VILLANI, Giovanni
Fu il maggiore dei cronisti fiorentini, e, per l'ampiezza e il valore dell'opera sua, tra i più importanti e noti cronisti dell'Europa medievale. Non conosciamo la data della sua nascita; ma se, secondo quanto egli stesso ci narra, era a Roma per il giubileo del 1300, dobbiamo ritenere che egli sia nato nell'ultimo venticinquennio del sec. XIII. Di famiglia popolana, si dedicò ben presto alla mercatura e per ragioni d'affari viaggiò, tra il 1302 e il 1308, in Francia e in Fiandra. Dal 1316 in poi lo troviamo in primo piano nella vita pubblica della sua Firenze, tre volte priore, nel 1316, nel 1317 e nel 1321; uffiziale alla moneta nel 1317; nel 1328 tra gli ufficiali deputati a provvedere per una gravissima carestia; nel 1330 preposto alla fattura delle porte di S. Giovanni; nel 1331 camerlingo del comune ai lavori per la nuova cinta delle mura; nel 1341 ostaggio di guerra a Mastino della Scala in Ferrara. E in tutti gli uffici che ricoperse mostrò in genere rettitudine, fervido amore per la patria, zelo per la cosa pubblica, buone attitudini di amministratore. Accusato di malversazioni poté facilmente mostrare la sua innocenza. Guelfo convinto, egli non nutrì tuttavia la passione di parte che animò Dino Compagni, appartenendo già a quella generazione che alla poesia del dolce stil nuovo preferirà la lirica borghese del Pucci, e dimenticherà la Firenze di Buondelmonte e di Corso Donati, chiusa nel cerchio ferrigno dei suoi odî di parte, per inorgoglirsi della città divenuta uno dei maggiori centri bancari d'Europa, dove si parla e s'intende il catalano e il francese come il volgare, dove si tratta la politica di tutta Italia, e i re d'Inghilterra e di Francia tengono in pegno la maggior parte delle loro ricchezze: della Firenze cioè "che era nel suo montare e a seguire grandi cose", mentre Roma era nel suo calare. Prese parte alle trattative per la pace con i Lucchesi e i Pisani del 1317 e fu poi alla battaglia di Altopascio. Il fallimento dei Bardi e dei Bonaccorsi lo travolse nel 1345. Pur senza sua colpa fu per qualche tempo in prigione.
Morì vittima della famosa pestilenza del 1348.
La sua Nuova Cronica in dodici libri va dai tempi favolosi delle antiche età fino al 1346. Secondo quanto dice il Villani stesso, egli avrebbe avuto l'ispirazione di narrare la storia di Firenze, "figliola e fattura di Roma", nella visita che fece alla città eterna nel 1300. Ma seppure non dobbiamo vedere in questa affermazione un'ingenua imitazione della data ideale che Dante diede al suo viaggio nell'oltretomba, è certo che il V. non attese a lavorare intorno all'opera sua se non dopo il 1308. La conoscenza stessa almeno delle due prime cantiche della Divina Commedia che il V. rivela sin dal V libro dell'opera sua, ci conferma nel porre come data d'inizio di composizione della cronaca un anno che sia abbastanza lontano dal 1300. Secondo la stessa testimonianza del V. egli procedé nel suo lavoro compilando largamente, per il periodo anteriore ai tempi della sua diretta esperienza, da altre cronache ("Et non senza grande fatica mi travaglierò di ritrarre e ritrovare dei più antichi et diversi libri et croniche et autori i gesti et fatti dei fiorentini compilando in questo"), e fondandosi specialmente su notizie attinte ai suoi ricordi e a sue indagini personali per il periodo più recente.
Da ciò stesso risulta subito come il racconto del V. sia specialmente importante a partire dal libro VII fino al XII, nei quali si tratta della storia d'Italia posteriore al 1266.
