CAMPEGGI, Giovanni Zaccaria
Figlio di Bartolomeo e di Paola Cavalcabò, nacque nel 1448a Mantova dove il padre si trovava in quegli anni come consigliere di LudovicoGonzaga.
Il padre, Bartolomeo, insegnò diritto civile nello Studio di Bologna dal 1428 al 1434, dal 1438 al 1440 e dal 1443 al 1445. Nel 1429 entrò a far parte del Collegio dei giuristi bolognesi, di cui fu priore per i bimestri luglio-agosto 1431, marzo-aprile 1440 e gennaio-febbraio 1445. Prese parte attiva alla vita politica bolognese in un periodo particolarmente travagliato della storia della città. Nel 1428 fu tra gli Anziani, nel 1435 tra i Dieci di balia e il 1º apr. 1445 fu nominato tra i "syndacos generales omnium officialium civium civitatis, comitatus et diocesis Bononie". Legato alla fazione dei Canetoli, fuggì da Bologna nel giugno 1445 dopo il fallimento della congiura che aveva portato all'uccisione di Annibale Bentivoglio. Passò quindi a Mantova, ove poco tempo dopo divenne consigliere di Ludovico Gonzaga. L'ultima notizia certa su di lui sembra risalire al 1464 (Ghirardacci, p. 184). Nessuna sua opera è giunta a noi.
Dopo aver compiuto gli "studia humanitatis" nella città natale, il C. fu inviato a Bologna a studiare giurisprudenza. Secondo il Sigonio, vi ebbe maestro Alessandro Tartagni, prima di passare a Pisa sotto Francesco Aretino. Ma se la prima notizia può avere qualche fondamento, purché riferita ad un periodo successivo al 1470, più problematica appare la seconda, perché l'Aretino insegnava a Siena fin dall'anno 1466 e passò a Pisa solamente nel 1479. Nel 1472 il C. si trovava a Bologna, dove si faceva iscrivere nei Rotuli per il nuovo anno accademico come lettore di codice nei giorni festivi. Forse riuscì appena a iniziare i corsi, perché già il 14 ottobre il Collegio dei legisti gli vietava esplicitamente di leggere, dal momento che non aveva ancora conseguito la laurea. Ottenne il dottorato l'anno successivo, il 30 marzo in diritto canonico e l'8 aprile in diritto civile.
Negli atti relativi, proprio a causa dell'episodio accaduto nell'ottobre, si volle precisare che il C. "non legit, nec repetit" (Fantuzzi). È dunque priva di fondamento la notizia tradizionale, che ha origine anch'essa nel racconto di Carlo Sigonio, secondo cui fin dal 1470, non ancora dottore, ma già conteso dalle università di Pisa e di Pavia, egli avrebbe accettato una cattedra nella città lombarda.
In realtà a Pavia il C. giunse soltanto nel 1475, grazie all'appoggio di Tommaso Tebaldi, anch'egli di origine bolognese, amico del padre e magistrato di grande autorità nel ducato milanese, del quale il C. aveva sposato la figlia Dorotea, che nel 1474, a Milano, gli aveva dato il primo figlio Lorenzo.
Dal 1475 al 1483 il C. tenne a Pavia una cattedra straordinaria di diritto civile. Il contatto con l'ambiente pavese, fra i più vivi della cultura italiana della fine del Quattrocento, caratterizzato dalla presenza di una vigorosa tradizione filologica e giuridica, costituì un forte impulso per la sua attività scientifica. Sembrano infatti un risultato dei suoi corsi pavesi i Commentaria in Pandectis, di cui il Fontana registra un'edizione "Ticini 1625", mentre del corso del 1482 esistono le lectiones raccolte dal suo allievo Daniele Manna (Milano, Bibl. Ambrosiana, ms. A. 250 inf.). Allo stesso periodo forse risale anche un inedito Index legum (Milano, Bibl. Trivulziana, ms. 711). A Pavia infine nacque il suo Tractatus de dote, che vi fu pubblicato nel 1477 con una significativa dedica al consigliere ducale Antonio Simonetta e che doveva restare la sua opera più citata e più nota.
