GIOVANNICCIO (Ioannicio) da Ravenna
La sua data di nascita deve collocarsi all'incirca tra il 660 e il 670, poiché egli è definito adolescente durante il periodo di governo di Teodoro (II), esarca di Ravenna dal 678 circa al 687.
G. era il trisnonno di Agnello, autore del Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis, che rappresenta la principale fonte su questo personaggio. I dati forniti dallo storico ravennate consentono di ricostruire il seguente albero genealogico: G. ebbe da Sergia due figli, Giorgio e Agnese, la quale si sposò con Basilio; da questa unione nacquero Andrea, padre di Sergio, e Basilio, padre di Agnello.
Il cronista ravennate sottolinea che G. era di nobili natali, affermazione sospettata di essere una sua esagerazione per esaltare la famiglia da cui discendeva. Brown (p. 171) infatti sottolinea che Agnello stranamente omette di riferire il nome di qualche suo antenato precedente e ritiene molto improbabile che un membro di una famiglia senatoriale avesse potuto reputare degne del suo status le mansioni svolte da Giovanniccio. La sua posizione nella società ravennate dovette però essere di una certa importanza se riuscì a ottenere dalla Chiesa di Ravenna alcuni possedimenti nei pressi di Rimini. Tale posizione è confermata anche dal ruolo di comando assunto da suo figlio Giorgio a Ravenna nel 710 e dal matrimonio di sua figlia Agnese con Basilio, il quale ricoprì anche lui una rilevante carica militare.
Agnello cita per la prima volta G. ai tempi dell'esarca di Ravenna Teodoro (II). Narra infatti che la sapienza del suo antenato cominciò a risplendere in quel periodo: l'esarca era afflitto per la morte del suo bravissimo notaio e per tale motivo i suoi notabili gli dissero di non preoccuparsi, perché c'era un adolescente di nome G., il quale era di nobilissimi natali, scriba peritissimo, molto sapiente, che conosceva la letteratura greca e quella latina e nel parlare era al tempo stesso abile e cauto.
Teodoro si rallegrò e lo fece convocare subito ma, come lo vide, ne rimase deluso, poiché G. era basso e di brutto aspetto e ritenne che non poteva essergli utile. A tale proposito, Agnello coglie l'occasione per fare uno dei suoi interventi personali sottolineando che Dio sceglie le cose deformi per confondere i forti e che l'esarca disprezzò quello che vedeva, ma poi apprezzò invisibilia.
I notabili di Teodoro lo convinsero a mettere il giovane alla prova. L'esarca fece portare una lettera dell'imperatore scritta in greco e ordinò a G. di leggerla. Questi, conoscendo benissimo il greco e il latino, lasciò di stucco Teodoro, chiedendogli se desiderava che leggesse in greco o che la traducesse in latino. L'esarca lo mise ulteriormente alla prova, facendogli tradurre in greco un documento scritto in latino e, poiché G. lo fece senza alcun problema, volle che fosse sempre a sua disposizione e che non lasciasse mai il palazzo senza un suo ordine. L'episodio narrato da Agnello evidenzia, oltretutto, la scarsa diffusione della cultura (e della lingua) greca nell'Esarcato.
G. non fu però utilizzato solamente dall'esarca, ma anche dall'arcivescovo di Ravenna, il quale sfruttò le sue competenze linguistiche, chiedendogli di spiegare i canti, che alla domenica venivano eseguiti in onore dei santi apostoli e dei martiri. Abbiamo anche notizia che Illaro, notaio e poi scriniarius della Chiesa ravennate, fu allievo di G. (Storia di Ravenna, II, 2, p. 374).
Tre anni dopo che il giovane era stato preso al servizio dell'esarca, l'imperatore Giustiniano II, ammirato dai versi di G. inviati da Teodoro al sovrano, ordinò di mandarlo a Costantinopoli, dove in pochi giorni si pose a tal punto in luce per la sua sapienza che il sovrano lo annoverò tra i suoi primates.
Agnello non si limita però a magnificare le doti intellettuali del suo avo. Riferisce infatti che dimostrò di essere molto generoso, facendo ricche donazioni al monastero di S. Andrea e prestando sempre il suo aiuto ai poveri e ai malati. Mette in luce inoltre la sua grande religiosità, narrando che il notaio di G., vedendo che usciva spesso di notte e tornava a casa tardi, s'incuriosì e decise di seguirlo per scoprire per quale motivo andava in giro da solo, ipotizzando qualche incontro segreto con l'esarca o con prostitute. Lo trovò invece in una chiesa intento a pregare disteso per terra.
