VOLPATO, Giovanni
– Nacque il 20 maggio 1735 ad Angarano, borgo del contado vicentino, primogenito di Paolo Trevisan e di Angela Dal Bello, e venne battezzato il 22 seguente in S. Maria in Colle, il duomo di Bassano del Grappa, con il nome del defunto nonno paterno (Bassano, Archivio di S. Maria in Colle, registri dei battesimi). Secondo la testimonianza del suo primo biografo Giovan Battista Verci (1775), decise poi di adottare il cognome della nonna materna Francesca, di cui era erede la madre.
Il 12 giugno 1754 sposò a Bassano Anna di Francesco Menegatti e dal matrimonio nacquero almeno undici figli, tra cui Paolo (1756), Francesco (1757), Angela (1758), Domenico (1760), Domenica (1763) e Giuseppe (1765).
Su interessamento del colto protomedico e clinico bassanese Giovanni Larber, intorno ai vent’anni iniziò a lavorare per l’impresa tipografica e calcografica della famiglia Remondini, azienda che, organizzata secondo metodi preindustriali, aveva reso celebre in Europa la cittadina di Bassano grazie agli aspetti caratterizzanti della sua produzione, tra cui una gran varietà di stampe religiose e decorative. Qui ebbe tra i suoi primi maestri l’incisore Antonio Baratti, da poco succeduto a Giuliano Giampiccoli alla direzione della calcografia, e già nel 1758 firmava dei ritratti destinati all’illustrazione libraria (G.M. Cavalieri, Opera omnia liturgica, I). Tra le sue prime attività fu il ritocco dei rami del Beatæ Mariæ Virginis Officium, incisi da Marco Alvise Pitteri su disegni di Giambattista Piazzetta e già pubblicati a Venezia dall’editore Pasquali nel 1740, che erano stati acquistati dai Remondini nel 1759. La traduzione di soggetti di genere, come la serie dei dieci Capricci fiamminghi da soggetti di Domenico Maggiotto, si colloca sotto il profilo formale poco oltre il labile confine con la produzione più facilmente decorativa, rivelando un percorso senza vistose cesure tra i prodotti destinati a un pubblico ‘popolare’ e quelli ritenuti più ‘fini’.
La svolta professionale di Volpato venne segnata, nel 1762, dal trasferimento a Venezia, convinto dal già famoso collega Francesco Bartolozzi che la città lagunare fosse l’alternativa più adatta a far maturare le sue capacità. Da Venezia continuò peraltro il suo impegno per conto della ditta Remondini, svolgendo un ruolo di informatore, agente commerciale e coordinatore delle attività che l’azienda manteneva nella Dominante. Il cammino per la ricostruzione della sua attività è reso agevole dal carteggio, fitto di oltre trecento lettere oggi conservate a Bassano del Grappa (Musei civici, Biblioteca Archivio), mantenuto da Venezia con gli imprenditori bassanesi per dar conto di questa attività. Presso il laboratorio aperto da Bartolozzi nel 1754 a S. Maria Formosa, Volpato si dedicò a una produzione a carattere decorativo e devozionale tratta da disegni di Piazzetta, Jacopo Amigoni, Domenico Maggiotto, Pietro Antonio Novelli. A essa associò incursioni nel campo dell’illustrazione libraria, collaborando con due grandi ritratti, firmati con lo pseudonimo Jean Renard, a un vasto programma della stamperia Remondini per l’edizione delle opere dell’anatomista Giovanni Battista Morgagni, tra il 1762 e il 1764, mentre nel 1763 eseguì per la Calcografia Ridner quattro Storie sacre, incise da dipinti di Amigoni su disegni di Bartolozzi.
