VINCENTI, Giovanni
VINCENTI (De Vincenti), Giovanni. – Nacque a Verona il 9 giugno 1815 da Vincenzo, custode della Camera di commercio, e da Apollonia Signori.
La famiglia comprendeva sette figli, nati tra il 1791 e il 1815, di cui cinque femmine e due maschi. Il padre, che era affiancato nel suo lavoro da un cognato, cedette a quest’ultimo l’incarico nel 1830 e morì tre anni più tardi, precedendo di poco la moglie: entrambi i genitori, alla data del 1833, erano deceduti. Fu probabilmente la loro morte a indurre il giovane Vincenti, una volta raggiunta la maggiore età, a cercare fortuna lontano dalla città natale. Nel 1835, ottenuto un passaporto per spostarsi all’interno del Lombardo-Veneto, si trasferì a Milano; qui, munito di una lettera di raccomandazione dell’attrice Anna Fiorilli, entrò facilmente in contatto con i locali ambienti teatrali e di lì a qualche tempo siglò una scrittura privata con Luigi Vestri, tra i più apprezzati caratteristi del momento, membro della compagnia teatrale di Gaetano Bassi al teatro di corte del re di Sardegna. Il contratto, che prevedeva il versamento di una tassa d’ingresso, desunta dall’eredità paterna, per il suo mantenimento e per la partecipazione a lezioni di declamazione, segnò l’inizio della carriera teatrale di Vincenti, che prese a seguire la compagnia nei suoi spostamenti.
Nel 1836 dovette rientrare a Verona, richiamato per l’arruolamento militare, dal quale fu tuttavia escluso per imperfezioni fisiche; rinnovato il passaporto, poté presto ricongiungersi con la compagnia teatrale, impegnata in una tournée attraverso alcune città del Piemonte, salvo poi, nello stesso anno, dimettersi e abbandonarla definitivamente. Si spostò così a Lugano – dove pare fosse stato coinvolto in una serie di truffe organizzate da un tale Francesco Pontillo – e in seguito a Verona e a Venezia. Alla ricerca di un impiego, ripartì presto dal Veneto e nel suo peregrinare fu dapprima a Bologna, presso la sorella e il cognato, ricco possidente, e poi a Roma: sembrano doversi collocare in questo momento i suoi primi contatti con il mondo settario, che prese a frequentare con maggiore assiduità una volta lasciata la città dei papi e giunto a Livorno.
Nel centro toscano si trasferì stabilmente e fu impiegato come scritturale presso un negoziante di origine francese: raggiunta finalmente una certa stabilità economica e trovato un luogo di residenza duraturo, Vincenti ebbe modo di stringere rapporti con gli ambienti liberali livornesi e con i circoli carbonari. Nei primi mesi del 1838 si recò dapprima alla fiera di Senigallia e poi a Firenze: rientrato a Livorno, abbandonò il suo incarico e si imbarcò per Cipro assieme a Emilio Mattei e Luigi Pinna, quest’ultimo diplomatico al servizio del re di Sardegna. Il viaggio in Oriente, giustificato come un’occasione commerciale, lo indusse a seguire un itinerario a tappe forzate attraverso Cipro, la città portuale di Adalia, in Anatolia, e le isole di Rodi e Patmo, giungendo infine, dopo aver cercato inutilmente di raggiungere Chio, flagellata dalla peste, a Smirne, dove si disfece della mercanzia portata dall’Italia e da dove forse partì per visitare la capitale dell’Impero ottomano.
Nel giugno del 1838, dopo tre mesi di viaggio, fece vela verso Malta, passò da Siracusa, Catania, Messina e il mese seguente raggiunse Napoli, dove conobbe alcuni giovani rivoluzionari: in particolare, è da ricondurre a questa data il suo abboccamento con i membri della setta dei Figliuoli della Giovine Italia, fondata qualche tempo prima dal calabrese Benedetto Musolino e configuratasi ben presto come una delle maggiori organizzazioni segrete del Mezzogiorno peninsulare (Mellone, 2015, p. 567). Conobbe con ogni probabilità anche lo stesso Musolino, il quale vide nel giovane veronese «l’uomo, di cui aveva bisogno per far conoscere i Figliuoli della Giovine Italia nel resto della penisola» (Paladino, 1923, p. 848). Vincenti si fece dunque attivamente coinvolgere in quell’organizzazione clandestina, repubblicana e democratica, dai tratti etici e spirituali, profondamente differente dall’omonima associazione politica mazziniana, entrando nello stesso tempo al servizio, come segretario, di Felice Wochinger, colonnello della guardia reale borbonica. Fu proprio la vicinanza con il colonnello, già assurto agli onori delle cronache per aver dato ospitalità e cure al santo Nunzio Sulprizio, a indurre il giovane Vincenti a unirsi per qualche tempo, come novizio, alla Compagnia di Gesù.
Nella primavera del 1839, dopo avere abbandonata ogni velleità ecclesiastica, ricominciò le sue peregrinazioni: munito di documenti della società segreta, tra cui una copia del Catechismo, un memorandum e svariati moduli e patenti per attribuire nomine e incarichi, partì alla volta della città natale, dove pareva che il fratello gli avesse trovato un incarico, soggiornando brevemente dapprima a Livorno, da cui poi si mosse in battello, e in seguito a Genova e Milano. A Verona non rimase che per un breve periodo e si mise presto in viaggio per la Svizzera, raggiungendo nell’ottobre del 1839 Ginevra, dove si trattenne sino al gennaio dell’anno seguente, approfittando della sua conoscenza del tedesco e del francese per impartire lezioni di italiano. Il soggiorno ginevrino, ricco di suggestioni politiche e di contatti con esuli provenienti da ogni parte del continente, rappresentò un punto di svolta importante per Vincenti, che nella città elvetica visse un’altra crisi religiosa, abiurando il cattolicesimo e facendosi calvinista. Lasciata infine Ginevra, si spostò a Lione e a Marsiglia, da dove si imbarcò per rientrare in Italia, a Livorno: il 12 febbraio 1840, pochi giorni dopo il suo arrivo, fu arrestato nottetempo dalla polizia della città toscana, che ne seguiva i movimenti.
