GIOVANNI
Nulla sappiamo delle origini di G. né della sua vita prima dell'ascesa al patriarcato di Aquileia, che è da porre presumibilmente nel 984, giacché in un documento del 1015 G. ricorda di essere giunto al suo trentaduesimo anno di episcopato. Egli fu il quarto patriarca aquileiese a portare il nome Giovanni.
Il primo documento che lo nomini è del 18 giugno 990 e si tratta di un diploma imperiale dato a Francoforte. Dalle poche fonti sopravvissute, in effetti, non è possibile dedurre alcuna informazione sulla famiglia di G.: non ha perciò fondamento la tradizione che lo vuole proveniente da Ravenna. Indipendentemente dalla sua origine, egli era sicuramente vincolato a un rapporto di fidelitas con i sovrani della casa sassone, come tutti i presuli aquileiesi dell'epoca, scelti normalmente tra i rampolli di stirpi germaniche.
Fin dall'avvento di Carlo Magno, gli ordinari di Aquileia furono cointeressati e coinvolti nelle dinamiche di espansione e di controllo territoriale dei confini orientali dell'Impero. Ciò era avvenuto in prima istanza tramite il ripristino, il consolidamento e la migliore definizione dell'autorità metropolitica del presule aquileiese, in continuo confronto-scontro con le pretese sull'Istria e sul litorale adriatico dei patriarchi di Grado (sostenuti da Venezia) e, a settentrione, con l'intrusione degli arcivescovi di Salisburgo. Il mancato stabilirsi, nel corso del IX e sul principio del X secolo, di un duraturo raccordo fra la circoscrizione pubblica friulana (ducato, marca, comitato) e una stirpe saldamente radicata localmente e di vocazione ereditaria favorì il lento sviluppo di una funzione suppletiva da parte dei patriarchi, che già Carlo Magno aveva preso a gratificare con ricche dotazioni patrimoniali e immunitarie passive. Nel primo ventennio del X secolo, Berengario I contribuì in modo decisivo a potenziare le prerogative pubbliche della sede aquileiese, trasferendo a questa in diverse circostanze - sia pure senza coerenza e omogeneità spaziale - proprietà e beni regi, con i collegati oneri e diritti militari di difesa, giurisdizionali, fiscali.
La riorganizzazione territoriale operata dagli Ottoni nell'Italia nordorientale, con la creazione della marca veronese-aquileiese aggregata su base personale a Baviera e Carinzia, incluse e legittimò ulteriormente il ruolo politico dei patriarchi, accentuandone anche la fisionomia militare. Ottone I e Ottone II potenziarono la posizione di Rodoaldo (963-983), lo stesso fecero Ottone III ed Enrico II con G. (e analoghe circostanze si realizzarono più tardi fra Poppo, successore di G., e i sovrani germanici). In tal modo gli ordinari diventarono i principali interlocutori dell'imperatore e maglie di una rete di rapporti di dimensione europea, spesso intessuta sul filo di parentele e di vincoli personali. G. seppe rispondere al meglio a questo compito, e ciò gli fruttò un'ulteriore crescita di potere.
Il sopraccitato privilegio del 18 giugno 990 era la conferma di un precedente diploma, del 972, e menzionava la supremazia aquileiese sull'episcopato di Concordia (già accordata da re Ugo, nel 928) e sull'abbazia di S. Maria di Sesto, ma di notevole rilievo è soprattutto la carta del 28 apr. 1001, con la quale a G. e ai suoi successori veniva conferita metà della proprietà e dei diritti sul castello di Salcano, sul villaggio di Gorizia e su un'estesa fascia di confine, fino ai gioghi alpini, che si allungava tra il Friuli e l'attuale Slovenia. L'altra metà di tale territorio era affidata al conte Werihen, ma la famiglia comitale perse presto ogni incidenza nella regione. Il documento rivela la sempre miglior definizione del territorio friulano di pertinenza patriarcale e conferma una volta di più l'affidabilità di G. come referente imperiale. Il rapporto proseguì anche con Enrico II. G. infatti appoggiò fin dal 1007, insieme con i vescovi suffraganei, il disegno imperiale di erigere una nuova diocesi a Bamberga e, secondo Tietmaro, il 6 maggio 1012 ne consacrò solennemente la cattedrale, contornato da altri trenta presuli. In cambio l'imperatore aveva confermato al patriarca, con un diploma del 30 apr. 1012, il possesso di Pedena e Pisino, in Istria, aggiungendo una serie di prerogative pubbliche e il porto di Flanona, con il diritto di libera navigazione in tutte le province dell'Impero per chi avesse navi in esso. L'ultimo indizio della familiarità di G. con Enrico risale al 1017, quando da Allstedt e su istanza del patriarca il sovrano concesse al monastero di S. Maria di Pero, nel Trevigiano, la villa di San Paolo, con la cappella di S. Martino, accogliendo il cenobio sotto il proprio mundiburdio.
