CALÀ ULLOA, Girolamo
Nacque a Napoli il 23 aprile 1810 da Giovan Battista, duca di Lauria, e da Elena O’ Raredon, di origine irlandese.
Nel 1650 gli spagnoli Lanzina y Ulloa si trasferirono a Napoli. Nella forma corretta il cognome completo era Calà Lanzina y Ulloa, dove il cognome Calà fu aggiunto in seguito all'arrivo in Italia. Il capostipite del ramo napoletano fu Felice Lanzina y Ulloa, il quale portò il nome della famiglia nelle più alte sfere politiche e civili della vita del Vicereame. Fu infatti prima preside della Dogana di Foggia, poi del Sacro Real Consiglio e infine reggente del Consiglio Collaterale. Con la sua morte, avvenuta nel 1702, il prestigio sfumò, pur consegnando ai suoi discendenti un nome altisonante che, ancora per qualche tempo, si rispecchiò nel prestigioso palazzo alla Riviera di Chiaia, poi passato ai Sirignano. Nel 1799 Giovan Battista, padre di Girolamo, fu accusato di essersi schierato con la Repubblica napoletana. Dopo la vittoria dei sanfedisti e il ritorno dei Borbone, fu arrestato. Scontata la detenzione, il patrimonio degli Ulloa, già molto ridotto, subì un altro duro colpo con l’abolizione della feudalità. La sfrenata passione che Giovan Battista aveva per il gioco, infine, costrinse la famiglia a vivere in sobrietà e ristrettezze economiche.
Girolamo fu ultimo di tre fratelli e una sorella: Pietro, primogenito, Antonio e Teresa. I tre figli di Giovan Battista avevano personalità diverse, ma ebbero tutti ruoli rilevanti nella storia del Regno. Girolamo, fortemente individualista, aspirò a una brillante carriera nel mestiere delle armi. Come lui, anche i fratelli erano decisi e ambiziosi. Pietro fece una rapida avanzata nelle istituzioni giudiziarie e politiche del Regno delle Due Sicilie, affermandosi anche come scrittore di storia, diritto e letteratura. Riuscì progressivamente a inserirsi nei circuiti più importanti della dinastia borbonica. Anche se mantenne sempre delle moderate convinzioni costituzionali, la sua relazione con la casa reale ne farà uno degli esponenti di punta del borbonismo napoletano. Antonio diventò rapidamente un ufficiale riconosciuto e rispettato dell’esercito borbonico, oltre che un teorico delle pratiche militari e della storia della guerra. Formatosi come gli altri fratelli all’Accademia della Nunziatella, entrò a far parte dello stato maggiore già nel 1837, poi fu direttore e principale redattore dell’Antologia militare, rivista semestrale dell’esercito pubblicata dal 1835 al 1848.
Dopo l’Accademia, Girolamo iniziò la carriera nell’esercito delle Due Sicilie. Nel 1831 fu nominato alfiere d'artiglieria. Nel 1833, insieme con Antonio fu coinvolto nella congiura militare ai danni di Ferdinando II organizzata da Cesare Rossaroll. Questi, caporale della guardia reale, aveva ordito un piano per attentare alla vita del re. Il gruppo fu scoperto e Rossaroll tentò il suicidio. Sopravvissuto, accusò alcuni commilitoni di aver partecipato al complotto, tra i quali anche Antonio e Girolamo Ulloa. I due furono arrestati e detenuti per circa sei mesi. Nel 1834, il processo li assolse con la formula dubitativa e, scarcerati, vennero reintegrati nell’esercito. L’anno successivo diedero vita all’esperienza editoriale dell’Antologia militare. La rivista fu pubblicata fino al 1846: stampata dalla Tipografia Militare in fascicoli semestrali, coinvolse molti tra i principali scrittori militari del tempo (Luigi Blanch, Luigi Scarambone, Carlo Afan de Rivera, Francesco Sponzilli, Vincenzo Garofalo, Mariano d’Ayala).
Nel 1837, Girolamo raggiunse il grado di primo tenente e poi nel 1845 divenne capitano ottenendo anche l’incarico alla direzione delle esercitazioni della Scuola pratica di artiglieria. Nel 1848, scoppiata la rivoluzione nella capitale, si schierò con il partito costituzionale e nel maggio fu eletto deputato della provincia di Napoli. Partecipò poi alla spedizione diretta da Guglielmo Pepe in Lombardia e inviata dal ministero costituzionale di Carlo Troya a supporto della guerra antiaustriaca. Ma la retromarcia del governo e la scelta di Ferdinando II di ritirare le sue truppe creò una spaccatura profonda all’interno dell’ufficialità napoletana. Ulloa, insieme a molti altri militari dell’esercito delle Due Sicilie (Guglielmo Pepe, Luigi e Carlo Mezzacapo, Enrico Cosenz, Cesare Rosaroll, Alessandro Poerio) scelse di non rientrare nel Regno, ma di raggiungere Venezia. Preso il comando del primo battaglione dei volontari, entrò nella città assediata il 13 giugno. Nelle operazioni, si distinse per coraggio e valore militare, specialmente nella difesa del porto di Marghera, tanto da conseguire, in successione, il grado di tenente colonnello, colonnello e infine di generale nell’armata di terra dell'esercito veneto. Dal gennaio 1849 fece parte dell'assemblea rappresentativa di Venezia.
