DELLA STUFA, Giovenco
Nacque a Firenze il 30 luglio 1412 da Lorenzo di Andrea e Simona di Angelo Spini.
La sua famiglia accrebbe le già cospicue sostanze nel primo ventennio del sec. XV, grazie ai beni pervenuti con l'eredità dei fratelli del padre, Giovanni e Ugo, i quali, essendo senza prole, nominarono loro eredi universali i nipoti Lorenzo e Lotteringo. Già la sola ricchezza metteva i Della Stufa nelle condizioni di far parte dell'oligarchia che governava Firenze; il fatto poi che da lunga data un sodalizio, sia sul piano della politica che su quello degli affari, li unisse alla famiglia Medici, legò le loro fortune alle fortune di quella casata. Questo sodalizio, inziato nel 1326 quando il famoso giurisperito messer Ugo di Lotto Della Stufa aveva sposato Mandina di Giovenco de' Medici, fu senz'altro una delle cause per cui la famiglia ebbe un grande rilievo politico in tutto il Quattrocento, quando cioè fu più grande l'influsso dei Medici sul governo della Repubblica fiorentina. I Della Stufa, infatti, facevano parte di quel ristretto numero di famiglie che avevano una larga rappresentanza, sia di persone sia di polizze, nelle borse da cui si traevano a sorte le cariche della Repubblica fiorentina, ed è significativo che, nel periodo della signoria medicea, ben sei dei suoi membri avessero ricoperto la carica di gonfaloniere di Giustizia, la più alta magistratura fiorentina.
Come era naturale per tutti coloro che volevano esercitare un'attività economica o seguire la carriera politica, il D. il 20 marzo 1431 fu immatricolato all'arte della lana e successivamente, il 14 dic. 1442, all'arte dei mercanti di Calimala. L'annotazione "de novo descriptus", in quest'ultima matricolazione fa pensare che ce ne sia stata una ancora più antica. In entrambi casi il D. fu immatricolato "beneficio patris", segno che era tradizione familiare matricolarsi ad entrambe le arti. E infatti fu proprio l'attività di mercante che il D. esercitò sotto varie forme. Alla fine del 1432 egli era fattore della filiale di Roma del banco dei Medici, e poi dai primi mesi del 1439 fino alla fine del 1440 è documentata la sua presenza a Basilea, dove era stato inviato a dirigere un'altra filiale medicea.
I Medici, che con la filiale di Roma erano diventati praticamente i banchieri della corte pontificia, erano stati invitati dal cardinale Giuliano Cesarini, rappresentante papale al concilio di Basilea, ad aprire anche una filiale in quella città per gestire i movimenti di danaro necessario agli ecclesiastici ivi presenti. Per organizzarla, in un primo momento, fu inviato da Ginevra Giovanni d'Amerigo Benci, quindi vi fu messo a capo Roberto Martelli e infine la diresse il D. che fu trasferito da Roma. La filiale di Basilea si occupava di tutte le operazioni bancarie e finanziarie non solo per i singoli ecclesiastici convenuti, ma anche per il concilio stesso, come testimonia la bolla 'del 26 marzo 1439 inviata dal concilio al vescovo di Lubecca Johannes Schele, collettore apostolico in Danimarca, Svezia e Norvegia, per informarlo di aver affidato a Cosimo e Lorenzo de' Medici e, per loro, al D., loro fattore in Basilea, la riscossione della decime e degli altri contributi locali dovuti al concilio.
Il D. si dimostrò non solo un eccellente fattore delle attività mercantili e bancarie medicee, ma anche un attento ed acuto osservatore politico, particolarmente prezioso in questo periodo. Di somma utilità doveva essere la sua corrispondenza da Basilea con i membri della, famiglia Medici ed altri, di cui però sono rimaste solo due lettere. Le sue missive, infatti, sono vere e proprie relazioni sull'attività dei prelati presenti al concilio, sui loro movimenti e sulle loro intenzioni, e sugli interventi dei governi e dei regnanti, che più o meno scopertamente tendevano a condizionare le decisioni del concilio. In una lettera del 2 nov. 1439 dimostra di essere molto bene informato sull'attività che si svolgeva intorno ai prelati riuniti in conclave per l'elezione dell'antipapa, che poi tempestivamente annunciava, nel post scriptum, essere avvenuta il giorno 5 nella persona del duca Amedeo di Savoia.
Dopo la carriera decennale nel banco dei Medici il D. ritornò a Firenze e intraprese un'attività più propriamente mercantile divenendo "padrone di navi", termine ambiguo perché poteva significare sia il proprietario del legno sia il suo procuratore, ma anche il procuratore, durante la navigazione, di colui che aveva preso a nolo la nave. Di questa sua attività, che ebbe una durata più che ventennale, sono documentati almeno cinque viaggi. La sua presenza nel mondo del naviglio mercantile è attestata fin dal febbraio del 1443, quando lo troviamo fra le persone che fecero un'offerta ad un'asta, tenuta dai consoli del mare per conto del Comune di Firenze, per il noleggio di due galee da utilizzare per un viaggio in Fiandra e in Inghilterra. L'asta fu vinta da Niccolò Buti per conto del quale il D. fu "padrone" su una delle due navi che salparono da Porto Pisano nel novembre del 1443.
