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BENCUCCI, Girolamo

di Gaspare De Caro - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)
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BENCUCCI, Girolamo (Girolamo da Schio)

Gaspare De Caro

Nacque a Schio il 2 genn. 1481, da una famiglia assai facoltosa, che, trasferitasi a Vicenza, mutò il proprio cognome in quello di "da Schio", col quale fu ascritta nella nobiltà cittadina.

Il B. intraprese la carriera ecclesiastica e nel 1506 si trasferì a Roma ottenendo da Giulio II la carica di referendario della Segnatura. Dallo stesso pontefice gli fu affidato successivamente il governo di varie città dello Stato pontificio. Leone X lo ebbe, in qualità di prelato domestico, tra i suoi più vicini collaboratori e nel settembre del 1515 lo nominò rappresentante presso l'esercito imperiale.

Nell'intenso lavorio diplomatico della corte romana in quegli anni il B. ebbe certamente una parte notevole, anche se le sue dichiarate simpatie per gli imperiali non gli permisero, sino all'accordo raggiunto tra Clemente VII e Carlo V, di assumere una posizione preminente nella Curia. Principale avversario politico del B. alla corte pontificia era il vescovo di Verona Gian Matteo Giberti, datario pontificio; tuttavia il più grave contrasto tra i due non si ebbe in materia politica, ma a proposito di Pietro Aretino, che il Giberti voleva allontanare da Roma, mentre il B., amico e mecenate del letterato toscano, si opponeva al provvedimento. Il contrasto si concluse con la sconfitta del prelato scledense: infatti, nel luglio del 1524, l'Aretino fu costretto a lasciare la corte pontificia.

Da Clemente VII il B. ottenne nel 1523 il vescovato di Vaison, nella contea di Avignone, e nel 1526 la carica di prefetto del Palazzo apostolico e di confessore dello stesso pontefice. Durante il sacco di Roma egli era presso il papa, rifugiato in Castel Sant'Angelo, e quando Clemente VII dovette ritirarsi in momentaneo esilio ad Orvieto, il B. lo seguì.

Non solo la carica di maggiordomo e quella di confessore del pontefice facevano del B., in quel momento, uno dei principali responsabili - insieme con il segretario pontificio Iacopo Salviati - della politica papale: erano soprattutto i suoi sentimenti favorevoli al partito imperiale che lo mettevano nella posizione migliore per avviare trattative di pacificazione con Carlo V. Benché il B. non riuscisse a indurre Clemente VII a rinunziare, in cambio di un forte indennizzo in denaro, ai diritti tradizionali della Chiesa su Raverma e Cervia, occupate dopo il sacco di Roma dalla Repubblica di Venezia, il pontefice aveva piena fiducia nel vescovo di Vaison: il 16 apr. 1529, dopo la morte di Baldassarre Castiglione, lo nominò, infatti, nunzio presso Carlo V, con i poteri di legato e la più ampia facoltà di trattare l'alleanza con l'imperatore. Nelle trattative, che si svolsero a Barcellona nel giugno di quell'anno, il B. dimostrò ampiamente di meritare la fiducia del pontefice, conducendosi con molta abilità diplomatica con i ministri imperiali Mercurino da Gattinara, Luigi de Praet e il Granvelle, in modo da guadagnare al pontefice le condizioni più favorevoli. Vero è che l'imperatore contava moltissimo sull'alleanza con Clemente VII, perché riteneva che la lega antispagnola in Italia ne avrebbe ricevuto un danno assai grave, mentre anche gli interessi imperiali in Svizzera, Germania, Ungheria, Scandinavia e Inghilterra se ne sarebbero avvantaggiati; ma il prestigio del pontefice dopo il sacco di Roma era assai scosso e i risultati ottenuti dal B. nel convegno di Barcellona debbono indubbiamente essere considerati come un grande successo diplomatico.

L'impegno dell'imperatore a ristabilire in Firenze la signoria medicea, rafforzato dal progetto di matrimonio tra la propria figlia naturale Margherita ed Alessandro de' Medici; la promessa di sostenere militarmente i diritti della Chiesa su Cervia, Ravenna, Modena, Reggio e Rubiera contro i Veneziani e contro Alfonso d'Este; quella di privare con la forza quest'ultimo del ducato di Ferrara, riconosciuto feudo ecclesiastico; l'intesa che il pontefice sarebbe stato consultato sulla questione del ducato di Milano; la rinunzia del governo spagnolo ad ogni illecito intervento nelle faccende ecclesiastiche dei Regno di Napoli; la promessa dell'uso della forza - in accordo con Ferdinando d'asburgo - contro gli eretici di Germania; tutte queste furono le sorprendenti condizioni di pace ottenute dal B. a Barcellona per chi in effetti era stato il vero sconfitto della guerra d'Italia; e a queste condizioni, certamente, non faceva equilibrio l'impegno da parte del pontefice di contribuire finanziariamente alla guerra contro i Turchi.

