BOCALOSI, Girolamo
Scarse sono le notizie biografiche sul B., desumibili per lo più dalle sporadiche allusioni sparse nelle sue opere. Nato a Firenze, si formò probabilmente nell'ambiente dell'università di Pisa, coetaneo e forse compagno di studi di Filippo Buonarroti e Giovanni Ristori. Si notano, infatti, molti punti di affinità fra i tre giacobini toscani: affinità maturate forse nella locale loggia massonica.
Dopo il 1784 troviamo il B. a Verona. Ma è probabile che il suo soggiorno nella Repubblica di San Marco risalga ad epoca anteriore, poiché sembra che già nel 1782 fosse uscito a Padova un suo Saggio filosofico sulla spiritualità dell'anima, mentre l'anno successivo a Venezia, edito dal libraio Silvestro Gatti, pubblicava, con lo pseudonimo piuttosto significativo di Crittantropo, un volume di Saggi filosofici dedicati al patrizio veneto Ascanio Giustinian. Nessun dubbio può sussistere sull'appartenenza al B. di questo volume, perché dei sei saggi ivi raccolti tre saranno in seguito ripubblicati dall'autore con il proprio nome.
Nel 1786 sulle Novelle letterarie di Firenze (XVII, coll. 433-444) appariva la segnalazione di un volumetto uscito anonimo in quell'anno a Mantova, con la falsa indicazione di Firenze, e intitolato Cenni sulla Legislazione: ilrecensore lo attribuiva al B., elogiando il contenuto dell'opera, ma criticandone lo stile involuto e talvolta inintelligibile. Diversi altri saggi vennero pubblicati negli anni che intercorrono fra il 1784 e il 1790. In talune di queste opere del periodo pregiacobino il B. rivela già uno spirito antiautoritario e anticlericale "che in forma velata si vena talora di radicali accenti antireligiosi" (Berengo).
Del resto subito dopo lo scoppio della Rivoluzione francese il B. dovette passare dalla opposizione intellettuale alla concreta azione politica. Difatti nel 1792 la polizia scoprì a Verona una loggia massonica e nel darne notizia alle autorità veneziane a proposito del B. affermava: "fiorentino, avventuriero, residente a Verona da molti anni, insegnante prima in casa del conte Alberto Sacco e poi del conte Giuseppe Della Riva. Uomo di cultura non disprezzabile, ma di mente esaltata, autore fra l'altro di poesia adulatoria, ma pronto a trasformarsi all'occasione propizia in violento libellista" (Righi, p. 4).
Verso lo scorcio del 1793 il B. fu processato insieme con un suo amico, certo Strapparava, agente di negozio. Il B., secondo il podestà di Verona, non godeva di una buona reputazione "essendo in concetto di uomo libero, di sentimenti non consentanei alla buona morale e troppo addetto alle massime della nuova filosofia" (Righi, p. 10). Fu allora notato che era stato l'autore di opuscoli e anche del libro Se la riflessione sia naturale ed utile all'uomo e alla società, dedicato al conte G. B. Allegri e pubblicato anonimo nel 1788 con la falsa indicazione dell'Aia. E poiché l'opera venne riconosciuta "libera nei suoi assunti, empia nelle sue induzioni e conseguenze", gli inquisitori di stato ne proibirono lo smercio e ordinarono l'espulsione del B. dalla Repubblica.
Così, a malincuore, il B. dovette abbandonare Verona, né sappiamo dove egli si recasse subito dopo. Forse soggiornò a Modena, dove nel 1794 diede alle stampe una terza edizione del suo trattato Della fisionomia (pubblicato nel 1783 fra i Saggi filosofici, apparve in seconda edizione con la falsa indicazione di Leida nel 1792), Oppure a Parma, dove nel 1796 pubblicò una Préface du Catalogue des peintures qui sont chez Monsieur le Marquis Aiphonse Tacoli Carnacci.
Sappiamo comunque che "i suoi opuscoli sono continuamente fermati nelle province venete d'Oltre Mincio, ed i rettori seguono perplessi le notizie che possono raccogliere su di lui. Una sua lettera dell'ottobre 1796... è tutta presa dall'impeto della sua passione antitirannica, e dall'ardore con cui si auspica il crollo dei troni dei despoti in tutta Italia" (Berengo).