Possediamo sufficienti particolari di questo viaggio anche grazie alle lettere che il D. indirizzò a Giovanni de' Medici da alcuni porti di approdo. Furono ricevuti con grandi onori a Dartmouth, forse anche perché si trattava di un porto dove raramente approdavano navi fiorentine, ed invece ebbero grandi difficoltà a Sluys, dove la duchessa di Borgogna, Isabella, infanta portoghese, minacciò di trattenerli come ostaggi fino a che la Signoria non avesse pagato a suo fratello don Pedro gli interessi dovutigli per un deposito che aveva sul vecchio Monte. Il caso si risolse per il meglio quando i mercanti fiorentini delle Fiandre si impegnarono, con un pubblico strumento, a pagare a don Pedro la quasi totalità della somma dovutagli e gli ufficiali delle galee, a loro volta, si obbligarono a richiedere al Comune di Firenze la restituzione di quella somma ai mercanti, che in questo modo avevano garantito la libertà alle navi e all'equipaggio. I mercanti vennero poi regolarmente rimborsati in uno dei viaggi dell'anno successivo.In seguito il D. funse da capitano di due galee salpate da Porto Pisano il 12 giugno 1445 alla volta di Tunisi e Alessandria. In questa occasione fu incaricato di una missione presso il sultano di Tunisi e al cadì di Alessandria per ottenere che i mercanti fiorentini potessero frequentare le città ed i porti musulmani senza patire ingiuria. Infatti proprio in questi anni la Repubblica fiorentina tentò di incrementare i propri commerci con l'Egitto, i cui porti fino ad allora erano stati frequentati quasi esclusivamente dai mercanti veneziani e genovesi. Quanto fosse necessario stabilire dei trattati coi sultani musulmani lo dimostrò anche la missione diplomatica affidata al Della Stufa. Infatti, durante la sosta a Tunisi, Francesco, fratello del D., fu fatto prigioniero e trattenuto in ostaggio, e liberato solo dopo due successive ambascerie.
Il D. ebbe funzioni di "padrone" in tre altri viaggi che lo portarono nel 1455 in Catalogna e in Barberia, nel 1461 a Costantinopoli e nel 1462 di nuovo nelle Fiandre e in Inghilterra.
Le sue numerose imprese mercantili non impedirono tuttavia al D. di svolgere una normale attività politica all'interno della Repubblica fiorentina. Lo si trova allo squittinio del 1433 e nel 1442 ottenne per la prima volta una carica importante, quanto fu estratto per i Dodici buonuomini, una delle magistrature più alte dello Stato fiorentino di cui fece parte anche nel 1462. Nel 1451 tenne per sei mesi l'ufficio di vicario del Valdarno superiore e nel 1453 fu dei Priori per i mesi di maggio e giugno. Nel 1459 e poi ancora nel 1474 fece parte dei Sedici gonfalonieri di compagnia per il quartiere di S. Giovanni, gonfalone Lion d'oro, e finalmente, nel 1469, divenne gonfaloniere di Giustizia ricoprendo così la più alta magistratura repubblicana. Nel 1471 fu vicario di Lari e delle Colline pisane e tre volte, nel 1464, 1468 e 1472, fece parte del tribunale dei Sei di mercanzia. Nel 1478 infine fu nominato capitano e commissario di Cortona e nel 1479 fu, per sei mesi, uno dei due signori di Zecca "pro arte Kallismale". Pare che fosse anche creato cavaliere, perché nei documenti ufficiali del 1480 è qualificato "eques".
Pur non raggiungendo l'importanza politica del fratello Angelo, il D. aveva quindi ottenuto quasi tutte le cariche di rilievo che un uomo del suo ceto sociale ricopriva normalmente. Fu anche spesso chiamato a far parte delle consulte e pratiche, cioè di quelle adunanze consiliari straordinarie alle quali partecipavano, per invito della Signoria o di altre magistrature, cittadini autorevoli e rappresentanti di uffici della Repubblica il cui parere era richiesto in importanti affari di politica estera e interna. Non è certamente un caso che il D. facesse parte di questi organismi, proprio quando il fratello Angelo era assente da Firenze per le sue ambascerie.
Il D. era legato a Piero e Lorenzo de' Medici, oltre che da rapporti politici e di affari, anche da una sincera amicizia. Un episodio illustra bene la natura dei suoi rapporti con il Magnifico: Giovanna, una delle figlie del D., aveva sposato Niccolò Mannelli. Nel 1475 il padre di quest'ultimo, Leonardo, essendo ufficiale dell'Abbondanza, fu inquisito dagli Otto di guardia e balia e condannato alla multa di 3000 fiorini d'oro. Allora il D. scrisse a Lorenzo una lettera in cui, dopo aver affermato l'assoluta ingiustizia della condanna, lo invitava ad intervenire in favore del suocero della figlia dicendo: "ti priego con tutti i mia sensi che vogli porre il tuo santo rimedio, a fine che i mia nipoti, insieme co' mia figlioli, abino a seguire co' tuoi figlioli, come io e tutti i mia anno fatto verso casa vostra". Non si sa se Lorenzo sia intervenuto nel caso, tuttavia è certo che Leonardo Mannelli pagò la multa e solo nel 1480, su sua richiesta, la Signoria ne riconobbe l'innocenza e dispose la restituzione della somma pagata.
Il D. sposò Saracina di Bernardo di Ambrogio di Meo, e non una inesistente Maria Saracini, come affermano tutti i genealogisti, dalla quale ebbe cinque figli: tre femmine, Elisabetta, Emilia e la già ricordata Giovanna, e due maschi, Girolamo ed Enea, che furono entrambi svariate volte podestà e capitani nel contado fiorentino, oltre che priori; Enea fu anche gonfaloniere di Giustizia e insigne dottore, soprannominato messer Necessità.
Il D. morì a Firenze il 19 giugno 1480 e fu sepolto in S. Lorenzo.
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