Nell’agosto succesivo, la Repubblica si arrese. Ulloa, come molti dei difensori di Venezia, seguì Daniele Manin nell’esilio in Francia. Qui, salvo un breve soggiorno a Genova e Torino, rimase per circa dieci anni. A Parigi entrò in contatto con il gruppo dei liberali francesi stretti intorno a Manin, ma anche con molti esuli italiani come Giuseppe Montanelli, Giorgio Pallavicino, Giuseppe Ferrari, Vincenzo Gioberti e Guglielmo Pepe. Nel 1857 aderì insieme a Manin alla Società nazionale.
Nel 1859 Cavour volle Ulloa nell’esercito di casa Savoia ritenendo «che la sua presenza potrebbe tornare molto utile in Piemonte» (La Farina, 1869, II, p. 421). Girolamo accettò la proposta, pensando che la guerra contro l’Austria gli avrebbe offerto una nuova occasione per affermare le sue capacità militari e politiche. Il 25 aprile ebbe la nomina a maggior generale e il comando dei Cacciatori degli Appennini, un corpo di volontari che sarebbe poi stato aggregato a quello dei Cacciatori delle Alpi comandato da Garibaldi. Dopo soli due giorni Cavour lo nominò comandante in capo dell’esercito toscano, confermandogli il grado di tenente generale. Nell’agosto il governo provvisorio toscano lo dimise. La motivazione ufficiale fu il passaggio del comando a Garibaldi, ma in realtà Ulloa era sospettato, probabilmente a torto, di favorire la candidatura di Girolamo Bonaparte al trono dell’Italia centrale. Quando il principe Napoleone arrivò in Toscana, infatti, Ulloa volle incontrarlo per sottoporgli una relazione sulle condizioni e sulle possibilità del territorio. Dietro le considerazioni militari, la mossa rendeva palese anche il suo desiderio di emergere e farsi notare. Offrì infatti una sua autonoma valutazione circa l’opportunità della concessione costituzionale e della inclusione degli intellettuali e artisti nei piani del nuovo governo. Sul piano generale, il pensiero di Ulloa si richiamava ai principi di indipendenza e libertà, e non di unità nazionale. Ma quelle parole, combinate con il suo spirito di iniziativa, furono interpretate come una proposta, o un’offerta, a Bonaparte, in un momento cruciale della guerra in cui, anche la memoria del 1848, rendeva le uscite personali pericolose oltre che intollerabili.
Al di là delle accuse, era evidente che il temperamento di Ulloa non rifuggiva da cambi di direzione o colpi di testa ed era poco avvezzo a sottostare a gerarchie o a ricoprire ruoli di secondo piano. Le sue ambizioni di protagonismo militare e politico non erano compatibili con la disciplina dell’esercito piemontese e con la strategia di Cavour.
L’amarezza e il rancore nei confronti delle autorità piemontesi, spinsero Ulloa nel campo opposto. Tornò a Napoli dove, in quelle settimane, il giovane Francesco II, da poco salito al trono, doveva gestire l’eredità del Regno e collocare le Due Sicilie nel nuovo scenario geopolitico peninsulare e europeo. Ulloa si riavvicinò così alla monarchia borbonica, sentendosi vittima di un’ingiustizia e suscitando non poche perplessità nell’opinione pubblica e nei governi sia piemontese che napoletano.
Tra la primavera e l’autunno del 1860 la macchina militare, istituzionale e politica del Regno crollò. Francesco II, incapace a guidare la transizione, era paralizzato. In questo clima Ulloa, probabilmente alla ricerca di un ruolo di primo piano e per protagonismo personale si propose per guidare l’esercito continentale e affrontare Garibaldi una volta sbarcato in Calabria. I vertici militari borbonici e il ministro della guerra Giuseppe Salvatore Pianell si opposero. Nelle stesse settimane Ulloa fu sospettato anche di aver partecipato alla cospirazione ordita dallo zio di Francesco II, Luigi Maria di Borbone, il conte d’Aquila, che operò al fine di modificare il governo e sostituire il nipote sul trono delle Due Sicilie.
Nell’autunno del 1860, con la caduta del Regno e l’annessione del Mezzogiorno al costruendo Regno d'Italia, Ulloa tentò un nuovo approdo ripresentandosi ai dirigenti piemontesi. Il governo unitario gli negò il riconoscimento del servizio prestato nelle due guerre di indipendenza e più tardi il luogotenente Enrico Cialdini lo espulse da Napoli.
