ARAOLLA, Girolamo
Nacque a Sassari nel primo ventennio del sec. XVI, da famiglia nobile, che nel 1531 possedeva ancora un castello a Porto Torres. A Sassari l'A. intraprese gli studi di letteratura e di filosofia sotto la guida di G. Sambigucci, ma per addottorarsi in diritto dovette per qualche tempo lasciare la Sardegna e sembra, allo stato attuale delle ricerche biografiche, che tra le più celebri università del tempo (spagnole e italiane) avesse scelto Bologna per completare la propria preparazione giuridica.
Questa scelta rappresenta l'elemento di maggior rilievo al fine di individuare la formazione intellettuale dell'A., che fu italiana più che spagnola o comunque orientata verso l'ideale di ung cultura extra-provinciale, che matura per adesso nell'ambiente cosmopolita dello Studio bolognese e non tarderà a precisarsi nella imitazione letteraria della poesia dantesca e petrarchesca e infine del Tasso. Tale squilibrio a favore della tradizione culturale italiana (assai significativo nel periodo m cui Pietro Delitala osservava "essere la nobilissima lingua toscana nel regno da pochissimi intesa esattamente") trae forse la sua origine dalla situazione linguistica propria della regione logudorese, ove il catalano si afferma meno saldamente che altrove, e del sassarese in particolare che si stava formando nel primo Cinquecento su base tosco-genovese, ma ogni ragione che pretenda di spiegare deterministicamente l'esperienza individuale de.ll'A. deve in ultimo cedere di fronte all'originalità di tale esperienza, ravvivata dal gusto di personali letture, atteggiata (quali che siano i risultati estetici) a un senso raffinato e aristocratico della poesia.
Nel 1543-44 l'A. figura come primo consigliere del comune di Sassari: carica che ancora ricoprì negli anni 1548-49 e 1554-55, mentre venivano a rafforzarsi quei vincoli di salda amicizia con i poeti A. S. Figo, G. Sugner e soprattutto con lo storico G. F. Fara che risalivano probabilmente al tempo del discepolato col Sambigucci, e che l'A. rievocherà in una pagina altamente commossa delle Rimas spirituales. Questa trama di rapporti solleciti e costantemente ricercati sembra irrigidirsi, seppure non si dissolve completamente allorquando l'A. decise di abbracciare lo stato sacerdotale: va d'altro canto sottolineato come questa adesione (che appare del tutto sincera stando alla tematica delle rime) valse ad accrescere notevolmente il suo prestigio nell'ambito della vita cittadina se si pensa aRa familiarità dell'A. con i conti di Elda, Juan e Antonio Coloma, e alla carica di consultore del S. Uffizio, cui egli fu chiamato nel 1595, oltre al fatto che la carriera ecclesiastica e i proventi da essa derivati potevano facilmente ovviare a certi dissesti finanziari che agitavano la famiglia Araolla e permettevano allo scrittore di dedicarsi con tranquillità alla poesia.
Anche su un piano più strettamente culturale l'ufficio di canonico del capitolo di Bosa dovette assolvere un ruolo importante nella formazione intellettuale dell'A.: ché i nuovi interessi per la dottrina universalistica della Chiesa contribuirono ad affrancare la figura dei poeta dai limiti di una tradizione provinciale, ad arricchire la sua esperienza di suggestioni più meditate e di motivi riflessi. Nella particolare situazione della cultura sarda del tempo, che lascia scoprire una frattura incolmabile tra dialetto e lingua letteraria (che è costantemente il catalanospagnolo o l'italiano), l'eloquenza religiosa, nutrita di elementi biblici e classici, costituisce un elemento essenziale per il passaggio dal parlare comune a una prosa artisticamente elaborata, e infine da questa all'altro modo di espressione colta: cioè alla poesia. Sotto questo aspetto si rende evidente come la derivazione dalla letteratura devota, unitamente alla imitazione dei modelli italiani e spagnoli, rappresenti la principale componente di una poesia d'arte in generale, e si spiega come, strettamente connesse e articolate nell'ambito di una esperienza artistica nel complesso unitaria, possano rintracciarsi nel tessuto linguistico delle rime dell'A. sia la tendenza ad accogliere nel lessico. italianismi e spagnolismi, sia la necessità di riprodurre schemi e moduli espressivi caratteristici della poesia ecclesiastica. Solo che questi elementi avrebbero dovuto, secondo lo scrittore, convergere al fine unitario di elevare una lingua protocollare al livello della poesia, di creare un Iogudorese iffustre che potesse raggiungere una notevole autorità letteraria: problema che, neRa formulazione teorica, rappresenta una direttiva generale del sec. XVI, ma che in Sardegna avrebbe trovato maggiori resistenze essenzialmente per il distacco fra lingua letteraria (dei dominatori) e un dialetto con scarse possibilità espansive.
Già nel Gavino (Sa vida, su martiriu et morte dessos gloriosos martires Gavinu, Brothu e Gianuari, Sassari 1582 e Mondovì 1615) è manifesto l'intento di elevare al livello artistico un genere letterario destinato all'improvvisazione d'un poeta popolare. L'A. desunse la materia del poemetto da un rozzo cantare di A. Cano (pubblicato da M. L. Wagner nell'Arch. stor. sardo,VIII[1912], pp . 145 ss.), riducendolo tuttavia ai limiti di una arte didascalica perfettamente realizzata. Rimase pressoché invariato lo svolgimento della narrazione agiografica, ma il dialetto si rese notevolmente più duttile e l'incerta metrica del Cano si stabilizzò nell'ottava della tradizione romanzesca, sì che l'A. poteva con naturale orgoglio celebrare nella prefazione del poema il sorgere di un volgare illustre comune a tutta la Sardegna.
