VIVENZIO, Giovanni
– Nacque a Nola il 6 dicembre 1737 dal «dottor fisico» Felice e da Teresa Mauro (o di Mauro) dei baroni di Palma, primogenito maschio di dodici figli (di cui nove femmine, una morta a pochi mesi).
Famiglia «onoratissima» e agiata, il padre, «patrizio Nolano, filosofo e medico peritissimo» (S. Gallotti, Elogio del marchese Niccola Vivenzio, Napoli 1817, p. 6), nei catasti onciari risulta possessore, insieme al fratello Michele, di una casa «palaziata» e di altri beni stabili.
Dopo una prima formazione presso lo zio paterno, monsignor Michele, e gli istituti religiosi locali, Giovanni studiò medicina a Napoli, dove si addottorò nel 1757. Tra i suoi maestri ricordò il padre Giovanni Maria Della Torre, celebre fisico e vulcanologo (Istoria e teoria de’ tremuoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria, e di Messina del 1783, Napoli 1783, p. LXXXV). Grazie alle relazioni del padre, medico di camera della regina, e ai rapporti con esponenti del mondo medico-scientifico europeo, dei quali promosse traduzioni ed edizioni napoletane, percorse una rapida carriera a corte e nel governo, insieme al fratello Nicola Maria, mentre l’altro fratello, Pietro (v. entrambe le voci in questo Dizionario), rimase a Nola a occuparsi dei beni di famiglia.
Negli anni Cinquanta partecipò ai dibattiti sulla teoria dell’irritabilità suscitati dalle edizioni napoletane delle opere di Albrecht von Haller, che Vivenzio confermò con esperimenti sui cani nel teatro anatomico (Borrelli, 2000, p. 97). Negli anni Sessanta apparvero i primi suoi scritti, relativi all’applicazione medica di piante ritenute nocive, dalla cicuta all’oppio: nel 1761, presso Benedetto Gessari, la dissertazione epistolare De vera partium sanguinis, pubblicata insieme all’Annus medicus di Anton von Störck, medico austriaco allievo di Gerard van Swieten, al quale sarebbe succeduto nel 1767 come archiatra di Maria Teresa; nel 1762, presso Giuseppe di Domenico, aggiunte e osservazioni «critico-pratiche» alla Ratio medendi di Anton de Haen, medico olandese attivo a Vienna; nel 1763 uscì presso Donato Campo il suo De opii VI atque actione in corpus humanum, dotta dissertazione storica sulla natura dell’oppio, e nel 1767, presso lo stesso stampatore, il De cicuta commentarius, importante testimonianza del suo modo di praticare e concepire la scienza medica. Sulla questione era già stato pubblicato a Napoli presso Benedetto Gessari nel 1762, un anno dopo la prima edizione viennese, il Supplementum necessarium de cicuta di Störck.
Il De cicuta è dedicato, in data agosto 1767, a van Swieten, medico olandese allievo di Hermannus Boerhaave, chiamato a Vienna dal 1745 come archiatra di Maria Teresa, noto per la sua lotta alle credenze superstiziose nel vampirismo, che Vivenzio ringrazia per i molti consigli e responsi ricevuti e per avere difeso l’uso medico della cicuta contro i suoi detrattori. Dopo una dotta ricognizione dei pareri medici contrari o favorevoli all’uso della cicuta, con ampi riferimenti alla morte di Socrate, dà conto di esperimenti condotti con felice esito a Napoli e a Nola nella cura di vari casi, dal cancro alle mammelle a problemi mestruali e addominali, su donne, adolescenti, giovani, membri della nobiltà. L’opera conferma il forte legame fra teoria e pratica, storia e sperimentazione nel lavoro di Vivenzio. Nell’ultima parte ricorda che, mentre impazzava la polemica tra favorevoli e contrari agli usi medici della cicuta, a Napoli era esplosa, dopo una grave carestia, la terribile epidemia del 1764, che «funesta, & luctuosa» li aveva afflitti dall’ottobre alla fine di quell’anno: anche in quell’occasione aveva potuto sperimentare l’uso benefico della cicuta. In nota (p. 43) informa di aver fatto la storia dell’epidemia in una dissertazione epistolare indirizzata a van Swieten, edita nel 1765. Questa Epistola De Neapolitana epidemica febre anni 1764 fu stampata poi insieme al De cicuta, nelle nuove edizioni del 1771 e del 1774.