Ulloa, che non aveva partecipato all’assedio di Gaeta, raggiunse Francesco II nell’esilio romano ritrovando così anche i due fratelli Pietro e Antonio che, uno come presidente del Consiglio e l’altro a capo del ministero della Guerra, occupavano ruoli di primo piano nel governo costituzionale in esilio. La famiglia Ulloa era ai vertici dello Stato borbonico e nella piena considerazione del re, ma questo non bastò per integrare Girolamo nell’esperienza romana. In quel periodo l’ex difensore di Venezia mantenne un atteggiamento di equilibro anche per non compromettersi ulteriormente con i reduci duosiciliani. A Roma, infatti, scelse una linea neutrale probabilmente anche perché riteneva la città papalina solo una sede di passaggio. Aveva chiesto infatti di essere arruolato nell’esercito americano e anche di tornare a Napoli. A causa di una grave malattia che lo tenne immobilizzato per diversi anni e del rifiuto esplicito di Alfonso Ferrero della Marmora di accettare il suo trasferimento nell’ex capitale del Regno, fu costretto alla fine a rimanere a Roma.
Pur assistendo ad alcuni Consigli di guerra, non prese parte ai preparativi e all’organizzazione della reazione borbonica e rifiutò gradi e onorificenze che pure gli furono offerte dall’ex re. Ma la sua tiepida permanenza alla corte del Borbone e del papa, valse comunque a cancellare sia la sua fama di patriota liberale e filoitaliano sia gli anni dell’esilio a Parigi, dove sarebbe tornato nel 1865.
Allo scoppio della terza guerra di Indipendenza, nel 1866, si propose nuovamente per essere reintegrato e prestare servizio nell’esercito italiano nel conflitto contro l’Austria, ma la sua richiesta fu rigettata. Riuscì soltanto a ottenere, nello stesso anno, una pensione di ritiro e l’accettazione della sua formale adesione al Regno d’Italia.
Con la fine della guerra e lo scioglimento del governo borbonico si stabilì a Firenze presso la famiglia Pucci, dove condusse una vita appartata e dedita allo studio.
Morì nel capoluogo toscano il 10 aprile 1891.
Sunto della tattica delle tre armi, Napoli 1838; Cenno delle artiglierie napoletane, de loro tiri e del modo di appuntarle ad uso spezialmente de' sotto uffiziali dell'arma, Napoli 1845; Istruzioni sul tiro dell’artiglierie pei sottuffiziali dell’arma, Napoli 1847; Dell’esercito napoletano. Considerazioni politico-militari, Napoli 1848; Dell’ordinamento dell’esercito napoletano. Partiti proposti da G. U., Napoli 1848; Dell'arte della guerra, Torino 1851; Brevi cenni sulla spedizione del corpo di esercito napoletano nell’ultima guerra d’Italia in risposta alle Narrazioni storiche da Piersilvestro Leopardi, Torino 1856; La guerre de l’indépendance italienne en 1848 et en 1849, I-II, Paris 1859; Observations sur l'ouvrage: Campagne de l'empereur Napoleon III en Italie, Paris 1865; L'esercito italiano e la battaglia di Custoza. Studi politico-militari, Firenze 1866; Risposta al giornale militare l'Esercito, per il generale G. U., Firenze 1867; Napoli e il suo porto militare, Firenze 1870; Guerra fra Prussia e Francia. Considerazioni politico-strategiche, Firenze 1870; Dell'indole bellicosa dei Francesi e delle cause dei loro ultimi disastri, per il generale G. U., Firenze 1871; I due sistemi di difesa d'Italia presentati alla camera per il generale G. U., Firenze 1872.
Napoli, Società̀ napoletana di storia patria, Girolamo Ulloa, Carteggio, XIX, A, 6; Ibid., Documenti della difesa di Venezia; Documenti della guerra del ’59; Documenti biografici vari, XIX, A, 10; Studi ed estratti di storia militare, XIX, A, 13-14. Inoltre: E. Tanzi, Il generale G. U. Cenni biografici, Milano 1860; G. Ricciardi, Lavori biografici, Napoli 1861, pp. 139-143; Epistolario di Giuseppe La Farina, raccolto e publicato da A. Franchi, II, Milano 1869, passim; G.S. Pianell, Il generale Pianell. Memorie (1859-1892), Firenze 1902, ad ind.; R. De Cesare, Roma e lo stato del Papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre, Roma 1907, ad ind.; G. Ferrarelli, Memorie militari del Mezzogiorno d'Italia, Bari 1911, ad ind.; M. Mazziotti, La congiura dei Rossaroll, Bologna 1920, ad ind.; G. Doria, La vita e il carteggio di G. U., Napoli 1929; P. Calà Ulloa, L’unione e non l’unità d’Italia, con introduzione di G. Catenacci, presentazione di G. Marotta e prefazione di P. Gargano e scritti sugli Ulloa di A. Rosada e G. Doria, Napoli 1998, ad ind.; A. Facineroso, ll ritorno del giglio. L'esilio dei Borbone tra diplomazia e guerra civile 1861-1870, Milano 2017, pp. 23, 79, 97, 137, 163.