GIOVANNI VIII papa
Romano, arcidiacono della Chiesa di Roma per vent'anni, collaboratore del grande papa Nicolò I, amico dell'imperatore Ludovico II, fu eletto il 14 dicembre 872 a succedere a papa Adriano II. Vecchio e malaticcio, era uomo di singolare energia e operosità, di grande abilità politica. Assertore convinto dell'autorità pontificale super gentes et super regna e consapevole del suo grave dovere di rappresentare Cristo, attese a rafforzare la disciplina ecclesiastica e il potere della sede romana sui vescovi, a proteggere dagli abusi di questi il clero minore e i monaci, a conservare i privilegi del clero e l'integrità dei beni ecclesiastici, a difendere l'indissolubilità del matrimonio. Si adoperò a mantenere la giurisdizione immediata di Roma nella Croazia e nella Dalmazia (879); difese Metodio, l'apostolo degli Slavi di Moravia, dalle violenze dell'episcopato e dei re tedeschi e, per agevolarne l'opera evangelizzatrice, gli consentì, dopo averlo una prima volta negato, di usare la liturgia slava, purché il Vangelo fosse letto prima in latino, come affermazione di unità (880). In Francia e in Germania tentò, sebbene invano, di stabilire un suo vicario per legarle a Roma più strettamente. Sostenne una fiera lotta con Giovanni X arcivescovo di Ravenna, per i possedimenti pontifici nella Romagna e nell'Esarcato, riuscendo a celebrare un sinodo nella stessa Ravenna (agosto 877) e a vedere definita con soddisfazione sua la contesa. Nella questione della Chiesa di Oriente, ebbe ingiusta accusa di debolezza. Fozio era risalito sul trono patriarcale di Costantinopoli alla morte di Ignazio (877), col Consenso dell'imperatore Basilio e del clero d'Oriente presso che unanime; e Basilio ed egli stesso avevano scritto lettere deferentissime al papa. Questi, e per amore di concordia e per la necessità di avere aiuto dall'imperatore contro i Saraceni e per risolvere in favore di Roma la questione dei Bulgari, che il patriarcato bizantino cercava di attirare sotto la sua giurisdizione, mandò un legato con lettere, che, affermata l'autorità della sede romana, accettavano la reintegrazione di Fozio, purché questi chiedesse e ottenesse perdono da un sinodo. Le lettere furono presentate in un testo greco alterato a un sinodo di Costantinopoli, che fece addirittura l'apoteosi di Fozio. Il papa accettò misericordiose la reintegrazione del patriarca, ma dichiarò di dolersi di quanto era avvenuto e non ratificò la condanna dell'inserzione nel simbolo niceno-costantinopolitano della famosa espressione Filioque; i diritti di Roma sui Bulgari furono, almeno per qualche tempo, riconosciuti.