Nell’edizione del 1767 del De cicuta, Vivenzio figura semplicemente come «nolani phil. et med. Doct.», addottorato in filosofia e medicina; in quella del 1771 come «Siciliarum regis archiatro», cioè medico di corte. Fu solo l’inizio di un’inarrestabile carriera. Divenne anche protomedico, carica prestigiosa preposta al rilascio delle licenze per l’esercizio della professione a medici e chirurghi, all’ispezione dei farmacisti e agli studi medici. Il suo ruolo a corte fu rafforzato dal matrimonio, nel 1772, con una ‘camerista’ della regina Maria Carolina, la tedesca Carlotta Winderses (Rao 2001, p. 209), che contribuì a integrarlo pienamente negli ambienti filoasburgici.
Come archiatra e protomedico ebbe un ruolo fondamentale nel rinnovamento degli studi di medicina, con il sostegno di esponenti importanti della scienza medica come Domenico Cotugno e Domenico Cirillo. Grazie a lui, nel 1778 fu creata la Scuola di medicina presso l’ospedale degli Incurabili (della quale Vivenzio divenne direttore alla fine del 1779), dove furono trasferiti gli insegnamenti universitari di medicina: la formazione medica non fu più solo teorica e filosofica, ma si basò sulla stretta congiunzione di teoria e pratica. Nel gennaio del 1780 vi fece istituire una cattedra di fisica sperimentale con annesso laboratorio. Denunciò spesso le condizioni dell’università e dei suoi professori che giudicava ignoranti e corrotti, come scriveva al re il 23 marzo 1782 chiedendo che i corsi di fisica sperimentale di Cotugno e di anatomia di Saverio Poli nella Scuola degli Incurabili fossero obbligatori per conseguire il dottorato in medicina (Borrelli, 2000, pp. 241-249).
A contatto diretto con i sovrani, fu lui a inoculare il vaccino contro il vaiolo a Ferdinando IV, il 6 marzo 1778, descrivendone il decorso in una relazione inviata a Madrid il 17 marzo seguente (Knight, 2015, I, pp. 230-233). L’11 gennaio 1781 recitò in presenza della regina l’Elogio dell’Imperadrice Maria Teresa d’Austria nei solenni funerali svoltisi nella chiesa del Carmine di Caserta. Nel testo, pubblicato dalla Stamperia reale, figurava con il titolo di «cavaliere» oltre che «medico della Maestà sua». L’Elogio era significativo della sua adesione al modello asburgico di governo, che portava come esempio per la monarchia borbonica: istruzione pubblica, limitazione della feudalità, promozione dello sviluppo economico attraverso premi e ricompense e interventi infrastrutturali.
Sempre più noto nella Repubblica delle lettere, fu socio di varie accademie: «Socio e Censore perpetuo» della Reale Accademia degli Speculatori di Lecce (19 novembre 1782), membro di quella Imperiale di San Pietroburgo e della Société royale de médecine di Parigi (1777). Di questa società pubblicò nel 1781 presso Vincenzo Mazzola-Vocola il Parere [...] sopra il male che portano alla pubblica salute i cadaveri sepolti dentro le città e luoghi abitati. Risposta a molte quistioni proposte alla società regale di medicina di Parigi in nome del Gran Maestro della Religione di Malta dall’ambasciatore della medesima tradotta dal franzese, prendendo posizione nei dibattiti in corso sui cimiteri, a favore dell’allontanamento delle sepolture dal centro delle città.
Ebbe un posto di primo piano nelle iniziative di governo e nelle discussioni scientifiche che seguirono il terremoto calabro-messinese del 5-7 febbraio 1783. Pubblicò alla fine dello stesso anno, presso la Stamperia reale, l’Istoria e teoria de’ tremuoti (cit.), che ripubblicò presso la stessa Stamperia in due volumi nel 1788 con il titolo Istoria de’ tremuoti avvenuti nella Provincia della Calabria Ulteriore, e nella città di Messina nell’anno 1783. E di quanto nella Calabria fu fatto per lo suo risorgimento fino al 1787. Preceduta da una teoria, ed istoria generale de’ tremuoti. Sul frontespizio è detto «Primo Medico delle LL.MM., Direttore de’ Regali Militari Spedali delle Sicilie, e delle pubbliche Cattedre di Chirurgia, Ostetricia, Anatomia e Fisica Sperimentale, e Protomedico Generale del Regno, Membro della Società Regale di Medicina di Parigi, della Patriotica di Milano, de’ Speculatori di Lecce, ec.».