Al trasferimento di questi a Londra, nel 1754, Volpato iniziò una stretta collaborazione con il pittore Francesco Maggiotto e con la calcografia di Joseph Wagner, tramite di decisive novità tecniche per tutta la produzione grafica veneziana alla metà del secolo. Questo lo mise in contatto con le botteghe dei principali incisori veneziani, con gli editori Albrizzi e Cavalli, e con intellettuali e collezionisti del calibro di Anton Maria Zanetti, Joseph Smith e Francesco Algarotti. Dal carteggio con i Remondini risulta aver avviato un laboratorio in proprio almeno dal 1767, in cui venivano impiegati Filippo Ricci e Antonio Sardi, già allievo di Pietro Monaco. Non tardarono quindi le commissioni prestigiose, come le tavole per le Antichità di Pozzuoli, Cuma e Baja, ricco volume del 1768, e quelle, tratte dagli eleganti disegni di Ennemond Alexandre Petitot, per il raffinatissimo libro edito a Parma da Giovambattista Bodoni nel 1769 in occasione delle nozze di Ferdinando di Borbone.
Il clima era ormai maturo per un cambiamento anche più radicale: la sua fama di riproduttore lo richiedeva ormai ovunque nascessero imprese editoriali di grande respiro. Tra il 1770 e il 1771 l’epistolario documenta i preparativi del suo trasferimento a Roma, invitatovi, secondo Verci, «da una società di ragguardevoli soggetti onde intagliare le volte e i pilastri delle Logge del Palazzo Vaticano» (Verci, 1775, p. 306). Tappa fondamentale della sua vicenda artistica, il trasferimento sembra esser stato preparato con il tramite della famiglia Rezzonico e dal rapporto, documentato già a Venezia, con il pittore e antiquario scozzese Gavin Hamilton, per la collaborazione alla sua ideale collezione di dipinti del tardo Rinascimento italiano riprodotti nella raccolta della Schola Italica Picturae, che uscì solo nel 1773. Hamilton ne fece presto un attivo officiante del nascente gusto neoclassico, quale si andava definendo a Roma negli ambienti di palazzo Venezia intorno all’ambasciatore veneto Girolamo Zulian e al nucleo più aggiornato dell’avanguardia classicista, che sarebbe divenuta in breve una delle punte avanzate del dibattito figurativo internazionale con l’arrivo a Roma di un altro giovane veneto, Antonio Canova.
Così Volpato, erede della migliore tradizione incisoria veneta settecentesca e precursore della più felice stagione di quella neoclassica e internazionale, outsider d’insospettato successo nella Roma di fine Settecento, finì con l’assumere un ruolo straordinario negli sviluppi della grafica di traduzione quando questa raggiunse il suo apice, secondo moduli che restarono validi fino alla metà dell’Ottocento. Genio del bulino e protettore di Canova, mercante di antichità e raffinato divulgatore di immagini in vari media, negli ambienti del nascente neoclassicismo romano egli introdusse una nuova declinazione di quella voga per l’antico che lo vide tuttavia interessarsi con altrettanta passione agli scavi archeologici, alla produzione di ceramiche, alla diffusione con mezzi diversi di una simile passione per un’antichità rivisitata e attualizzata in molti aspetti del vissuto quotidiano.
Crocevia di tutta la sua vicenda professionale e artistica, il trasferimento di Volpato da Venezia a Roma fu lo snodo tra due culture figurative e diverse tradizioni grafiche, dalla cui sintesi egli riuscì a improntare il successivo percorso dell’incisione neoclassica in Italia. Qualunque sia stato il tramite di questa vicenda – inviato dal calcografo Wagner (Dell’incisione in Venezia, 1925, p. 135) o chiamato, secondo altre fonti, dall’abate Ercole Bonajuti, agente della Serenissima a Roma – l’intervento in un così importante progetto traduttivo come quello delle Logge raffaellesche si affiancò inizialmente, con la realizzazione dei piccoli rami della cosiddetta Bibbia di Raffaello, all’opera iniziata da Giovanni Ottaviani, che pure era stato scolaro di Wagner a Venezia. La campagna di riproduzione degli ornati delle Logge si tradusse in tre volumi, pubblicati tra il 1772 e il 1776, nell’ultimo dei quali a Gaetano Savorelli, Pietro Camporesi e Ottaviani si aggiunsero Ludovico Teseo e Volpato, che firmarono le tavole della terza parte, raffigurante i pilastri. Era la prima volta che le partiture decorative delle Logge venivano riprodotte in incisione: enormi in scala, spesso arricchite da coloriture a gouache, con il loro inesauribile repertorio ornamentale quelle stampe erano destinate a rivoluzionare il gusto decorativo del neoclassicismo nascente, e garantirono a Volpato una posizione centrale nel gruppo internazionale di antiquari che governava la cultura figurativa a Roma.
