GIOVE (Diovis, Jovis, Jūpitēr [Diēspiter])
Il culto di G. risale a quel sostrato indo-europeo al quale risalgono anche tutti i culti similari del mondo ellenico ed italico (v. zeus). Ciò al mondo romano, che d'altra parte non mostrò di avere mai un particolare interesse a creare tipi iconografici per le proprie divinità, rese più facile, nell'ambito del sincretismo religioso che gli fu proprio, la identificazione di G. con Zeus e la conseguenziale adozione della iconografia della divinità greca per la rappresentazione di quella romana. Tale fenomeno prima ancora che attraverso i contatti col mondo greco dell'Italia meridionale, dovette attuarsi attraverso l'Etruria. Infatti Tinia, che è l'equivalente etrusco di Zeus, appare più comunemente rappresentato sotto l'aspetto di divinità anziana e dalla gran barba, chiaramente derivato dalla iconografia di Zeus.
A Roma la derivazione del tipo iconografico di G. da quello Zeus-Tinia dovrebbe risultare implicito da quanto sappiamo dell'immagine di culto del tempio di G. Capitolino. Infatti per questo tempio la statua della divinità fu opera del coroplasta etrusco Vulca (v.) di Veio: la notizia non può essere revocata in dubbio, anche se qualche incertezza regna sulla datazione, oscillante tra la prima metà e la fine del VI sec.: questa ultima è, con buone ragioni, la data più comunemente accettata. La statua di terracotta rappresentava G. seduto in trono, ammantato, con nelle mani gli attributi che gli sono propri, anziano e dal volto coperto dalla barba, volto che in determinate circostanze veniva dipinto in rosso. Questa statua non può non essere ricollegata a tutta la coroplastica etrusca in genere e veiente in particolare, confermandosi così la mediazione etrusca per il tipo iconografico Giove-Zeus. Quando nell'anno 83 a. C. la statua fu distrutta dall'incendio, ne fu innalzata una crisoelefantina, ispirata allo Zeus fidiaco di Olimpia, opera di uno scultore greco, Apollonios. Ma il Giove Capitolino di Vulca non dovette diventare archetipo iconografico durante la Repubblica; infatti la prima monetazione romana con il tipo di G. risalente al III sec. (una più precisa datazione è controversa), ci mostra un tipo barbato di derivazione chiaramente ellenistica. In età imperiale, specialmente da Traiano ad Antonino Pio, più frequente appare nella monetazione il tipo Giove-Zeus, sia da solo sia con le altre due divinità della triade capitolina (Giunone, Minerva), senza però che possa dimostrarsi una derivazione iconografica dalla statua crisoelefantina di Apollonios. Il potenziarsi del culto dell'imperatore favorisce la diffusione del culto di G.; al quale quello dell'imperatore si richiama, e quindi più frequentemente appare G. nella monetazione e nei rilievi storici: in quel poema umano che è il fregio della Colonna Traiana l'unica divinità dell'Olimpo rappresentata è appunto G.; il quale, come anche nei rilievi dell'Arco di Traiano a Benevento, è sempre sotto l'immagine di Zeus, ma di uno Zeus meno solenne e, entro certi limiti, più umano.
Nel mondo italico, fuori dell'Etruria e prima della dominazione romana, per quanto il culto di G. o di divinità similari sia largamente diffuso rnanca una iconografia particolare, ove non si voglia vedere un G. sannitico nella testa in terracotta da Triflisco dell'Antiquario di S. Maria Capua Vetere, che ci dà appunto l'immagine di una divinità dalla folta barba e dal capo cinto da una corona vegetale.
Molto più complesso è il problema della iconografia di G. giovanile e sbarbato. La Grecia non ebbe per Zeus che il tipo anziano e barbato, ad eccezione di un singolo caso (Creta). Invece, del dio etrusco Tinia abbiamo, oltre alla iconografia già indicata, un tipo meno diffuso di divinità giovane, imberbe e dal capo cinto d'edera. Si potrebbe supporre che il tipo di Tinia giovane, che resta in seguito sommerso dal tipo Tinia-Zeus, sia da ricollegarsi ad una iconografia italica; infatti il G. giovane è ben rappresentato in età romana. È questo il tipo di Iovis Anxur il cui culto era diffuso e la cui iconografia ci è tramandata dalla monetazione romana, nella quale, d'altra parte, appare più volte G. giovanile, cinto d'edera, imberbe. Con questo schema iconografico appare in alcuni denari, tra i quali quelli dei Corneli Claudi, o in quelli di L. Cornelio Lentulo, console nel 49 a. C. È significativo che, mentre in alcuni denari di Cornelio Lentulo G. appare giovane, sbarbato, nudo, stante, in altri dello stesso Lentulo compaia il tipo Giove-Zeus, significando la cosa che i due tipi iconografici sono contemporanei. Una esemplificazione del G. giovanile nella pittura e ancor più nella scultura è molto incerta, perché il tipo finisce con il confondersi con quello di Veiove, salvo che Veiove non sia una divinità a sé, ma proprio G. giovane, o, al più, l'aspetto catactonio di Giove. In tal caso dovremmo ricordare la statua di Veiove rinvenuta presso il tempio di Veiove inter arcem et Capitolium, la quale, come tutta la rappresentazione su tipi monetali, mostra che l'iconografia di Veiove-Giove giovanile si confonde di volta in volta con quella di Apollo, di Hermes o di Dioniso giovane: si direbbe che mancando per la divinità italica un tipo iconografico, se ne sia preso a prestito uno dalle divinità tipicamente giovanili del pantheon ellenico. Si veda, infatti, il G. giovane nella triade capitolina del denario del 99 a. C. di Gn. Cornelio Blaso, o nella rappresentazione tipicamente romana dei dodici dèi corrispondenti ai dodici mesi, o in quella della Casa dei Vetti a Pompei, nella quale G. giovanile in trono è rappresentato imberbe e col capo cinto d'edera.
Bibl.: Fonti per il G. Capitolino: Plin., Nat. hist., XXXV, 157 (da Varrone); XXXIII, iii; Ovid., Fast., I, 201; Arnob., VI, 25. Per i tipi monetali: Babelon, Mon. Rep., I, 34, 35; II, 546; I, 425, 64; 426, 66; L. Preller-H. Jordan, in Röm. Mythologie, I, 3a ed., Berlino 1881, pp. 184 ss.; E. Aust, in Roscher, II, Lipsia 1890-97, col. 618 ss.; per la tipologia nell'arte col. 754 ss.; P. Perdrizet, in Daremberg-Saglio, Dict. Ant., III, Parigi 1899, pp. 691 ss.; per la divinità nel mondo etrusco: p. 708, nel mondo italico: pp. 708 ss.; C. O. Thulin, in Pauly-Wissowa, X, 1917, col. 112 ss.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Roemer, 2a ed., Monaco 1912, pp. 113 ss.; H. M. R. Leopold, La religione dei romani nel suo sviluppo storico, Bari 1924; A. B. Cook, Zeus. A Study in Ancient Religion, Cambridge 1914-25; J. Beaujeu, La religion romaine à l'apogée de l'empire, I. La politique religieuse des Antonins, Parigi 1955, pp. 60 ss.; C. Koch, Der Roemische Juppiter, Francoforte 1937; A. M. Colini, Aedes Veiovis inter arcem et Capitolium, in Bull. Com., LXX, 1942, pp. 5 ss.; A. Stazio, Sul culto di Vejove a Roma, in Atti Acc. di Napoli, XXIII, 1947; M. Napoli, Testa di divinità sannitica da Triflisco, in La Parola del Passato, L, 1956, pp. 386 ss.