Dal 1797, dopo l'arrivo dell'armata francese in Italia, il B. visse a Milano, dove gli fu concessa, non senza difficoltà, la cittadinanza cisalpina, e dove probabilmente si trattenne fino all'arrivo degli Austro-Russi (1799). A Milano si dette a ripubblicare con notevoli variazioni e ampliamenti i propri scritti, e soprattutto compose quella che rimarrà come la sua opera fondamentale: Dell'educazione democratica da darsi al popolo italiano (1796; 2 ed., 1797). Egli ripubblicava inoltre una quinta edizione del trattato Della fisionomia (la quarta edizione era datata Zurigo 1795), in parte rifatto e ampliato, e questa volta con un nuovo sottotitolo piuttosto significativo: Principi derivati dalla Anatomia,dalla Fisiologia e Dinamica del corpo umano per mezzo de' quali si distinguono gli Aristotratici e i Realisti dai Democratici (Milano 1797).
Entrambe le opere costituiscono, come afferma il De Felice, "uno dei più espliciti esempi di rottura col passato operata dai giacobini più decisi". Il trattato Dell'educazione democratica è diviso in cinque libri, suddivisi a loro volta in brevi capitoli. Il pensiero pedagogico del B. ha le sue premesse filosofiche nelle ferme e radicali convinzioni fondatesul sensismo e sul materialismo del sec. XVIII; mentre le sue premesse politiche - nel loro aspetto più nuovo e più interessante - s'ispirano all'idea di un'Italia unita in repubblica secondo i principi del giacobinismo egualitario. Il pensiero pedagogico del B. prende naturalmente l'avvio dal Rousseau dell'Emile ("il nostro santo padre Rousseau"), anche se a un certo momento l'autore impugna l'educazione negativa del pensatore ginevrino: la natura - afferma il B. - ci offre sensazioni buone e cattive, di conseguenza "bisogna... che le idee e le sensazioni siano eccitate nei giovanetti con arte repubblicana". Si direbbe che la fede educativa del B. sia piuttosto ispirata dallo Helvétius, il profeta di tutti gli educatori repubblicani, come colui che non vede alcun impedimento di fronte all'opera educatrice.
Il trattato, inficiato dall'astrattismo in quanto dà come già scontata la sconfitta della reazione, presenta un completo piano di studi per il giovane, dall'infanzia fino agli studi universitari. La realizzazione di questo piano di studi spetta esclusivamente allo Stato e deve tendere a creare uno spirito unico e l'amore disciplinato di una medesima costituzione. Il B. vuole creare "una generazione di eroi democratici" mediante una educazione "ferma e severa", derivata dal mitico esempio di Sparta. Ma in una repubblica ben costituita tutti debbono essere non solo soldati, ma anche capaci di esercitare un'arte manuale. E bellissime sono a questo proposito le pagine dedicate al contadino, i cui diritti sono tuttora ignorati mentre sul suo lavoro si fonda - e dovrà continuare a fondarsi secondo il B. - l'intera economia dello Stato. Perciò nella scuola primaria - che deve essere obbligatoria e gratuita fino a dodici anni - gli alunni impareranno anche le arti principali, che sono quelle del fabbro, dell'agricoltore, del legnaiuolo e del tessitore. Anche l'impostazione dei successivi studi ginnasiali e universitari è di chiara intonazione rivoluzionaria, bandendo l'insegnamento del latino, dato che la pedagogia del B. si propone la creazione di una società egualitaria e dato che la scienza deve avvicinarsi al popolo e trasformarsi in forza di progresso. Tutto l'insegnamento deve essere impostato secondo la razionalità più assoluta e secondo fermi principi antiaristocratici e repubblicani. Basti pensare agli autori che dovranno essere letti e studiati dai giovani: "Dante, Petrarca, e Machiavelli anzitutto, e poi Boccalini, Leti, Giannone, Beccaria, Bayle, Boulangero, Giangiacomo, Voltaire, Raynal, Mabli...".
Uguale sentimento antiaristocratico ed egualitario si riscontra nel già ricordato saggio Della fisionomia, che indulge alla moda introdotta da Lavater.
Si afferma che il giacobinismo del B. abbia i suoi limiti nella professione di un egualitarismo più giuridico che sociale, ma ciò è dovuto in parte allo evolversi del ciclo rivoluzionario in Francia e, in parte, alla tattica gradualistica che in Italia anche i giacobini radicali erano costretti a professare. Un altro limite delle dottrine politiche professate dal B. si trova nel suo pensiero economico, fondato sulla produzione agricola, sulla vita patriarcale improntata alla frugalità e all'austerità repubblicana. Drastica la condanna d'ogni commercio con l'estero, fomentatore del lusso e quindi del vizio. Affermazioni, del resto, che, ereditate dal Rousseau, costituirono il patrimonio ideologico del primo giacobinismo, da Robespierre a Babeuf, da Saint-Just a Buonarroti.
