VISCONTI, Giovanni.
– Figlio di Ubaldo I, della famiglia pisana dei Visconti Maggiori, e di Contessa della famiglia dei conti di Capraia, la sua prima attestazione è dell’inizio del 1238, nel testamento di suo cugino Ubaldo II, giudice di Gallura. Da costui, deceduto senza figli, ereditò il giudicato e altri beni nell’Arborea.
A quella data, Giovanni era ancora minorenne. Gli fu affidato come tutore Galgano del fu Ugolino ‘Schiacciato’ Visconti, suo parente stretto.
Non abbiamo ulteriori notizie di Visconti fino al 1254, quando compare in una controversia con il capitolo della cattedrale di Pisa per una terra in Valdiserchio, risolta a favore dei canonici. In una lettera di Alessandro IV inviata a lui e ad altri nel 1255, figura per la prima volta come giudice di Gallura. Nonostante Enzo di Svevia (imprigionato a Bologna dal 1249) fosse ancora formalmente rex Sardiniae, dopo la morte dell’imperatore Federico II Visconti riuscì a esercitare il suo potere sull’isola, con il sostegno del Papato, e perseguì un’aggressiva politica espansionistica anche negli altri giudicati. Nel 1256-57 fu alleato del Comune di Pisa, di Guglielmo conte di Capraia, di Ugolino e Gherardo della Gherardesca contro il giudice di Cagliari, Chiano, resosi responsabile di un voltafaccia a favore dei genovesi.
La Cronaca roncioniana racconta che Visconti investì della dignità cavalleresca Gherardo della Gherardesca sulla salma di Chiano e gli attribuisce un ruolo eminente nell’assedio del castello di Cagliari (Castel di Castro). La guerra si concluse con la sottomissione di Cagliari al Comune di Pisa e la spartizione del giudicato tra le tre famiglie dei protagonisti della guerra, cosicché Giovanni divenne signore di una terza parte del Cagliaritano. Dell’amministrazione di quest’ultimo patrimonio abbiamo testimonianza in una concessione di una terra nomine feudi ad Albizello, Lamberto e Giovanni della famiglia pisana dei Lanfranchi Malepa del gennaio del 1272.
Almeno fino al 1258 fu sposato con la figlia di un Gualandi, indicato come suocero di Giovanni nella Cronaca roncioniana. Non sappiamo con certezza se si trattasse, come talvolta si legge, di Dominicata. Ne potrebbe essere spia il fatto che Giovanni spartiva con una donna che portava questo nome i proventi della curatoria di Gippi, come risulta da un documento del 1262. In ogni caso, sembra che Giovanni non abbia avuto figli da questo primo matrimonio. È collocabile entro il 1265 il suo secondo matrimonio con una figlia di Ugolino della Gherardesca di cui non conosciamo il nome.
Questo nuovo legame matrimoniale unì i due più importanti rappresentanti delle due partes nobiliari pisane – la pars Vicecomitum e la pars Comitum – accomunate dall’avere una posizione politica di spicco sia a Pisa sia in Sardegna.
Nel 1262 Giovanni partecipò alla guerra sul Serchio contro i lucchesi. Dopo il fallimento del tentativo di Corradino di Svevia (1268), Visconti capì che il vento – in Toscana e altrove – era cambiato, e allacciò contatti con Carlo I d’Angiò, il quale nel 1269 concedette, su sua richiesta, il salvacondotto agli ambasciatori pisani sulle sue terre perché si presentassero a corte per condurre trattative di pace. Non abbiamo poi notizie di Visconti fino alle calende di maggio del 1270, quando la Cronaca roncioniana lo mostra opporsi risolutamente al tentativo degli sbirri del podestà di arrestare alcuni uomini a lui fedeli, ma anche resistere con saggezza a quanti gli chiesero di guidare un’insurrezione armata per diventare il «signore di Pisa». Il giorno dopo, convocato dal podestà Andalò, si presentò con tutti i suoi consorti e, riconosciuta pubblicamente la responsabilità sua e dei suoi, accettò di essere esiliato a Vada. Tornò a Pisa quindici giorni dopo tra le proteste delle famiglie a lui e alla sua parte ostili, probabilmente per un accordo con il podestà. Andalò, infatti, di lì a poco lasciò la città, scortato fino a San Miniato da armati fornitigli da Visconti, che gli rilasciò anche «lettere di raccommandigia» per la strada fino a Bologna.