Dopo aver assistito, il 29 giugno 1529, al solenne giuramento dei capitoli fatto da Carlo V nella cattedrale di Barcellona, il B. tornò in Italia, riprendendo il proprio posto accanto al pontefice. Clemente VII gli concesse, l'11 dicembre dell'anno successivo, alcuni benefici di diritto laico nella diocesi belga di Tournay ed altre prebende nella chiesa dei SS. Simeone e Giuda di Sparticano, nella diocesi di Bologna. Nel 1530 il B. partecipò al congresso di Bologna, assistendo all'incoronazione dell'imperatore. Alla chiusura del congresso accompagnò Carlo V sino a Trento. Nello stesso anno fu nuovamente inviato da Clemente VII presso l'imperatore ad Augusta e in questa occasione gli fu concesso da Carlo V il titolo ereditario di conte palatino. Il 25 genn. 1531 il B. era ancora presso la corte imperiale, riunita allora in Bruxelles per trattare con Carlo V la questione del concilio con i protestanti. Il vescovo di Tortona Umberto Gambara accompagnava il B., che era latore all'imperatore delle cinque condizioni fissate da Clemente VII per la convocazione del concilio.

L'influenza acquistata dal vescovo di Vaison alla corte romana attraverso le fortunate trattative condotte con gli imperiali era in questo periodo indubbiamente assai grande; anche le sue relazioni con alcuni dei più famosi letterati ed artisti del tempo, tra i quali l'Aretino, il Vergerio e Tiziano, contribuivano non poco ad aumentame il prestigio; il B. sembrava, dunque, destinato alle maggiori fortune nel governo ecclesiastico, ma, ancora assai giovane, morì improvvisamente il 4 genn. 1533. Gli fu eretto un sepolcro nella chiesa cattedrale di Vicenza.

Fonti e Bibl.: P. Aretino, Il primo libro delle lettere, a cura di F. Nicolini, Bari 1913, pp. 19, 25, 36; B. Cellini, Vita, a cura di Ettore Camesasca, Milano 1954. pp. 107, 496; F. M. Renazzi, Notizie storiche degli antichi vicedomini del Patriarchio Lateranense e de' moderni Prefetti ovvero maggiordomi pontifizi, Roma 1784, pp. 57-59; L. von Pastor, Storia dei papi IV, 2, Roma 1930, pp. 299, 305, 317, 334, 336, 339, 356, 357, 398 s., 518, 552; G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, p. 327.

Vedi anche
Pallàdio, Andrea di Pietro della Gondola detto Architetto (Padova 1508 - Vicenza 1580). Lavorò prima a Padova, come tagliatore di pietra, nella bottega di B. Cavazza da Sossano (1521), e poi (dal 1524) a Vicenza, nella bottega in Pedemuro dell'architetto e scultore Palladio, Andrea di Pietro della Gondola detto di Giacomo da Porlezza e dello scultore ... Schio Comune della prov. di Vicenza (67,1 km2 con 38.916 ab. nel 2008, detti Scledensi). La cittadina è posta a 200 m s.l.m., sulla sinistra del torrente Leogra al suo sbocco in pianura, ai piedi del Monte Summano. Centro di grande importanza per l’industria del tessile e dell’abbigliamento, noto fin dal 14° ... vescovo Nel cristianesimo primitivo e in molte Chiese cristiane non cattoliche, il capo di una comunità di fedeli, in posizione più elevata rispetto agli altri ordini del ministero ecclesiastico. Nella Chiesa cattolica, prelato che, sotto l’autorità del romano pontefice, ha il governo ordinario di una diocesi, ... Verona Comune del Veneto (198,9 km2 con 259.087 ab. nel 2020), capoluogo di provincia. La città è situata a 59 m s.l.m., al margine settentrionale della Pianura Veneta, ai piedi dei Monti Lessini e in prossimità dello sbocco della valle dell’Adige. Il nucleo antico, localizzato all’interno di una delle due ...
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    Enciclopedia Italiana (1930)
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