatamente l'anno dopo, dell'Apologie de Raymond Sebond. Ma in realtà il Ginammi non fu che il munifico tipografo, spinto più da un'esigenza di "riputazione" che dalla speranza di guadagno. Egli stesso avverte infatti che la traduzione si deve al C., "soggetto di... straordinarie virtù".
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