CALESTANI, Girolamo
Nacque a Parma il 13 nov. 1510 da Bernardo e da una certa Giovanna. Fin da giovane si dedicò all'arte della spezieria, che apprese nell'officina parmense di Benedetto degli Andreozzi, dove fu compagno di altri due nobili concittadini, Tiberio Tagliaferri e Galeazzo Calcaferri. Per approfondire la conoscenza delle erbe medicinali ("i semplici") e delle tecniche di manipolazione allora in uso, ben presto si mise a viaggiare in varie città d'Italia. Si ha notizia di discussioni che ebbe da giovanetto a Roma, con i frati di S. Maria in Aracoeli, su argomenti farmacologici. Fu poi a Narni, a Bologna, a Mantova, a Venezia, nuovamente a Roma. Questi viaggi gli consentirono di stringere proficui contatti con medici e speziali, e di frequentare le officine di questi ultimi. Metodo, questo, che costituiva allora il principale strumento per apprendere l'arte; giacché, se anche in alcune facoltà di medicina e filosofia (come a Roma, a Pisa e a Padova) era stato istituito l'insegnamento dei semplici, esso manteneva un carattere esclusivamente teorico, limitandosi alla "ostensione" delle droghe e allo studio di alcuni classici come Galeno, Dioscuride e Plinio.
Particolarmente importante fu, per il C., il soggiorno romano, durante il quale si esercitò, assieme ad Ermete da Narni, nella spezieria di Angelo Manzino; qui ebbe occasione di assistere a una disputa sulla composizione degli antidoti cui parteciparono alcuni tra i più importanti speziali del tempo. Nel medesimo periodo dovette entrare in rapporto col pontefice Paolo III, del quale, oltre ad apprezzare le doti di mecenate, rivelò la passione per i confetti di "dimargaritone magistrale", che consumava abbondantemente "per la molta utilità che ei ne prendeva nel confortamento del cuore e degli spiriti animati".
Non è conosciuta la data precisa del suo rientro in patria. è però certo che nel 1551, aTepoca della guerra degli Imperiali partecipò alla difesa di Parma dall'assedio delle truppe di Ferrante Gonzaga con un apporto particolarmente qualificato. Fu allora infatti che, con minuziose ricerche su codici antichi, ricostruì la formula del "diacatholicòn" di Nicolò Mirepso, una sorta di panacea universale che si dimostrò molto efficace nel combattere un'epidemia diffusasi nella città assediata in seguito alle privazioni. Questo contributo gli valse la riconoscenza del medico del duca Ottavio Farnese, Vincenzo Ascolano, che lo accolse sotto la sua protezione.
Nel 1564, su consiglio e con l'aiuto di un gruppo di medici parmensi (Cesare Delfino e i figli Giasone e Tiberio, Camillo Bertacchini, Camillo Lenati), il C. raccolse le proprie esperienze in un'opera, Osservationi, di cui undici anni piùtardi doveva uscire un'edizione accresciuta. Secondo le sue stesse dichiarazioni, per la redazione dell'opera si avvalse anche dei consigli dei medici Scipione Cassola, Filippo Selva, Filippo Benzola, Battista Balestra e Sigismondo Baruffi. Forse la presenza di tanti collaboratori contribuì alla diffusione di una voce secondo la quale il C. si sarebbe limitato a plagiare scritti e ricette raccolti durante il soggiorno romano, voce che peraltro va considerata affatto calunniosa.
Qualche incertezza permane sulla data della sua morte. In una iscrizione in onore di Domenico Bocchi, dove si parla anche del C., lo si dice morto nel 1562 all'età di cinquantadue anni, ma molti indizi, tra i quali le due edizioni della sua opera, che sembrano fatte lui vivente, rendono più probabile il 1582.
La prima edizione della sua opera fu stampata a Venezia nel 1564 per i tipi di Francesco Senese col titolo: Osservationi di G. C. Parmigiano nel comporre gli antidoti et medicamenti, che più si costumano in Italia all'uso della medicina, secondo il parere de' medici antichi, e moderni esaminate. Con l'ordine di comporre et fare diversi conditi, et col modo di conservarli. Opera non soltanto utile,ma necessaria anchora alla vita.Il volume, in-4º, si compone di 19 carte preliminari non numerate e di pp. 412. Nei preliminari è compresa una dedica a Margherita, duchessa di Parma e Piacenza, e un discorso agli amici di gioventù Tagliaferri e Calcaferri, dove l'autore ricorda le sue prime esperienze professionali. Dopo un'ampia tavola dei composti descritti, si passa alla trattazione vera e propria, che si articola in capitoli a seconda del genere di medicamento (si inizia dagli sciroppi e dai decotti per poi giungere, dopo i confetti e i colliri, fino agli unguenti e ai cerotti). Di ciascun preparato sono date, oltre alle consuete referenze dai testi classici, le norme di composizione e, per i composti più importanti, una breve notizia storica.