Il metodo seguito dal V. del compilare e del ridurre da altre cronache, introducendo magari nella sua opera addirittura il testo di cronache anteriori, era del resto il metodo seguito comunemente da tutti i cronisti medievali, e quindi l'inclusione della cronaca del Malespini nella cronaca villaniana è potuta sembrare un'anormalità inspiegabile solo in tempi in cui esuberanze ipercritiche portavano a vedere delle falsificazioni dappertutto, e la fama del grande V. faceva repugnare all'idea che egli avesse "plagiato" un altro cronista: si doveva trattare perciò di un plagiario del V. che, non si sa bene a quale scopo, si sarebbe divertito a diffondere, verso la metà del sec. XIV, sotto un nome immaginario, buona parte della cronaca villaniana. Ora, anche se si volesse sospendere ogni giudizio sulle relazioni fra il Malespini e il V., resta sempre indiscutibile che il V. ha incluso adattandolo, nella sua cronaca, il Liber Fesulanus, che è contenuto anche nella cronaca ma l'espiniana e che è un testo molto noto e diffuso del sec. XIII.
Tale carattere di compilazione cronistica senza eccessivo discernimento, pur di ammassare materiali e riferendo persino tradizioni contraddittorie sullo stesso argomento (carattere che è proprio specialmente dei primi libri dell'opera villaniana), corrisponde del resto esattamente al carattere dello scrittore che si rivela osservatore attento e in genere amante del vero, ma anche facilmente credulo e non privo di una certa mediocrità spirituale, spesso non d'altro desideroso che di narrare a edificazione del prossimo e a soddisfazione della curiosità dei posteri, in uno stile che è in genere sciatto e pedestre e ben lungi, in una parola, dalla viva personalità e dal vigore di un Dino Compagni.
Anche la concezione della storia del Villani è fondamentalmente quella teologica medievale, e solo quando viene a parlare di tempi a lui più vicini, l'interesse umano per tutto ciò che è amministrazione e attività di vita cittadina o di grandi aziende finanziarie, il senso vivo del reale, l'amore per i ragguagli statistici ed economici, un certo senso della complessità dei fatti storici, l'esaltazione della grandezza mondana di Roma antica e della nuova potenza della sua Firenze, un certo senso di universalità per cui egli cerca di spaziare col suo racconto in tutta l'Europa, pur facendo centro in Firenze, sono tutti elementi che mostrano nel V. e specialmente nella parte della sua opera che è più propriamente sua, presentimenti e atteggiamenti di umanesimo incipiente.
La sua Cronaca fu continuata dal fratello Matteo che, con 10 libri la condusse fino al 1363, anno in cui anch'egli morì di peste; e poi dal nipote Filippo, figlio di Matteo, cancelliere del comune di Perugia e lettore di Dante nello Studio fiorentino dal 1401 al 1404, il quale aggiunse un nuovo libro che porta il racconto fino al 1364.
Della Cronaca villaniana si fecero molte edizioni che in genere riproducono quella giuntina del 1559. La migliore è però quella del Magheri di Firenze del 1823, condotta sulla testimonianza di molti buoni codici. Manca per ora un'edizione critica.
Bibl.: Per le notizie principali sul V., v.: U. Balzani, Le cronache italiane del Medioevo, Milano 1804; N. Sapegno, Il Trecento, ivi 1934 (con bibliografia particolare). Per la questione delle relazioni tra il Villani e il Malespini, v.: O. Scheffer Boichorst, Florentiner Studien, Halle 1874; S. Lami, Di un compendio inedito della Cronaca di G. V. nelle sue relazioni con la storia fiorentina malespiniana, in Arch. stor. ital., V (1890); F. Neri, Dante e il primo V., in Giorn. dantesco, XX (1912); contro le affermazioni di questo, v. anche R. Morghen, Note malespiniane, in Bull. dell'Ist. stor. ital., Roma 1920, n. 40; id., Dante, il V. e R. Malespini, ibid., 1921, n. 41; id., Ancora sulla questione malespiniana, ibid., 1930, n. 46.