Dedicata alla regina Maria Carolina in data 8 settembre 1783, la pubblicazione (come spiegava nella seconda edizione) contiene le relazioni dei funzionari inviati in Calabria che la regina stessa gli aveva fatto avere, per assicurare «una sollecita pubblicazione dell’opera» (I, p. 168), in particolare il lungo rapporto steso dal vicario generale Francesco Pignatelli fra aprile e maggio, riportato alle pp. CCXVII-CCCLXXXIII della prima edizione, 168-265 della seconda (Placanica, 1982, pp. 54-57).
Scritta in tre mesi (come dichiara nella seconda edizione, I, p. III), l’Istoria si articola in due parti. La prima (pp. I-CLIV della prima edizione) spazia in maniera talora farraginosa dalle testimonianze degli antichi agli esperimenti fatti da Vivenzio nel suo gabinetto fisico, dalla storia del mondo agli eventi calabresi. Da un lato, il testo, attinto dal dotto francese «Bertolon» (cioè Pierre Bertholon, studioso di fenomeni elettrici e sismici), ricostruisce la geografia storica dei terremoti nel mondo, dimostrandone la diffusione universale: «Non v’è alcuna parte della Terra abitabile, che non sia stata più o meno soggetta a’ Tremuoti; le Isole massimamente» (p. LI). Dall’altro, nelle lunghissime note affastella notizie sui terremoti e le eruzioni nel Regno di Napoli dai tempi degli Angioini fino al 1779 e sugli studiosi che se n’erano occupati. L’intento principale è quello di discutere le cause del fenomeno, «ricercare i mezzi più efficaci per metterli a coperto de’ loro funesti effetti, o piuttosto il mezzo di prevenirli» (p. LXXIX). Nelle polemiche tra ‘fuochisti’ ed ‘elettricisti’, che attribuivano l’origine dei terremoti a fuochi di natura vulcanica oppure a scariche elettriche sotterranee o di provenienza atmosferica (Placanica, 1985, pp. 80-82, 113), prende nettamente posizione per i sostenitori della natura elettrica dei terremoti, pari a quella dei tuoni e dei fulmini, richiamandosi ai maggiori studiosi italiani ed europei della materia. Come si approntano i parafulmini, così ritiene possibile ricorrere a dei «para-tremuoti» e «para-vulcani», piantando profondamente nel terreno barre o verghe elettriche e conduttori metallici, come già si era sperimentato altrove (pp. CXL-CXLV): «quando si conosce la cagione di un male, è facile di rimediarvi» (p. CXIV). Storia e sperimentazione sono anche qui alla base della sua indagine.
Nella seconda parte riporta la storia dell’«orribile tremuoto» che aveva colpito Calabria Ultra e Messina, polemizzando con le relazioni inesatte che se ne facevano: in particolare sui segni premonitori correvano «fole da Romanzi, e ciarlatanerie di Astrologi» (p. CLXXXV). Traccia la storia della provincia (pp. CLXIX-CLXXXV) e riporta il giornale meteorologico dell’anno precedente, convinto delle connessioni tra i fenomeni meteorologici e i terremoti. Aggiunge infine, modificandone in parte l’ordine, la relazione di Francesco Pignatelli su eventi, danni, vittime, luogo per luogo.
Non molto diversa la seconda edizione del 1788, tranne che per la terza parte, che elenca in maniera encomiastica tutte le misure che erano state emanate dal sovrano ed eseguite e fatte eseguire dal vicario Pignatelli fino al 1787 per soccorrere le popolazioni e provvedere alla ricostruzione dei paesi distrutti: invii di tende, generi alimentari e medicine; baracche e capanne per abitazioni e ospedali; cremazione dei cadaveri e controllo delle sepolture dei morti per la peste del 1744 (su cui rinvia alla Risposta del 1781); prosciugamento di laghi e costruzione di nuovi edifici; soppressione dei monasteri e creazione della Cassa Sacra per amministrarne e redistribuirne i beni; sospensione dei carichi fiscali. Replica poi polemicamente alle osservazioni del mineralogista francese Déodat de Dolomieu (citato come «Dolemieu»), che gli aveva rimproverato di essersi preoccupato più di sostenere la teoria dell’elettricità che di far conoscere i fatti (pp. 265-274); e alla relazione del viceconsole francese a Messina Jean-Baptiste Lallement stampata a Parigi nel 1785, piena di notizie false sulle condizioni della Calabria, sul numero dei morti e sui danni provocati dal terremoto (pp. 422-427).