Non minore l'attività politica di G., unica forza che tentasse ormai d'impedire la disgregazione dell'impero e di liberare Roma e il mezzogiorno d'Italia dalla minaccia dei Saraceni. Fin dall'inizio del suo pontificato, mentre appoggiava Ludovico II, il papa provvide per conto proprio alla difesa di Roma, creando intorno a San Paolo una Ioannipolis, e organizzò alla foce del Tevere una flotta, che più d'una volta condusse egli stesso a imprese vittoriose. Morto Ludovico (875), mancando ogni norma per la successione imperiale, designò Carlo il Calvo, re della parte più romana dell'Impero, lodato per pietà, per cultura, per valore militare e politico. Fu incoronato dal papa il 25 dicembre 875; e a Roma e nel patto di Ponthion (agosto 876), confermò tutti i diritti e i possessi della Chiesa e le assoggettò, si disse, il ducato di Spoleto e gli stati longobardi del mezzogiorno. Ma Spoletini e Saraceni stringevano minacciosi; i dintorni di Roma erano devastati; in Roma stessa si raccoglieva, attorno a Formoso vescovo di Porto, a Gregorio di Teofilatto nomenculator, e ai magistri militum Giorgio e Sergio, un partito ostile al papa e all'imperatore. Il papa riuscì a fiaccarlo e lanciò la scomunica (19 aprile 876) contro i cospiratori fuggiaschi. Dopo lunga fatica e più viaggi nel mezzogiorno, poté riunire a Traetto sul Garigliano (giugno 877) i capi degli stati di Napoli, di Gaeta, di Amalfi, di Salerno, di Capua; li indusse a un'impresa comune contro gl'infedeli; diede e promise danaro. Ma gl'impegni presi con lui rimasero lettera morta; Carlo, venuto finalmente in Italia e incontrato dal papa a Vercelli, si ritirò all'annunzio che discendeva Carlomanno di Germania e morì per la via (6 ottobre 877). Il duca Lamberto di Spoleto, che aveva già chiesto in ostaggio illustri cittadini romani, sentendosi rispondere dal papa mai essersi inteso che i figli dei Romani fossero dati ostaggi, s'impadronì alla fine di febbraio dell'878, con l'aiuto del marchese Adalberto di Toscana, delle porte di Roma, vi fece rientrare i nemici del papa, tenne questo quasi prigioniero in S. Pietro, senza tuttavia riuscire a piegarlo. Quando egli si ritirò, G. scomunicò lui e i suoi seguaci; poi, sentendosi poco sicuro, comprata la pace dai musulmani, si recò in Francia. Tentò di raccogliere a Troyes (agosto 878) i principi carolingi e i loro vescovi per la salvezza della Chiesa e dell'Impero. Venne solo il re dei Franchi occidentali Ludovico il Balbo, ma non osò accogliere l'invito del papa per "la difesa, la liberazione e l'esaltazione della Chiesa". Allora G. tentò di dare l'impero a Bosone conte di Vienna, volendo egli attendere "alle cose di Dio" invano, perché Bosone preferì crearsi un regno ad Arles. Sollecitò l'appoggio dei Bizantini e vide con gioia una vittoria loro sui Saraceni nel golfo di Napoli (autunno 880). Ma nessuna fatica riuscì più a raccogliere le forze del mezzogiorno: e se Atanasio di Napoli s'indusse infine a sterminare i Saraceni, i superstiti si annidarono nello stesso dominio papale di Traetto (882). Nel regno d'Italia e nell'impero, G. si acconciò a riconoscere quel Carlo, che fu detto poi il Grosso, lo incoronò (febbraio 881), intervenne alla grande dieta di Ravenna (febbraio 882); ma inutilmente sperò aiuto dal debolissimo principe. Il vecchio lottatore finì (15 dicembre 882) per morte violenta, procurata dai suoi stessi congiunti.
Bibl.: Johannis VIII Registrum, ed. Caspar, in Mon. Germ. Hist., Epist., VII, 1912-28; Jaffé, Reg., 2ª ed., I, p. 376 segg.; J. M. Watterich, Pontificum Romanorum... vitae, Lipsia 1862 (anche per i successivi pontefici); J. Hergenröther, Photius, Ratisbona 1867 segg., II; P. Balan, Il pontificato di G. VIII, Roma 1880; A. Lapôtre, L'Europe et le Saint-Siége, I, Le pape Jean VIII, Parigi 1895; L. Duchesne, Les premiers temps de l'État pontifical, Parigi 1911, pp. 130-143; G. Gay, L'Italia merid. e l'impero bizantino, Firenze 1917; M. Schipa, Il Mezzogiorno d'Italia, Bari 1923; G. Pochettino, I Longobardi nell'Italia merid., Caserta 1930; Arch. d. R. Soc. Rom. di st. patr., XXXVIII (1915), p. 120 segg.; per la parte più strettamente religiosa, ottimi articoli in Wetzer e Welte's, Kirchenlex., 2ª ed., VI, p. 1562 segg., e in Dict. de théol. cath., VIII (1924), col. 601 segg. Cfr. pure: carlo il calvo; fozio; giovanni i.