GIUSTINIAN, Girolamo Ascanio
Nacque a Venezia il 4 luglio 1721, figlio unico di genitore omonimo, del ramo in Calle delle Acque, e di Andriana Barbarigo di Alvise di Giovanni. Il padre era uomo di vasta cultura: amico di Antonio Conti e Benedetto Marcello, amava aprire il suo salotto a intellettuali e studiosi di diversa estrazione sociale (nel 1734 vi fu ospite Pietro Giannone); in questo ambiente - non sempre improntato a ortodossia - il G. ricevette un'istruzione ricca di molteplici interessi, profonda, stimolante (Carlo Lodoli) e scientificamente aggiornata (Giovan Bernardo Pisenti), legandosi di amicizia con spiriti spregiudicati e vivaci quali Giorgio Baffo e Angelo Querini.
Iniziò la carriera politica come podestà a Chioggia (eletto il 30 luglio 1747, esercitò il mandato tra la fine dell'anno e l'estate del 1749), impegnato soprattutto a giudicare le frequenti liti di una popolazione misera e impulsiva. Durante la podestaria sposò (1° ott. 1748) la ricchissima Caterina Pisani di Girolamo "dal banco", imparentandosi così anche con i Tron di S. Stae.
Fu quindi savio di Terraferma per il semestre ottobre-marzo negli anni 1749-50 e 1750-51, dopo di che gli fu affidato il capitanato di Verona, sede dispendiosa dove fu per tutto il 1752 e sino alla metà dell'anno seguente, rivestendo anche le funzioni di vicepodestà. Vi si trovava ancora quando, il 17 febbr. 1753, venne eletto ambasciatore in Spagna; lasciò Venezia soltanto il 29 ag. 1754, e rimase a Madrid fino al 13 marzo 1759. Non vi erano problemi particolarmente gravi nei rapporti veneto-ispanici, sicché l'attenzione del G. si volse in gran parte a informare il Senato sugli sviluppi della guerra dei Sette anni nel delicato settore delle Antille, le cui novità poteva cogliere di prima mano dal privilegiato osservatorio spagnolo.
Al suo ritorno trovò una Venezia corrosa dalle crescenti tensioni che animavano la nobiltà "barnabota" e che di lì a poco sarebbero sfociate nella crisi queriniana, nella quale il G. fu in qualche modo coinvolto per la sua ben nota amicizia con lo sfortunato avogadore Angelo Querini; riuscì però a evitare negative ripercussioni politiche, un poco a causa della sua ortodossia (la critica al sistema rimase sempre in lui confinata sul piano intellettuale ed etico, con divario caratteristico di molti tra i più attivi esponenti del patriziato), un poco per il fatto che sin dal 4 ag. 1759 era stato eletto a un'altra impegnativa ambasceria, stavolta presso la Santa Sede.
Partì alla volta di Roma il 28 sett. 1761, accompagnato da due festosi sonetti del Baffo che prendevano di mira il papa veneziano (Carlo Rezzonico), ironizzando sull'inveterata e perennemente rinnovantesi contesa giurisdizionalista che opponeva la Repubblica alla Curia pontificia. In effetti i problemi non mancarono al G.: si trattasse delle lamentele romane per l'istituzione, tra le lagune, di un censore "laico" nell'intento di affiancare (o forse indebolire, come sembrava dimostrare la stampa dell'opera di Febronio) il Sant'Uffizio; o della montante polemica anticuriale alimentata dalle corti borboniche che, a sua volta, suscitava da parte romana sospetti, minacce e ritorsioni verso i governi - e il veneto tra essi - che apparissero benevoli verso tale procedere; o, per finire, delle usuali controversie confinarie causate dalle frequenti alterazioni del Delta polesano.
Il G. dette prova di consumata abilità, evitando irrigidimenti controproducenti pur senza nulla concedere al concittadino pontefice; quale stima si facesse di lui a Venezia lo prova l'elezione, il 24 genn. 1766, a storiografo pubblico, cioè a interprete ufficiale dell'immagine che la Repubblica intendeva fornire di sé. Rifiutò, sapendo che era impossibile conferire alle vicende patrie degli ultimi decenni anche un'ombra del passato prestigio.