Il trattato era costituito da tre nuclei principali, su aspetti distinti dell'istituto (ma nelle ristampe apparve diviso in cinque parti, in considerazione di spostamenti o di aggiunte), ed in questa forma fu noto al Diplovaticcio, che sottolineava come fosse composto "per viam quaestionum". Il procedimento seguito denunciava una chiara origine scolastica, riconoscibile con tutta evidenza nella trattazione degli argomenti secondo i criteri caratteristici della tradizione universitaria dei tardi commentatori. Del resto, il medesimo schema e l'elencazione ordinata dei pro e dei contra doveva apparire anche in altre sue opere e negli stessi consilia, a testimonianza di una continuità di metodi che le nascenti polemiche umanistiche non potevano scalfire. Tuttavia non per questo si può parlare di una cultura antiquata e inesperta dei più recenti dibattiti. Non a caso più tardi Giambattista Pio, in un testo indicativo degli indirizzi prevalentemente filologici con cui si espresse in Italia la giurisprudenza umanistica, ricordava proprio il C. tra gli emuli degli antichi, capaci di ripristinare la "maestà delle leggi". Ai recentiores "infantes" e "ineruditi", i quali "spurce et improprie effutiunt monstra ab ultima barbarie a Bartholo Baldoque relata", egli contrapponeva la dottrina del maestro, tutta intessuta d'una soave e "nectarea eloquentia".
Nel 1483, già accompagnato da un prestigio notevole, il C. fu chiamato ad una cattedra ordinaria di diritto civile nell'università di Padova, con lo stipendio di 450 ducati. Vi doveva restare in pratica per oltre quindici anni, salvo una breve interruzione, contando fra i suoi allievi il Diplovataccio e Gregorio Amaseo. Il favore che seppe conquistarsi presso una parte almeno della classe dirigente veneziana ed il successo vivissimo presso gli scolari fecero di lui uno dei maestri più autorevoli del suo tempo, in grado di contendere vittoriosamente con giuristi famosi come Giason del Maino e Bartolomeo Sozzini.
Giasone era giunto a Padova nel 1485, ottenendovi il primo luogo fra i civilisti. La rivalità del C. non tardò a manifestarsi, acuita dal fatto che, almeno per un certo periodo, la lettura del Maino fu "concorrente" con la sua: cadeva cioè nella stessa ora. Le differenze nel trattamento economico, in quanto segno immediato e visibile d'una gerarchia, resero aperto il contrasto. In realtà non si trattava solo d'una astratta contesa di prestigio: la posta in gioco aveva necessariamente dei riflessi sulle priorità, le forme, gli indirizzi da seguire in quell'attività di consulenza per la Repubblica che, per il suo diretto valore politico, presupponeva rapporti espliciti con il potere e con i gruppi e le fazioni che lo costituivano.
Al di là delle discordanze sull'esatto ammontare degli stipendi, le fonti riassumono in termini analoghi i momenti essenziali della vicenda. Nel 1486, con l'aumento a 600 ducati, il C. ottenne una sostanziale parificazione col Maino. L'anno dopo però, salito a 800 ducati il compenso a Giasone, egli stimò inaccettabile la sua posizione e si trasferì a Bologna, seguito da numerosi studenti. Tuttavia fra l'ottobre e il novembre del 1488 a Padova si giunse a una rottura tra l'università e Giasone, in seguito alle offerte che questi aveva ricevuto da Pisa ed al rifiuto del Senato veneziano di concedergli un ulteriore aumento a 1.000 ducati. Il 12 novembre infine, con i corsi ormai iniziati e il rischio di avere scoperta la cattedra principale, il Senato deliberò di richiamare con urgenza il C., cui accordò il primo luogo fra i civilisti ed 11.000 ducati negati a Giasone. La condotta doveva intendersi "per annos quinque ad minus et tantum plus quantum fieri poterit" e il C., che aveva già cominciato a leggere a Bologna per il secondo anno, "Postposito quocumque partito, quod Bononie, in patria sua habet, libenti animo se optulit venire immediate" (Dalla Santa). Pochi giorni dopo fu accolto in città con una cerimonia assai fastosa, che colpì il Sabellico e che in genere era riservata all'ingresso in carica dei magistrati veneziani, o all'arrivo di principi e sovrani.