Mentre era impegnato nella traduzione incisoria delle Logge, risulta aver iniziato, nel 1775, quella della Galleria Farnese, in una serie di sette acqueforti da disegni di Francesco Pannini, destinate a raffinate coloriture secondo i caratteri degli affreschi dei Carracci. L’attenzione alla resa cromatica degli originali è quindi una caratteristica che si precisò come la più importante nella produzione incisoria romana di Volpato, in ossequio al gusto delle traduzioni dai prototipi classici come le Sibille e i Profeti della volta della cappella Sistina, gli affreschi del Guercino a palazzo Ludovisi o, ancor prima, la celebre serie delle Stanze di Raffaello in Vaticano. Il fascino crescente dei modelli raffaelleschi su settori sempre più ampi e socialmente allargati di un mercato ormai internazionale dovette infatti stimolare, in quel giro di anni, un progetto di traduzione anche degli affreschi delle Stanze Vaticane, impegno annunciato in un foglio volante già nell’ottobre 1777, ma che fu portato a termine, nelle sue otto grandi incisioni, solo dieci anni più tardi.
A partire dal 1779 Volpato intraprese un’attività archeologica con scavi aperti a Roma e dintorni, per conto del pontefice e di privati, che avrebbero portato a ritrovamenti di sculture antiche poi immesse sul mercato antiquario. In luglio ottenne licenza per lavori in piazza S. Marco, alle terme di Caracalla, a S. Balbina e ai Camaldoli di Frascati, mentre altre indagini furono condotte nel 1780 al Quadraro, nella tenuta dei principi di Palestrina. Nel 1781 dal rione Ponte si trasferì nell’abitazione già di Gavin Hamilton in «Strada Vittoria verso Piazza di Spagna» (Roma, Archivio storico diocesano, Status animarum S. Lorenzo in Lucina, 1782, c. 29v), nel cuore del quartiere degli artisti, antiquari e viaggiatori del grand tour. Nel febbraio del 1782 la figlia Domenica, già fidanzata con Canova, sposò il migliore allievo del padre, Raffaello Morghen, che dal novembre del 1778 si era trasferito da Napoli presso Volpato per perfezionarsi nell’incisione. A conferma del prestigio raggiunto negli ambienti artistici romani, nel maggio del 1783 giunse a Volpato l’incarico da parte del ricco mercante Carlo Giorgi, forse conosciuto nelle campagne di scavo, di scegliere un artista cui affidare l’esecuzione di un monumento per il defunto Clemente XIV, come omaggio al pontefice che lo aveva tanto beneficato. Contro le resistenze del sistema artistico locale Volpato scelse di affidare la commissione al giovane conterraneo Canova, che inaugurò così la sua brillante carriera con il cenotafio papale nella chiesa dei Ss. Apostoli. Nell’estate di quell’anno rifiutò la proposta di Caterina Dolfin, consorte del procuratore di S. Marco Andrea Tron, che gli offriva uno stipendio per tornare a Venezia a dirigere una scuola d’incisione (Bassano del Grappa, Musei civici, Biblioteca Archivio, Epistolario Remondini, XXIII.8/6919). Intorno al 1784 terminò d’incidere la Liberazione di s. Pietro, dalle Stanze Vaticane, mentre affidò l’ultima stampa della serie, la Messa di Bolsena, al genero Morghen.