Tornato tra le lagune alla fine di giugno del 1766, appena un anno dopo ne ripartì per servire la Repubblica ancora una volta, ma nella fattispecie con l'incombenza lucrosa di bailo a Costantinopoli. Giunse al Bosforo il 1° ott. 1767, rilevando l'iracondo e malandato cavaliere Giovan Antonio Ruzzini, così provato nel fisico da spirare durante il viaggio di ritorno. Lo scoppio della guerra russo-turca del 1768-74 impose al G. il non facile compito di rassicurare la corte di Costantinopoli sulle reali intenzioni veneziane: sul Bosforo e a Vienna si temeva infatti che i "geniali della Moscovia" presenti in Senato potessero indurre la Repubblica all'alleanza con Caterina II, nonostante il recente rifiuto veneziano di accordare protezione a Stefano il Piccolo, capo della rivolta antiottomana nel Montenegro. Né il cattivo andamento della guerra, segnato dalle continue sconfitte dei Turchi a opera dei Russi sul Danubio, rese più facile il compito del G., che subì preghiere, pressioni e minacce dalle contrapposte diplomazie, sebbene fin dal luglio 1770 Venezia avesse proclamato una neutralità alla quale in effetti non avrebbe derogato.
Il G. lasciò Costantinopoli il 26 ag. 1771; aveva trascorso buona parte della vita all'estero al servizio della patria, e ora si apprestava a riscuotere la remunerazione di tanti sacrifici. Erano gli anni più fervidi della stagione riformatrice veneta, gli anni di Andrea Tron e della Deputazione ad pias causas, motore e volano dell'illuminismo tra il Mincio e l'Isonzo. Il 2 ott. 1773 il G. venne eletto provveditore sopra Monasteri e due mesi dopo (11 dicembre) aggiunto sopra Monasteri, in luogo dell'intransigente Alessandro Duodo, che aveva decretato la soppressione di numerosi enti ecclesiastici. La posizione del G. fu più sfumata: pur condividendo l'azione del partito riformatore, non fece parte della prima e più determinata ondata di "spiriti forti". L'assenza da Venezia per l'ambasceria costantinopolitana non gli aveva infatti permesso di impegnarsi personalmente, nei primi e più difficili frangenti, nel fronte anticuriale cui l'avrebbero certamente chiamato la sua formazione giovanile e le sue amicizie; donde la posizione moderata (peraltro consona al suo sentire, più incline alle istanze culturali che all'azione) che rivestì tra i protagonisti del riformismo veneto: curioso del nuovo, ricco ma non ricchissimo, il G. fu sempre nell'area progressista senza mai condurre in prima persona alcuna battaglia, ed è significativo che tra i suoi amici spicchino i nomi di un Andrea Memmo e di un Ludovico Manin, piuttosto che del cognato Andrea Tron.
Savio del Consiglio nel semestre aprile-settembre dal 1774 al 1778, poi dal 1° ott. 1783 al 31 marzo 1784 e, per lo stesso semestre, fra l'84 e l'85, quindi ancora da aprile a settembre negli anni 1787-90, negli intervalli tra l'una e l'altra nomina ricoprì una lunga serie di prestigiose magistrature, talora per poco o pochissimo tempo, delle quali sarebbe prolisso e, tutto sommato, ininfluente stilare l'elenco completo. Possiamo tuttavia ricordare che il G. fu eletto savio alla Mercanzia il 1° ott. 1774, il 16 nov. 1776, il 2 apr. 1784 e 1785; sovraintendente alla Camera dei confini il 28 genn. 1775, l'11 febbr. 1781, il 4 ott. 1786 e il 6 maggio 1790; deputato ad pias causas l'11 febbraio e il 23 nov. 1775, il 18 genn. 1777, il 22 genn. 1778 e il 16 dic. 1780; riformatore dello Studio di Padova il 4 maggio 1775, il 3 maggio 1777, il 13 genn. 1781, il 24 genn. 1784 e il 7 febbr. 1788, affiancando spesso a questo titolo quello, da lui amatissimo, di bibliotecario della Libreria pubblica (venne eletto il 29 luglio 1775, il 28 luglio 1778, il 30 ag. 1781, il 10 giugno 1789); provveditore sopra gli Ospedali il 24 genn. 1781 e il 7 apr. 1784; membro del Collegio delle pompe il 12 maggio 1781 e il 18 marzo 1785; membro del Consiglio dei dieci il 18 ag. 1782 e il 21 ag. 1785. Ancora, il 14 apr. 1785, venne nominato aggiunto agli inquisitori all'Arsenale, magistratura eccezionale attivata per eventi di natura probabilmente dolosa verificatisi nel porto veneziano, nei quali si ventilava il coinvolgimento della massoneria: l'episodio è tuttora in parte oscuro, e certo non contribuisce a far luce la nomina del G., il cui nome figurava proprio negli elenchi degli associati alla loggia di rio Marin.