Già annunciata nell’Istoria dei tremuoti (p. LXXXI), nel 1784 uscì, con dedica alla regina Maria Carolina e sempre presso la Stamperia reale, la sua Istoria dell’elettricità medica, premessa alla traduzione italiana dell’opera dello scienziato napoletano Tiberio Cavallo (dal 1771 a Londra), Teoria e pratica dell’elettricità medica, con una lettera di Cotugno del 2 ottobre 1784 sull’elettricità riscontrata sezionando un topo vivo. Sostenitore della cosiddetta medicina elettrica, nella sua introduzione, oltre a tracciarne la storia, Vivenzio descrive macchine e strumenti necessari alle applicazioni elettriche in diverse malattie, esistenti nel suo laboratorio fisico (Borrelli, 1998, p. 740).
In onore della regina, con dedica del 9 aprile 1789, pubblicò il panegirico per la morte, a nove anni, dell’infante: Delle lodi di Sua Altezza Regale il principe Gennaro di Borbone.
Uomo di cultura e di potere, la sua influenza a corte fu tale che nel 1786 fonti diplomatiche spagnole affermarono che il medico Vivenzio, il ministro della Guerra John Francis Edward Acton e il generale Francesco Pignatelli, già vicario del re nelle Calabrie, formavano un vero e proprio triumvirato al governo, ironizzando sulle aspirazioni della famiglia alla nobilitazione: «il Medico Vivenzio, il quale finalmente non è che un uomo volgare di Nola, stà ora maritando una sua figlia con centomila docati di dote» (Rao, 1997, p. 328, nota 165). Il nuovo ordinamento militare voluto da Acton gli attribuì la direzione di tre ospedali generali da collocare a Napoli, Palermo e Messina (Rao, 1987, pp. 648, 652).
Fedele alla dinastia borbonica, quando nel 1799 fu istituita la Repubblica Napoletana, seguì i sovrani in Sicilia, portandosi via – secondo Michele Arditi – «li migliori vasi» del museo realizzato con i fratelli Nicola e Pietro, più tardi confluito nel Real Museo (Rao, 2001, p. 235). Da quel momento, sia a Palermo sia al suo ritorno a Napoli, si occupò soprattutto di sanità militare. Pubblicò la Memoria intorno alle cautele, e mezzi per conservar la salute di un’armata tanto in accantonamento, che accampata (Palermo 1800), dato alle stampe per ordine di Acton del 19 settembre; il Piano di uno, o più spedali di campagna che può anche mettersi in pratica, o in uno Accantonamento, o in Guernigione (Napoli 1800), approvato il 6 ottobre; le Istruzioni per il regolamento de’ regj spedali militari delle Due Sicilie (Palermo 1802); il Regolamento da eseguirsi negli spedaletti de’ reggimenti, e corpi dell’esercito (Napoli 1803), approvato dal re il 19 gennaio 1803. Fra gli ultimi suoi scritti a stampa figura il catalogo farmaceutico Neapolitanum petitorium, pubblicato presso la tipografia Flautina nel 1804 in qualità di archiatra del re e della regina e per ordine regio.
Anche in questi testi di origine e destinazione pratica, esibisce erudizione e conoscenze storiche: la storia, si legge nella Memoria del 1800, «per generale consenso in ogni tempo, e presso qualunque Nazione è stata la più fedele bussola per regolarsi ne diversi umani accidenti» (pp. 5 s.). Dà istruzioni meticolose su come vestire, nutrire, alloggiare i soldati e assicurare l’osservanza di rigorose norme igieniche. Rinvia anche alla sua Istoria de’ tremuoti a proposito degli effetti nocivi dei luoghi pantanosi.