Nel 1570 uscì a Venezia una ristampa dell'opera, identica alla precedente. Diversa è invece l'edizione comparsa a Venezia nel 1575, presso lo stesso editore, col titolo: Delle Osservationi di G. C. Parmigiano Parte Prima. Nella quale si insegna diligentissimamente l'arte della spetieria, secondo che da scrittori medici è stata mostrata. Delle Osservationi di G. C. Parmigiano dettate da peritissimi medici Parte Seconda. Ove insegnasi l'arte di comporre gli antidoti… Novamente dal medesimo Auttore ricorretta, et ampliata.Mentre la Parte Seconda è una ristampa dell'opera del 1564, la Parte Prima è completamente nuova. Si apre con una dedica dello stampatore a uno speziale di Lucca, Giovambattista Fulcari, dove si raccomanda l'opera per la formazione dei giovani speziali, argomentando che a nulla vale avere buoni medici se poi speziali sprovveduti provocano la morte del paziente. Segue una dedica del C. "alli spettabili, et honorati dell'arte della spetieria", dove si dichiarano i limiti e gli intenti dellopera: tutto ciò che vi si trova è tratto dall'insegnamento dei medici, giacché il compito dello speziale consiste o non in eleggere, né in preparare, né in comporre, ma in meglio preparare, et più agevolmente, et con minor danno comporre s. Dopo un'ampia tavola degli argomenti, iniziala trattazione, di complessive 190 pagine. Dapprima si esaminano i requisiti generali richiesti per esercitare l'arte dello speziale. Occorre conoscere il latino per leggere i classici della medicina, indi imparare a riconoscere, raccogliere, trattare e conservare i semplici. Per far ciò bisogna disporre di molti locali ed "essere mediocremente ricco, e più che altri, aver animo grande, e liberale, e lontano da ogni avaritia, e sordidezza" giacché questi difetti comprometterebbero la qualità nella scelta dei prodotti. Lo speziale deve inoltre condurre una vita privata ineccepibile, essere sposato e aver figli, tenere al proprio onore, avere zelo cristiano, carità e timor di Dio. Ma, specialmente, non deve presumere di prescrivere cure senza il parere del medico, né pretendere di modificare in alcun modo le sue ricette. Il testo continua con una elencazione alfabetica dei semplici, e del modo di riconoscerli; un sommario delle cose indispensabili alla bottega di uno speziale; una rassegna del tempo di raccolta e del modo di conservazione delle principali radici, fiori, semi, piante, ecc.; infine una descrizione delle principali operazioni sui semplici (falsificazione, essiccazione, dissoluzione, cottura, lavaggio, estrazione di succhi, preparazione di infusioni, conserve, sciroppi, pillole, unguenti, ecc.).
L'opera non è certamente né originale né innovatrice, legata com'è alle fonti tradizionali del sapere farmacologico (Ippocrate, Galeno e i loro commentatori). Tuttavia, col suo stesso carattere manualistico, rispondeva adeguatamente ad un'esigenza di identificazione e di catalogazione delle droghe medicinali a quei tempi molto sentita. Ciò spiega il suo successo, dimostrato dal numero delle edizioni, che furono, dopo il 1575, non meno di undici (tutte in Venezia: 1580, 1584, 1589, 1597, 1598, 1606, 1616, 1623, 1639, 1655, 1673). Ancora nel 1667, con una lettera del primo segretario di Stato di Parma, fu fatto obbligo a tutti gli speziali di Parma e Piacenza di adottare come codice farmaceutico l'opera del C., "per essere stato rappresentato questo Autore a Sua Altezza da' periti dell'arte per uno de' più accreditati e sicuri".
Bibl.: I. Affò, Mem. degli scrittori e letterati parmigiani, IV, Parma 1793, pp. 69 ss.; A. Pezzana, Mem. degli scrittori e letterati parmigiani, VI, 2, Parma 1827, pp. 506-10, 966 s.; F. Lanzoni, Un farmacologo parmigiano del sec. XVI, in Arch. stor. per le provincie parmensi, n.s., XXXIII (1933), pp. 237-248.