Il 18 febbr. 1775 era stato eletto ambasciatore "di obbedienza" al nuovo pontefice Pio VI, ma la missione non ebbe luogo; in seguito rifiutò nuovi incarichi lontano da Venezia, come la podesteria di Vicenza (22 nov. 1778) o l'ambasceria a Pietroburgo (25 maggio 1782); alla morte del doge Paolo Renier (1789) venne indicato fra i candidati alla successione, ma preferì appoggiare l'elezione di Lodovico Manin.
Nel 1789 pubblicò a Padova i Pensieri di un cittadino sul fiume Brenta. Sentendo che le forze declinavano e la salute lo abbandonava rapidamente e precocemente, fece testamento il 9 ag. 1790.
Il documento riserva sorprese, trattandosi di un massone e convinto fautore dei philosophes: il G. appare religiosissimo e circondato da religiosi (tra quelli "di casa" troviamo l'arciprete A.N. Talier, futuro municipalista); eredi sono la moglie e la madre, poiché l'unico figlio, che portava il suo stesso nome, gli era premorto (intelligente e vivace, ma dissoluto, aveva sposato nel 1786 Cecilia Corner di Andrea, senza averne figli e condannando all'estinzione questo ramo della famiglia).
Il G. morì a Venezia il 14 genn. 1791. Dispose il lascito dei suoi libri in favore della Biblioteca Marciana.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia ven., 23: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti, p. 460; Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 29, cc. 135, 193; 31, cc. 7, 125; Ibid., Elezioni in Pregadi, regg. 23, cc. 15, 76; 24, cc. 3, 73; 25, cc. 5-7, 10, 73, 78, 88, 90, 92, 102, 116-117, 120, 127-128, 135, 147, 151-152, 165, 179, 184, 190; 26, cc. 2-3, 84, 86, 131, 141, 165, 188; Senato, DispacciSpagna, filze 167-170; Senato, DispacciRoma, filze 282-286; Senato, DispacciCostantinopoli, filze 212-215; Notarile, Testamenti, b. 233/116-117; Provveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 977, sub 15 genn. 1790 more veneto; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 3265/III: Lettere di diversi a don Benedetto Maccarani (contiene un carme del G. al suo precettore Maccarani); Mss. P.D., 495 C/I: [E.A. Cicogna], Cenni intorno a G.A. G. …; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, VIII, Spagna (1497-1598), a cura di L. Firpo, Torino 1981, pp. XXXV ss.; F. Seneca, Francesco Lorenzo Morosini e un fallito progetto di accordo veneto-russo, in Archivio veneto, s. 5, LXXI (1962), p. 20; G. Torcellan, Una figura della Venezia settecentesca: Andrea Memmo, Venezia-Roma 1963, pp. 35, 210, 219, 222; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Firenze 1972, pp. 534 ss.; G. Tabacco, Andrea Tron e la crisi dell'aristocrazia senatoria a Venezia, Udine 1980, pp. 46, 63, 69, 163 s., 167, 207; P. Del Negro, Politica e cultura nella Venezia di metà Settecento: la "poesia barona" di Giorgio Baffo "quarantiotto", in Comunità, XXXVI (1982), 182, pp. 362, 386, 396, 400, 411, 413, 415, 421 s.; F. Trentafonte, Giurisdizionalismo, illuminismo e massoneria nel tramonto della Repubblica Veneta, Venezia 1984, pp. 84, 91, 105, 109; Storia della cultura veneta, 5, Il Settecento, I, Vicenza 1985, pp. 41, 84, 86, 640; II, ibid. 1986, pp. 75, 356, 367, 373, 388, 390, 402, 404; R. Targhetta, La massoneria veneta dalle origini alla chiusura delle logge (1729-1785), Udine 1988, pp. 32, 85 s., 139, 154, 168, 176; F. Venturi, Settecento riformatore, V, L'Italia dei lumi, tomo II, La Repubblica di Venezia (1761-1797), Torino 1990, pp. 17, 217, 234; S. Ciriacono, Acque e agricoltura. Venezia, l'Olanda e la bonifica europea in età moderna, Milano 1994, pp. 177, 193, 201; Al servizio dell'"amatissima patria". Le Memorie di Lodovico Manin e la gestione del potere nel Settecento veneziano, a cura di D. Raines, Venezia 1997, pp. 17 s., 108 s., 130 ss., 136, 141, 143, 150, 152, 159.