Sul frontespizio della stessa Memoria così esibisce i suoi incarichi e onorificenze: «Patrizio Nolano, Cavaliere dell’Ordine Regale, e Militare Costantiniano di S. Giorgio, Primo Medico delle LL. MM. Protomedico Generale del Regno di Napoli, e General Direttore degli Spedali Militari, e de’ Medici, e Chirurgi dell’Esercito &c.». Tornati i francesi a Napoli, di nuovò seguì i sovrani a Palermo: per la carica di protomedico lasciata vacante nel marzo del 1807 fu proposto Cotugno (Borrelli, 2000, p. 185).
Oscuri gli ultimi anni della sua vita, certamente agiata oltre che onorata, tanto che il fratello Nicola nel testamento redatto il 7 agosto 1816 dichiarò di escluderlo dai lasciti «perché egli non ha alcun bisogno» (Rao, 2001, p. 225).
Morì in data e luogo imprecisati nel 1819.
Opere. Oltre a quelle citate sopra, la Risposta a molte quistioni proposte alla società regale di medicina di Parigi fu riedita a Girgenti nel 1837. Della Istoria del 1788 esistono edizioni recenti, a cura di G.E. Rubino, Casoria 1992 e 1993; con introduzione di S. Conti, Locri 2008.
Fonti e Bibl.: Nola, Archivio storico diocesano, Libri Baptizatorum VII, attualmente segnato 592, anni 1726-1738, c. 230 a tergo; Archivio di Stato di Napoli (ASNa), Catasto onciario, 1012, 1027, 1027bis; Collegio dei dottori, 125/114, 127/53r. Sue lettere al re, al segretario di Stato e a vari funzionari da ASNa, Esteri, 4615 e 4626, fra il 1779 e il 1783, sono edite in Borrelli, 1994, pp. 129 s. nota 25, 169-177; Domenico Cotugno, 1997, p. 26 e Borrelli, 2000, pp. 212-249. Vari ricorsi a Vivenzio in qualità di protomedico sono in ASNa, Ministero Finanze, fasci 806 e 808; in Casa Reale Antica, 1553, incartamento 93, sua protesta del 21 gennaio 1790, in qualità di direttore della Scuola degli Incurabili, per il ritardo nel pagamento del soldo di dicembre dei professori (ed. in Rao, 2001, p. 214 nota).
A. Mazzarella da Cerreto, Nicola Vivenzio, in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli Ornata de’ loro rispettivi ritratti compilata da diversi letterati nazionali..., VI, Napoli 1819, s.v.; L. Ammirati, I fratelli Vivenzio di Nola (Giovanni-Nicola-Pietro), Nola 1980; A. Placanica, L’Iliade funesta. Storia del terremoto calabro-messinese del 1783, Reggio Calabria 1982, passim; Id., Il filosofo e la catastrofe. Un terremoto del Settecento, Torino 1985, ad ind.; A.M. Rao, Esercito e società a Napoli nelle riforme del secondo Settecento, in Studi storici, XXVIII (1987), pp. 623-677; A. Borrelli, Medicina e società a Napoli nel secondo Settecento, in Archivio storico per le province napoletane, CXII (1994), pp. 124-177 (in partic. pp. 128-131); A.M. Rao, L’«amaro della feudalità». La devoluzione di Arnone e la questione feudale a Napoli alla fine del ’700, Napoli 1997, pp. 323 nota, 328 nota; Domenico Cotugno. Documenti d’archivio 1766-1833, a cura di A. Borrelli, Napoli 1997, ad ind.; A. Borrelli, Editoria scientifica e professione medica nel secondo Settecento, in Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo, a cura di A.M. Rao, Napoli 1998, pp. 737-761; Id., Istituzioni scientifiche medicina e società. Biografia di Domenico Cotugno (1736-1822), Firenze 2000, pp. 241-249; A.M. Rao, I fratelli Vivenzio, in Nola fuori di Nola. Itinerari italiani ed europei di alcuni nolani illustri, a cura di T.R. Toscano, Nola 2001, pp. 207-236; C. Knight, Il regno di Napoli dalla tutela all’emancipazione (1775-1789). Lettere di Ferdinando IV a Carlo III ed altri documenti inediti, I-II, Napoli 2015, ad indicem.