Interrogato dalle autorità granducali, che oltre a trovargli il passaporto in disordine, rinvennero anche una serie di incartamenti dal contenuto sovversivo, Vincenti rimase nelle carceri livornesi sino all’ottobre del 1840. Fu successivamente estradato a Milano, dove la polizia austriaca aveva da tempo iniziato una serie di interrogatori fra la sua città d’origine, la capitale lombarda e quella partenopea, dai quali era emersa la sua compromissione politica, confessata inoltre dal medaglista Ettore Galli, suddito parmense residente a Milano, al quale Vincenti aveva precedentemente affidato documenti incriminanti. Sottoposto nuovamente a un interrogatorio, nel maggio del 1841 il tribunale criminale di Milano lo condannò alla pena di quindici anni di reclusione per il reato di alto tradimento, salvo qualche mese più tardi inasprire la disposizione, aumentando a venti gli anni di detenzione; infine, grazie all’intercessione dell’imperatore, Vincenti fu condannato in maniera definitiva a dodici anni di carcere, da scontarsi presso la fortezza morava dello Spielberg. Alla fine del 1841 partì dunque per la prigione, scortato da un agente milanese, arrivandovi nel gennaio del 1842: la sua richiesta di fare tappa a Vienna, dove secondo le sue intenzioni avrebbe dovuto confidare al sovrano o al principe Klemens von Metternich preziose informazioni politiche, non fu presa in considerazione. Il clima rigido della fortezza, le precarie condizioni fisiche e l’inefficacia delle cure mediche cui era sottoposto ebbero l’effetto di fiaccare le condizioni del giovane, già da tempo malato. La conversione al calvinismo non gli impedì di intrattenere, nei suoi ultimi anni, un rapporto costante con il sacerdote Vincenzo Ziack, già confessore di Silvio Pellico durante la sua reclusione, ma il completo isolamento cui era costretto sembrò compromettere irrimediabilmente anche la sua salute mentale. Le sue ultime richieste, che gli fossero tolte le catene e che fosse inviata una supplica all’imperatore Ferdinando per la riapertura del suo processo, non ebbero esito alcuno.
Si spense, privo delle cure mediche adeguate, il 21 marzo 1845.
Fonti e Bibl.: L’Archivio di Stato di Milano, all’interno del fondo Processi politici, anni 1840-1841, I. R. Tribunale criminale, bb. 170, 171, 172, conserva le carte del processo per alto tradimento nei confronti di Vincenti. Tra il materiale, ricco, vi sono anche gli opuscoli sequestrati a Vincenti e i suoi documenti personali. Altro materiale è conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, Presidenza del Buongoverno 1814-1848, Archivio segreto, 269, 22 e presso l’Archivio di Stato di Venezia, Presidio di Governo, Geheim, b. 45.
Scarse sono le notizie bibliografiche disponibili, contenute principalmente in G. Sandri, G. V. di Verona. Un ignoto martire dello Spielberg, in Bollettino della Società letteraria di Verona, VIII (1932), 1, pp. 5-10; R.U. Montini, Nuovi documenti su G. V. martire veronese dello Spielberg, ibid., XIII (1937), 1-2-3, pp. 1-20. Informazioni sparse si trovano poi in G. Paladino, Benedetto Musolino, Luigi Settembrini e i ‘Figliuoli della Giovine Italia’, in Rassegna storica del Risorgimento, X (1923), 3, pp. 831-874, cui va aggiunto V. Mellone, Verso la rivoluzione. Identità politiche, appartenenze sociali e culturali del gruppo radicale calabrese (1830-1847), in Mediterranea, XII (2015), pp. 559-584; A. Mariutti, Organismo ed azione delle società segrete nel Veneto durante la seconda dominazione austriaca (1814-1847), in Miscellanea di storia veneta edita per cura della R. Deputazione di storia patria per le Venezie, III, Venezia 1930, pp. 80-84, dove i riferimenti archivistici indicati risultano tuttavia parziali; I processi spielberghiani. I fogli matricolari dello Spielberg, a cura di R.U. Montini - A. Zaniboni, Roma 1937, pp. 141-145; R. Fasanari, Il Risorgimento a Verona 1797-1866, Verona 1958, pp. 138-141; F. Bertini, Risorgimento e paese reale. Riforme e rivoluzione a Livorno e in Toscana (1830-1849), Firenze 2003, pp. 162, 180-186, e in Spielberg. Documentazione sui detenuti politici italiani. Inventario 1822-1859, a cura di L. Contegiacomo, Rovigo 2010, pp. 14, 196-303, 205, 237. Brevi accenni biografici si trovano nelle voci di E. Michel per il Dizionario del Risorgimento nazionale, Milano 1937, p. 348, e di F. Ercole per I martiri, nell’Enciclopedia biografica e bibliografica italiana, Milano 1939, p. 404. A Vincenti è dedicato il romanzo biografico di E. Sega, L’emissario. Storia di un patriota, Verona 2011.