Forte di questo ingaggio, che gli fu rinnovato due volte con ulteriori ritocchi (nell'anno 1493 raggiunse addirittura i 1.200 ducati), il C. riuscì ancora a sbarrare il passo a Giasone nel 1496 e nel 1500, quando il Senato intraprese nuove trattative per ricondurre a Padova il maestro. Un successo analogo dové riportare nei confronti di Bartolomeo Sozzini, che fu chiamato alla fine del 1498 con 1.000 ducati, ma che abbandonò ben presto lo Studio, certo anche a causa degli aspri contrasti con il C., di cui dà notizia il Sanuto.
Durante gli anni del suo insegnamento, il C. ebbe spesso importanti incarichi, sia da Padova sia da Venezia, che si avvalevano frequentemente dei professori dell'università per consulenze, ambascerie e riforme. Il Sanuto registra i consulti principali di cui fu richiesto per sostenere le ragioni della Serenissima in delicati affari di politica estera, o in occasione di controversie che interessavano le maggiori famiglie patrizie.
Nel corso d'uno di questi processi fece rumore la sua dotta arringa in favore di Antonio Grimani, che durò quasi cinque giorni. In virtù del suo prestigio, ancora a lui si rivolse il vescovo Barozzi nel condurre a termine il progetto di Bernardino da Feltre, di costituire a Padova un Monte di pietà. Un consiglio del C., sottoscritto in qualità di avvocato concistoriale, oltre che di dottore leggente, chiudeva infatti nell'edizione a stampa (Pro Monte Pietatis Consilia..., s.n.t. [Padova 1494?], cc. 38r-42r; copia alla Bibl. Ap. Vat., Inc. V. 222) gli scritti raccolti per allontanare dalla recente istituzione ogni sospetto di "crimen usurarie pravitatis". Vari anni prima, del resto, assieme a Giasone, era stato consultato a proposito di una condanna inflitta dal podestà di Padova ad un ecclesiastico. Al pari del suo collega, ma in maniera più energica e radicale, aveva sostenuto l'esenzione completa di tutti i chierici dai tribunali laici, anche in materia criminale ed anche in caso di giuramento di ossequio a statuti e consuetudini locali di tenore diverso (G. B. Ziletti, Consilia criminalia, Venetiis 1572, II, cc. 66ra e ss.). Egli si spingeva fino ad affermare che la "iurisdictio temporalis debet adiuvare iurisdictionem ecclesiasticam" e che il chierico chiamato in giudizio "etiam volens non potest nec debet coram iudice seculari [ ... ] comparere", mentre la sentenza pronunciata contro di lui è "nulla ipso iure", così come è scomunicato ipso iure chi la pronuncia, "propter offensionem libertatis ecclesiasticae". Nei territori della Serenissima, accortamente sensibile al tema delle proprie prerogative nei confronti delle pretese ecclesiastiche, l'orientamento filopontificio del consulto non poteva essere soltanto occasionale. Infatti anche nel trattato De testibus (nei Tractatus universi iuris, IV, Venetiis 15184, ff. 88rb-125rb) egli sosteneva posizioni analoghe, escludendo in qualsiasi caso gli ecclesiastici dalla tortura e considerando indizio di eresia anche il semplice possesso di libri ereticali. Perciò non è senza motivo, se nel dicembre 1500 il Sanuto poteva annotare di "Zuan Campeze, dotor, ch'è contra il re [di Franza] e la Signoria nostra" (III, col. 1220).
