GIOVANNI X papa
Giovanni da Ravenna, prima diacono e vescovo eletto di Bologna, era già nel 905 arcivescovo di Ravenna, XI di questo nome, e aveva sostenuto con grande vigoria in tempi difficili i diritti della sua sede. Stretto da relazioni amichevoli con Teofilatto e Teodora, potentissimi in Roma, dovette certamente a questi l'elezione a pontefice alla morte di Landone (primavera del 914): ma i rapporti colpevoli con Teodora sono assai probabilmente invenzione di Liutprando di Cremona. Uomo di energia singolare, riuscì con l'appoggio di re Berengario, che incoronò poi imperatore (dicembre 915), a raccogliere le forze dei Romani, di Alberico marchese di Spoleto e di Camerino, di tutti gli stati del mezzogiorno d'Italia, per un'impresa contro i Saraceni annidati a Farfa e sul Garigliano, e vi prese parte egli medesimo, con pieno successo (agosto 915).
Più tardi, contro la potenza, sempre più minacciosa, di Marozia, figlia di Teofilatto e di Teodora e moglie di Alberico, "senatrice" e "patrizia" di Roma, sembra tentasse di appoggiarsi al fratello suo Pietro, il quale, cacciato da Roma e afforzatosi a Orte, si sarebbe rivolto agli Ungari per poter ritornare in città. G. ebbe anche, a Mantova, un abboccamento con re Ugo (926) e conchiuse un patto con lui, ottenendo, sembra, il ritorno dell'Esarcato al dominio reale della Sede romana. Pure tra queste brighe politiche, si adoperò per la conversione dei Normanni, per il mantenimento della disciplina ecclesiastica, per la severità dei costumi. Ricompose con molta prudenza uno scisma scoppiato da più anni fra la Chiesa greca e la latina. Aiutò Corrado, re di Germania, a impedire la totale disgregazione del regno e vi mandò legato Pietro vescovo di Orte, sotto la presidenza del quale si provvide, nel sinodo di Hohenaltheim (916), alla riforma dei costumi e si obbligarono con sanzioni ecclesiastiche i sudditi alla fedeltà verso il re. Scrisse al re dei Croati, all'arcivescovo di Spalato, al clero e al popolo di Schiavonia e di Dalmazia, esortando all'obbedienza alla Sede romana, e raccomandando che i bambini fossero avvezzati a studi di lettere classiche e che i divini uffici non si celebrassero in barbara seu slavonica lingua. Il suo pontificato, per più rispetti glorioso, si chiuse tragicamente. Per opera di Marozia e di Guido di Toscana, suo nuovo consorte, si ribellò Roma: il papa fu imprigionato, deposto, probabilmente soffocato (luglio 928).
Fonti: Lettere in Neues Archiv., IX (1883), p. 513 segg., e in Patrol. Lat., CXXXII, col. 799 segg.; Jaffé, Reg., I, p. 449 segg.; Lib. pontif., II, ed. Duchesne, Parigi 1886, p. 240 segg.; Liutprandi Episcopi Cremonensis, Opera, in Mon. Germ. hist., Script. rer. Germ. in usum scholarum, 1915.
Bibl.: F. Liverani, Giovanni da Tossignano, Macerata 1859; v. inoltre le opere del Watterich Hergenröther, Duchesne, citate a giovanni viii; cfr. P. Fedele, Ricerche per la storia di Roma e del papato nel sec. X, in Arch. d. R. Soc. rom. di st. patr., XXXIII (1910) e XXXIV (1911); e, nello stesso Archivio, XXII (1899), p. 194 seg.; XXV (1912), p. 613 segg., XXXVIII (1915), p. 148 segg.; Ph. Lauer, Robert I et Raoul de Bourgogne rois de France, Parigi 1910; Quell. u. Forsch., XIX (1927), p. 181 segg.