Nel 1272 fu tra i protagonisti delle trattative tra Pisa e Carlo d’Angiò. Nel maggio del 1273 fu nel gruppo degli ambasciatori che Pisa inviò a Gregorio X alla ricerca di un avvicinamento al Papato, dopo l’interdetto lanciato contro la città da Clemente IV. Ma di lì a poco i rapporti tra Visconti e il Comune pisano si incrinarono. Forse, quest’ultimo dovette chiedere al giudice di riconoscere la sua superiore autorità sull’isola, così come più tardi fece con il conte Ugolino. Visconti si rifiutò e partì l’11 ottobre 1273 verso la Sardegna, seguito poco dopo dal conte.
In Sardegna, si scontrò con il giudice d’Arborea Mariano, alleato del Comune di Pisa, e fu sconfitto. La notizia provocò euforia a Pisa: il Comune fece allestire tre galee per andare a catturarlo e portarlo prigioniero a Pisa. Sapute queste cose, Visconti scrisse a Carlo d’Angiò, che gli fece recapitare quattro galee, a bordo delle quali tornò in Toscana, dove si rifugiò presso gli Aldobrandeschi di Santa Fiora. Qui ricevette alcuni ambasciatori senesi, che si dissero onorati di ospitarlo nella loro città. Ma non sappiamo se passò veramente da Siena; di certo, si fece scortare dai senesi fino a San Miniato. Soggiornò nei pressi del borgo valdarnese (nella località di Ficaiolo) e da lì mando a Pisa tre frati francescani per chiedere di essere riammesso in città. A Pisa si discusse molto su cosa fare, ma si decise, alla fine, di non farlo rientrare. Appreso del rifiuto, Visconti comunicò quanto accaduto a Carlo d’Angiò, che gli promise di aiutarlo perché potesse tornare nella sua città natale. Attorno a lui si aggregarono le forze guelfe della regione, soprattutto di Firenze. Organizzato un esercito, fu posto l’assedio a Montopoli, castello del distretto pisano, del quale si ottenne presto la resa (fine 1274). Le forze guelfe assediarono anche altri castelli del contado pisano.
Non sappiamo se Visconti sia morto in battaglia o per cause naturali. La Cronaca roncioniana ne fissa la morte nell’aprile del 1275; Guido da Vallecchia il 19 maggio dello stesso anno a Montopoli. Fu sepolto a San Miniato. Ebbe almeno quattro figli dalla sua seconda moglie: Lapo, Guelfo, Ugolino e una femmina di cui non si conosce il nome.
Al momento della morte di Visconti dovevano essere già maggiorenni Lapo, che morì pochi giorni dopo il padre, e Guelfo, menzionato nella pace di Rinonico del 1276, che segnò il ritorno a Pisa di tutti i figli di Visconti, ma di cui si perde traccia subito dopo. Sua figlia, andata in sposa al figlio di un dominus Gentilis de Roma nel luglio del 1280, secondo la testimonianza di Guido da Vallecchia, morì poco dopo. Il suo unico erede fu, di fatto, il dantesco Ugolino, detto Nino, nato non prima del 1265.
Fonti e Bibl.: Pisa, Archivio storico diocesano, Fondo Capitolare, Transunti, VI, n. 1080 (1254, agosto 4); Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, a cura di D. Scano, I, Cagliari 1940, p. 127; Documenti delle relazioni tra Carlo I d’Angiò e la Toscana, a cura di Firenze 1950, pp. 47, 390-397; F. Artizzu, Documenti inediti relativi ai rapporti economici tra la Sardegna e Pisa nel Medioevo, I, Padova 1961-1962, pp. 20 s.; G. da Vallecchia, Libri memoriales, La Spezia 1973, pp. 34, 38, 43; C. Piras, Le pergamene relative alla Sardegna nel Diplomatico San Frediano in Cestello dell’Archivio di Stato di Firenze, in Archivio storico sardo, XLV (2008-2009), pp. 87-90.
E. Cristiani, Gli avvenimenti pisani del periodo ugoliniano in una cronaca inedita, in Bollettino storico pisano, XXVI-XXVII (1957-1958), pp. 3-104; S. Petrucci, Re in Sardegna, a Pisa cittadini. Ricerche sui «dominii Sardinee» pisani, Bologna 1988, ad ind.; M.L. Ceccarelli Lemut, Nobiltà territoriale e comune: i conti Della Gherardesca e la città di Pisa (secoli XI-XIII), in Progetti e dinamiche nella società comunale italiana, a cura di R. Bordone - G. Sergi, Napoli 1995, p. 85 nota 239; A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004, ad ind.; M. Tamponi, Nino Visconti in Gallura: il dantesco Giudice «Nin gentil» tra Pisa e Sardegna, guelfi e ghibellini, faide cittadine e lotte isolane, Roma 2010, ad indicem.