Nel 1503, alla scadenza del contratto, il C. preferì ritornare a Bologna, dove da diversi anni insegnava già il figlio Lorenzo. Ottenne la cattedra mattutina di diritto civile, con lo stipendio di 600 fiorini, ben inferiore a quello di Padova (era peraltro il più elevato dello Studio), ma con concrete prospettive di partecipare alla direzione politica della città. A Bologna lo richiamavano anche gli affetti e gli interessi della famiglia, che vi aveva raggiunto una posizione eminente e cospicue ricchezze: fra il 1502 e il 1503, ad esempio, essa ebbe una grossa lite con la famiglia Rangoni per il possesso di boschi e terre, che interessò gli Este ed i Bentivoglio ed in cui anche il C. intervenne. Pochi anni dopo la figlia Paola sposava Giovanni Malvezzi, consolidando relazioni già buone, mentre egli si era fatto aggregare al Collegio dei canonisti fin dal 1499 ed a quello dei civilisti dal 1503.
Il C. si rese subito celebre, oltre che per l'insegnamento, per l'intensissima attività consiliare, tanto che la sua casa - scriveva il Sigonio - "tamquam Juris oraculum universae Italiae responsorum multitudine patuit".
Ma erano anni tempestosi nella vita della città. L'epoca più splendente del mecenatismo dei Bentivoglio volgeva al termine e con esso la stessa signoria di Giovanni. Sostenuto ora da un capo deciso, il partito pontificio riprendeva iniziativa e vigore. Nel 1505 il terremoto e la carestia dettero facile occasione d'indirizzare il malcontento contro i Bentivoglio; l'anno dopo Giulio II intraprendeva una spedizione militare contro la signoria ribelle.
Durante questo periodo l'atteggiamento del C., "qui rebus Ecclesiae constantissime studuit" - ricordava il Sigonio, testimoniando d'una inclinazione via via sempre più esplicita -, fu piuttosto quello del moderatore, teso a comporre i dissidi e a mediare le posizioni. Appunto in questa veste fu scelto fra i sei "oratori" inviati a incontrare il pontefice a Cesena. Da quell'ambasceria si attendeva - come riferì il Machiavelli - "se lo accordo fia per appiccarsi", "se li ha ad essere o pace o guerra", benché egli stesso lucidamente aggiungesse che gli sviluppi della vicenda erano consegnati soprattutto alle decisioni francesi ed alla irriducibile intransigenza di Giulio II: "il tutto sta in sulle genti franzesi, ancora ... ch'el Papa abbi detto che sanza 'e Franzesi vuole in ogni modo fare la impresa sua". L'ambasceria si concluse con un sostanziale insuccesso e gli stessi ambasciatori, nell'incalzare degli avvenimenti, si affidarono volentieri, in più d'una occasione, alla protezione del papa.
Nel novembre 1506, ristabilito a Bologna il potere pontificio, il C. fu nominato nella nuova magistratura dei Quaranta riformatori dello stato di libertà, in cui mantenne una posizione eminente. Nel 1508 partito Giulio, intervenne per risolvere la grave situazione prodotta da un pericoloso tentativo di riportare i Bentivoglio in città e culminato con il saccheggio di palazzo Marescotti e l'occupazione annata di porta S. Mamolo. Egli infatti si offrì tra i garanti di un completo perdono del papa agli insorti, che poi non venne, sicché, definitivamente compromesso con la parte pontificia, fu immediatamente deposto dalla sua carica durante la breve restaurazione dei Bentivoglio nel 1511. All'arrivo delle truppe del Trivulzio, per la città si lessero scritte "a sacco a sacco" e "Giovanni da Campezzo vil traditore" (Gozzadini), mentre della taglia imposta a Bologna, toccò a lui di pagare ben 4.000 ducati. Si ritrasse allora prudentemente "in rocha" (Sanuto), donde passò a Mantova, accogliendo un provvidenziale invito del marchese Gonzaga. Da Bologna gli intimarono di rientrare in città, ma egli addusse una malattia cui non fu dato credito. Alla fine dell'estate, durante un tumulto contro i vecchi sostenitori di Giulio II, le sue case furono saccheggiate e vi andò dispersa la biblioteca con i manoscritti.
Morì a Mantova il 30 sett. 1511.