È probabile che all'arrivo dell'annata austro-russa (1799) il B. si rifugiasse, insieme con gli altri giacobini più compromessi, a Genova, dove infatti apparve un suo opuscolo intitolato: Volete salvare l'Italia e la Francia? Proposizione del cittadino Bocalosi al Popolo francese e ai suoi magistrati (1799). Da questo momento scompare dalla scena politica, né altre notizie si hanno più intorno a lui.
Opere: Oltre alle opere citate nel corso della biografia, il B. ha scritto: Pensieri ed osservazioni sulla sensibilità nervosa e sulle cause che l'eccitano, Verona 1784; Del cuore e delle azioni dell'uomo che dipendono da questo organo, Leida (falsa indicazione) 1789; Della inutilità della storia. Discorso pronunziato in Cosmopoli, Italia 1795; Instituzioni democratiche per la rigener. del popolo italiano, Milano 1798; Disposiz. morali e fisiche della Sicilia e di sua sorella alla libertà e sua importante influenza a quella totale dell'Italia. A cui si aggiunge un'idea dell'origine fisica di quell'isola, Milano 1797. Il trattato Dell'educazione da darsi al popolo italiano è stato ristampato in base al testo della seconda edizione milanese in Giacobini italiani, a cura di D. Cantimori e R. De Felice, II, Bari 1964.
Bibl.: Scarsa fu presso i posteri la fortuna del B., sia come autore, sia come uomo politico: e questo spiega in parte la mancanza di notizie più precise intorno alla sua vita.
Egli venne ricordato in primo luogo e soprattutto come pedagogista. Difatti come autore dell'Educazione democratica lo ricorda senz'altra notizia C. Cantù, Monti e l'età che fu sua, Milano 1879, p. 6. E come pedagogista ne rivalutò in pieno l'opera P. Hazard, La révolution française et les lettres italiennes, Paris 1910, pp. 100-102, definendo l'Educazione democratica "letraité d'éducation démocratique le plus réflechi et le plus complet". Il primo studioso che prese in seria considerazione l'opera pedagogica del B. fu E. Chinea, nella sua tesi di laurea discussa a Torino e pubblicata in testo litografico nel 1914, con il titolo Il Rinascimento e la rivoluzione pedagogica in Italia, pp. 157-204. Lo stesso ne fece poi breve cenno nel volume Cultura e Metodo, Bologna 1926, pp. 215-216. Sempre al Chinca è dovuta la "voce" sul B. in Pedagogisti ed educatori, a cura di E. Codignola, Milano 1939,I, ad vocem. Cfr. inoltre gli studi successivi: G. Vidari, L'educazione in Italia dall'Umanesimo al Risorgimento, Roma 1930, pp. 226-228; V. Benetti-Brunelli, Albori di una educazione nazionale nelle repubbliche napoleoniche in Italia: 1796-1799, Milano-Roma 1932, pp. 142 ss.; G. Calò, Dall'Umanesimo alla Scuola del Lavoro, Firenze 1940, pp. 15-48; Id., Pedagogia rivoluzionaria e programmi autarchici alla fine del '700, in Atti della Società Colombaria fiorentina, XV (1941), pp. 600-635. Fra i pedagogisti contemporanei il Calò è forse quello che ha dato maggiore rilievo all'opera del B., facendone peraltro un precursore della "carta della scuola" e dell'"autarchia". Sul rapporto Rousseau-B. cfr. anche S. Rota Ghibaudi, La fortuna di Rousseau in Italia, Torino 1961, p. 255.
Per quanto riguarda l'attività politica e massonica del B. a Verona: A. Righi, Una loggia massonica a Verona nel 1792, in Arti e memorie dell'Accademia d'agricoltura,scienze e lettere a Verona, XIII (1913), 4, pp. 1-18; R. Fasanari, Gli albori del Risorgimento a Verona (1785-1801), Verona 1950, passim; Id., Il Risorgimento a Verona (1797-1866), Verona 1958, ad Indicem. Ma l'analisi più completa e più acuta del pensiero politico del B. trovasi in M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento, Firenze 1956, pp. 207-217. Accenni sporadici si trovano in G. Natali, Il conte C. Caprara e le sue missioni presso il generale Bonaparte (1796-1797), in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per l'Emilia e Romagna, IV (1938-1939), p. 195; W. Angelini, P. Panazzi e C. della Valle ad Ancona e terza allocuzione di Panazzi al popolo, in L'apporto delle Marche al Risorgimento nazionale, Ancona 1961, p. 52. Per le indicazioni bio-bibliografiche più recenti, cfr. la dotta nota di R. De Felice nella raccolta citata nel testo Giacobini italiani, II, pp. 531-535.