Nella complessa situazione di tensione tra la Sede apostolica, la Chiesa ravennate e l'Impero G. fu vicino a Felice (arcivescovo di Ravenna dal 709) che difese vivacemente l'autonomia della Chiesa ravennate. Negli anni 709-711 G. fu quindi vittima della repressione contro Ravenna voluta da Giustiniano II il quale inviò nell'Esarcato il patrizio Teodoro, stratego di Sicilia, che prese prigionieri G., Felice e altri illustri ravennati, saccheggiò le loro case e confiscò i loro beni. L'imperatore si vendicava così forse anche della partecipazione dei Ravennati alla ribellione avvenuta contro di lui nel 695.
L'orgoglio di Agnello per questo suo parente è evidenziato dal tono quasi epico con il quale racconta quello che accadde nella capitale dell'Impero: Giustiniano II riconobbe G., ordinò che gli fossero infilati degli oggetti - non si sa esattamente che cosa, perché il copista saltò il vocabolo - sotto le unghie delle mani e gli disse di scrivere. G. obbedì, però lo fece non con l'inchiostro, ma col suo sangue e scrisse a Dio di venire ad aiutarlo e a liberarlo dai suoi nemici e da quell'iniquo imperatore, dopodiché gettò la lettera in faccia al sovrano, dicendogli di saziarsi col suo sangue.
Giustiniano II fece subito giustiziare G. il quale, prima di morire, predisse ai suoi carnefici che il giorno successivo l'imperatore sarebbe stato ucciso, cosa che effettivamente accadde, poiché il popolo, non sopportando più la sua crudeltà, si ribellò e ammazzò Giustiniano.
La data di morte di G. è da collocare quindi poco prima del dicembre 711, quando scoppiò la rivolta. Fu sepolto a Costantinopoli presso la porta chiamata Aurea, dove lo stesso Agnello si recò a pregare.
Agnello dimostra la sua acredine per il responsabile della morte di questo suo illustre antenato e la sua soddisfazione per la fine che fece, soffermandosi sulla maniera in cui l'imperatore fu ucciso e il suo corpo oltraggiato e aggiungendo che fu esaudito il desiderio della sorella di G. di vedere la testa mozzata di Giustiniano II che era stata inviata nelle province occidentali dell'Impero dal nuovo imperatore Filippico Bardane.
Nel frattempo Ravenna si era ribellata, l'esarca Giovanni Rizocopo era stato ucciso e Giorgio, figlio di G., fu posto a capo della difesa della città.
Fonti e Bibl.: Agnellus Ravennas, Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di O. Holder-Egger, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannoverae 1878, pp. 277-391 (capp. 120, 137, 138, 141 s., 146 s., 148); Breviarium Ecclesiae Ravennatis (Codice Bavaro) secoli VII-X, a cura di G. Rabotti, Roma 1985, p. 16 n. 24; L.M. Hartmann, Johannicius von Ravenna, in Festschrift Th. Gompertz…, Wien 1902, pp. 319-323; G. Zattoni, Un frammento dell'antico officio Ravennate, in Rivista di scienze storiche, II (1905), pp. 217-223; F. Lanzoni, Reliquie dell'antico officio divino di Ravenna in Agnello, in Rassegna Gregoriana, XX (1909), 8, p. 245; N. Tamassia - V. Ussani, Epica e storia in alcuni capitoli di Agnello Ravennate, in Nuovi Studi medievali, I (1923), pp. 31-38; J.O. Tjäder, Die Bestrafung des Notars Johannicius im "Liber pontificalis" des Agnellus, in Italia medioevale e umanistica, II (1959), pp. 431-439; G. Fasoli, Rileggendo il "Liber pontificalis" di Agnello Ravennate, in La storiografia altomedievale.XVIISettimana di studio del Centro italiano di studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 1970, I, pp. 463 s.; M.W. Steinhoff, Origins and development of the notariate at Ravenna (sixth through thirteenth centuries), New York 1976, pp. 65-69; T.S. Brown, Gentlemen and officers. Imperial administration and aristocratic power in Byzantine Italy A. D. 554-800, Roma 1984, pp. 77, 80, 154, 167, 170 s.; Storia di Ravenna, II, 1-2, a cura di A. Carile, Venezia 1991-92, ad indices, s.v.Ioannicio, Johannicis, Joannicius; R. Benericcetti, Il pontificale di Ravenna. Studio critico, Faenza 1994, pp. 56-58; J. Martínez Pizarro, Writing Ravenna. The "Liber pontificalis"of Andrea Agnellus, Ann Arbor 1995, pp. 22 s., 75 s., 82, 88, 118, 158-160, 162 s., 166, 171, 173-185, 187 s.; A. Bedina, Giorgio, in Diz. biogr. degli Italiani, LV, Roma 2000, pp. 342 s.