Fonti e Bibl.: Per le opere del C. e le relative ediz., v. G. B. Ziletti, Index librorum iuris pontificii et civilis, Venetiis 1564, c. 603ra; A. Fontana, Amphitheatrum legale, Parmae 1688, I, coll. 178 s.; M. Lipenius, Bibliotheca realis iuridica, Lipsiae 1757, ad Indicem; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, VI, coll. 82 s. Fra le testimonianze dei contemporanei cfr. G. B. Pio, Annotationes linguae latinae, graecaeque, Bononiae 1505, cap. 152; M. A. Coccio Sabellico, Exemplorum libri decem, Argentorati 1511, f. 64r (lib. VII, cap. V). Fra i ritratti e le biografie del C. cfr. Th. Diplovatatius, Liber de claris iuris consultis, II, a c. di F. Schulz - H. Kantorowicz - G. Rabotti, in Studia Gratiana, X (1968), pp. 418 s. (cfr. anche ibid., l'introduzione di H. Kantorowicz, pp. 13, 57); G. Panziroli, De claris legum interpretibus, a c. di C. G. Hoffmann, Lipsiae 1721, pp. 235-238; C. Sigonio, Laurentii Campegii vita, in Opera omnia, a c. di F. Argelati, III, Mediolani 1733, coll. 534-540; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, pp. 41-45; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori… di Bologna, Bologna 1847, pp. 78b-79a; H. Jedin, Tommaso Campeggio (1483-1564). Tridentinische Reform u. Kuriale Tradition, Münster 1958, p. 6. Le notizie sull'ammontare degli stipendi nell'università di Padova, ineguali e contraddittorie, devono decidersi secondo il doc. dell'Arch. antico dell'univ. di Padova, vol. 649, f. 145r. I dati circa l'insegnamento nelle tre università si trovano in: I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1757, II, p. 59; Memorie e documenti per la storia dell'università di Pavia, Pavia 1878, I, p. 60; U. Dallari, I Rotuli dei lettori... dello Studio bolognese, I, Bologna 1888, ad Indicem. Numerose notizie sono registrate soprattutto da M. Sanuto, Diarii, I-III, V-VI, VII, XII-XIII, Venezia 1879-1903, ad Indices. Per l'ambasceria a Giulio II e le vicende bolognesi degli ultimi anni, N. Machiavelli, Legazioni e commessarie, a cura di S. Bertelli, Milano 1964, II, pp. 988, 993 ss., 1004, 1007 ss.; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XXXIII, 1, a cura di A. Sorbelli, pp. XIII, 346, 358, 382; G. Gozzadini, Di alcuni avvenimenti in Bologna e nell'Emilia dal 1506al 1511, in Atti e mem. della Deputaz. di st. patria per le prov. di Romagna, VII (1888-89), p. 238. Singole notizie si ricavano, fra gli altri, da: F. Gabotto, Giason del Maino e gli scandali universitari nel Quattrocento, Torino 1888, pp. 96-98, 101 s.; U. Dallari, Carteggio tra i Bentivoglio e gli Estensi in Atti e mem. della Deputaz. di st. patria per le prov. di Romagna, XIX (1901), pp. 317 ss.; G. Dalla Santa, Un episodio della vita universitaria di Giasone del Maino, in Nuovo Arch. veneto, n.s., IV (1904), pp. 249-252, 256; V. Meneghin, Docc. vari intorno al b. Bernardino Tomitano da Feltre, Roma 1966, pp. 64, 249, 251, 302. Per il padre del C., Bartolomeo, si veda Matthaei de Griffonibus Memoriale historicum de rebus Bononiensium, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVIII, 2, a cura di L. Frati-A. Sorbelli, p. 110; C. Ghirardacci, Historia, cit., pp. 6, 41, 53, 68, 184; U. Dallari, I Rotuli..., cit., I, pp. 11, 16, 20; IV, Bologna 1924, pp. 56, 59, 60, 62, 64; Il "Liber secretus iuris cesarei" dell'università di Bologna, a cura di A. Sorbelli, Bologna 1942, ad Indicem; C. Piana, Nuove ricerche su le università di Bologna e di Parma, Quaracchi 1966, pp. 257, 260, 468; Novissimo Dig. Ital., II, p. 514