Questo tentativo si approfondisce ulteriormente (e rivela infine i suoi limiti) nelle Rimas diversas spirituales, in Calaris 1597, ove la stessa pluralità di temi e la conseguente varietà di influssi letterari sembra offrire all'abilità linguistica dell'A. un più vasto campo di prova. Nei capitoli e nelle epistole improntate alla grande produzione cinquecentesca, nelle canzoni che riproducono la diffusa eloquenza del Petrarca e del Tasso la frase poetica, nei suoi principali elementi costitutivi, è già tutta italiana e anche il lessico (specie nei vocaboli ricercati, negli "epitheta ornantia") non manca di sottolineare l'adesione ad una precisa tradizione culturale. A questo livello tuttavia si esaurisce il tentativo di arricchire e nobilitare il dialetto le cui scarse possibilità espressive rendono estremamente instabile ed empirica ogni ulteriore soluzione intesa ad adeguarlo alla lingua della letteratura, e il poeta ricorre senz'altro all'italiano e allo spagnolo quando vuole imitare la lirica del Petrarca e di Garcilaso. Idealmente le Rimas si concludono con il sonetto trilingue "Bivir en un rincón y sepultada" che se rappresenta una prova di estrema abilità tecnica (e corrisponde a una moda letteraria diffusa) costituisce d'altro canto l'omaggio a due insigni tradizioni di cultura rispetto alle quali l'elemento sardo assolse nel Cinquecento una funzione soltanto marginale.
L'originalità della risoluzione linguistica più che l'intrinseco valore letterario valse a determinare la fortuna delle Rimas, alcune delle quali furono ristampate nelle raccolte di G. e P. Pasella (1833), e di P. Nurra (1897) per trovare infine un autorevole editore nel Wagner. In esse l'ispirazione prevalentemente religiosa riesce talvolta a modularsi sulla nota di una più pacata e morbida lirica soggettiva: il trascorrere lento degli anni si risolve allora nel sentimento di una inesorabile caducità ("Currentes annos De virde arauzu una pallida olia") e la morta stagione è rivissuta - come nel Cabidulo de una vision - sulla vasta trama di rapporti affettivi e di segreti ricordi ("Dulque, amara memoria de giornadas Fuggitivas con doppia pena mia, Qui quando pius !'istringo, sunt passadas"); ma si tratta per le immagini più felici di motivi troppo frammentari che l'A. si affretta a concludere riparando in un moralismo scontroso e ferrigno. Il Discurso de sa miseria humana e De la Incarnatione de su Segnore nostro Jesu Christu sono delle vere e proprie prediche che riproducono nel metto e nel tono rigidamente didascafico dell'esposizione l'intento edificatorio del Gavino; aride nel loro pesante rigorismo morale e prive (come le tre epistole in terza rima) di un qualsiasi contenuto affettivo, non si elevano dal terreno della retorica, anche se lo zelo del predicatore riesce non di rado a creare qualche efficace immagine di sicuro effetto drammatico: "Limu de pius imfimu elementu, Fragile pius de vidru... D'itte t'abaglias?... Tottu est trabaglio in varios modos mistos, Sutto una superfigie de dulchura... Tottu est un ayre, tottu est umi die, Et non durat in isse cosa alcuna". Scarso interesse riservano le rime encomiastiche e commemorative che individuano tuttavia la apertura verso unaconcezione più cordiale della vita e sembrano ricondurre, nei casi migliori, a quel nucleo di affetti che informarono la giovinezza dell'Araolla.
Sugli ultimi anni della sua vita possediamo poche e frammentarie notizie: in qualità di consultore del S. Uffizio l'A. ebbe a interessarsi delle Rime diverse del Delitala che furono pubblicate a Cagliari nel 1595, e la lettera dedicatoria delle Rimas spirituales a Blasco di Alagon (che è forse del 1956) ci informa che tempo prima il poeta si era recato a Roma "pro negocios proprios". Morì alla fine del sec. XVI o nei primi anni del sec. XVII.
Bibl.: G. Manno, Storia di Sardegna. III, Torino 1826, pp. 523-531; D. P. Tola, Diz. biogr. degli uomini illustri di Sardegna, I,Torino 1837, pp. 84-88; F. Sulis, Della vita e delle opere di G. A., Discorso, in Il Promotore.I(1840), pp. 1-40; E. Toda y Güel, Bibliografía Española de Cerdeña, Madrid 1890, p. 73; A. Falchi, Discorso commemorativo, in Nuova Sardegna, 26-27 giugno 1913 (n. 171-172); D. Filia, La Sardegna cristiana, II, Sassari 1913, pp. 249, 264; R. Garzia, G. A., Bologna 1914; M. L. Wagner, Die Rimas Spirituales von G. A.,Dresden 1915 (Gesellichaft für Romanische Literatur, XXXVII); Id., La lingua sarda - Storia, spirito, forma, Berna s. d., passim (specialmente le pp. 404 ss.); F. Alziator, Storia della letteratura di Sardegna, Cagliari 1954, pp. 104 58.