Con accorto spirito imprenditoriale, nel marzo del 1785 avviò una fabbrica di porcellana bianca biscuit presso la basilica di S. Pudenziana, in uno stabile già occupato dal noviziato dei cistercensi, attività cui Pio VI concesse un breve di privativa l’anno seguente. Così la produzione di statuette sui modelli di celebri statue classiche venne ad affiancarsi alla sua più nota attività di incisore di traduzione.
La bottega calcografica, ormai organizzata come un’autentica officina di riproduzioni a stampa, era allora in grado di attirare i più promettenti giovani incisori, come i conterranei Pietro Fontana e Pietro Bonato, giunti da Bassano in quello stesso 1785 e destinati a figurare tra i protagonisti della futura campagna di riproduzione a stampa della scultura canoviana. Le brillanti qualità di promotore artistico offrirono nel frattempo a Volpato fortunatissimi riscontri commerciali nella serie di vedute di Roma realizzate dal 1780 in società con il pittore svizzero Abraham Louis Ducros, e per le quali, narra un contemporaneo, i viaggiatori stranieri letteralmente impazzivano; e ancora, nel 1786, nei Principi del disegno, testi didattici di grande diffusione in cui le più famose sculture classiche vennero riprodotte nitide e pure come pitture vascolari. Nel testo introduttivo alle acqueforti, incise in collaborazione con Morghen, si faceva riferimento ai criteri adottati di «massima semplicità e chiarezza» sul versante didattico, ribadendo un’esemplarità dell’arte classica come espressione della bellezza attraverso un processo di semplificazione di modelli naturali o figurativi.
Da via del Babuino, dove risiedeva dal 1787 e aveva aperto un negozio di smercio delle stampe e della ceramica di fronte a S. Atanasio dei Greci, Volpato si trasferì nel 1793 al rione Monti, a «Strada Urbana a man sinistra Vicolo della Caprareccia n. 142» (Roma, Archivio storico diocesano, Status animarum S. Francesco di Paola), nello stabile in cui era già attiva la manifattura di porcellane. Nella gestione di quest’ultima era da tempo aiutato dal figlio Giuseppe, che affiancò progressivamente alla porcellana la produzione di manufatti di uso comune, in maiolica e terraglia ‘all’uso inglese’.
Dopo una breve malattia, il 25 agosto 1803 si spense nella sua casa di via Urbana. Venne sepolto nella vicina basilica di S. Pudenziana, in una tomba da lui stesso fatta approntare nella cappella di S. Bernardo. A pochi mesi di distanza, nel novembre di quell’anno, morì anche il figlio Giuseppe (Archivio di Stato di Roma, Trenta Notai Capitolini, officio 4°, novembre 1803, cc. n.n.) e la conduzione della manifattura passò dapprima a Maddalena Riggi, che Giuseppe aveva sposato nel 1788, e quindi al secondo marito di lei, il capo modellatore Francesco Tinucci. In seguito l’azienda passò al primogenito di Giuseppe, Angelo Volpato, alla cui morte fu chiusa, nel 1831. La raccolta dei 168 rami della calcografia Volpato venne acquisita dalla Calcografia camerale dopo lunga trattativa con gli eredi, con un contratto rogato il 7 dicembre 1826.
Fonti e Bibl.: Bassano del Grappa, Musei civici, Biblioteca Archivio, Epistolario Remondini, XI e XXIII.8/6919; Archivio di Stato di Roma, Trenta Notai Capitolini, officio 4°, novembre 1803, cc.n.n.; Roma, Archivio storico diocesano, Status animarum S. Lorenzo in Lucina, 1782, c. 29v; Status animarum S. Francesco di Paola.
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