Molte delle concessioni imperiali riguardavano il controllo di giurisdizioni e benefici ecclesiastici: singole chiese, monasteri, episcopati. Ciò non deve stupire, data la natura del sistema politico, di ispirazione carolingia, che nella prassi concreta dell'amministrazione non distingueva nettamente una sfera laica da una ecclesiastica, entrambe comunque preordinate al controllo della società. Nel caso specifico, tuttavia, l'osservazione conduce al tema dello sviluppo dell'autorità metropolitica del patriarca, ai modi della sua affermazione e quindi alle relazioni con il Papato. Il diploma di Ottone III del 26 giugno 996 - costruito su una falsa donazione di Carlo Magno dell'803 - affidava a G. tre monasteri (S. Maria di Sesto, S. Maria in Organo di Verona e S. Maria in Valle di Cividale [?]) e sei episcopati, non tutti facilmente riconoscibili, ma di recente individuati come Concordia e Udine, in Friuli, Cittanova, Rovigno, Pedena e Tersatto, in Istria. Al di là della difficile identificazione dei toponimi, legati o meno a un episcopato, si nota da una parte la preoccupazione di estendere il proprio controllo sull'Istria, oggetto di continue vertenze nella più ampia disputa fra Aquileia e Grado, dall'altra l'uso disinvolto del falso, come sovente avveniva, per costruire i propri titoli di legittimità. La prima notazione stimola un collegamento con una lettera del 1010 di papa Sergio IV ad Andrea, vescovo di Parenzo, volta a confermare la giurisdizione del presule parentino su Rovigno, Valle e Duecastelli, contro le aggressioni di G., contrastate senza successo fin dai tempi di Silvestro II; mentre la seconda pone il problema di collocare una serie di falsi (come il privilegio di s. Pietro, che conferiva ad Aquileia l'onore di seconda sede occidentale dopo Roma, inserito in una lettera, falsa, di Leone VIII a Rodoaldo, datata 963), che sembrano fabbricati appositamente per puntellare le rivendicazioni avanzate con particolare vigore proprio da G., il cui autentico ruolo nella contesa con Grado permane oscuro, affidato alle incerte parole del tardo Chronicon Aquileiense ("Iohannes patriarcha […] coram b. Henrico imperatore […] de Gradu plebe sua sententiam reclamavit") ma potrebbe ricevere nuova luce da una migliore attribuzione proprio di questi falsi. Il frequente ricorso all'ausilio imperiale in ogni caso tradisce una situazione instabile, con acquisizioni per nulla scontate e definitive, ma indica anche una condizione comune delle Chiese dell'Italia settentrionale, che si orientavano con riserva verso la Sede papale, pure per affrontare problemi di natura eminentemente ecclesiale.
Gli strumenti della giurisdizione ecclesiastica furono comunque ampiamente utilizzati da G., in mancanza di altri canali d'intervento su questioni ritenute di propria competenza. Resta infatti la ricorrente traccia di concili provinciali. Sicuri sono quelli del 995 (Verona) e del 1015 (Aquileia), probabili quelli del 1007 e del 1016. La convocazione dei suffraganei era un modo per affermare la propria autorità di metropolita e le assemblee conciliari potevano essere momenti di comune concertazione politica (fu dibattuta più volte la vertenza fra Aquileia e Grado, nel 1007 si decise di sostenere i progetti di Enrico II per Bamberga), oltre che di controllo, verifica e organizzazione del clero e delle chiese locali. Nel concilio veronese G. sentenziò sulle dipendenze del clero della città, mentre in quello aquileiese si preoccupò di dotare con beni fondiari le canoniche di Cividale, rafforzandole e dando un segnale di natura prettamente religiosa, giacché ai canonici cividalesi spettava il controllo di un gran numero di chiese curate nella zona di cerniera fra l'etnia latina e quella slava, non sempre appieno cristianizzata.
G. morì il 19 giugno 1019.
Anche se delle funzioni pastorali di G. non rimangono ulteriori indizi, è comunque possibile almeno ipotizzare che il suo lungo patriarcato sia stato importante per l'origine o l'assestamento di istituzioni (le canoniche cividalesi e quelle aquileiesi, il monastero femminile di S. Maria di Aquileia e quello maschile di S. Martino della Beligna, presso Aquileia), meglio documentate come esistenti e attive sotto l'immediato successore Poppo, ma la cui fondazione o ristrutturazione si devono probabilmente proprio a Giovanni.
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