VELUDO, Giovanni
VELUDO (Veloúdis), Giovanni. – Nacque a Venezia il 15 dicembre 1811, da Giuseppe e da Anna Calogeropulo (Calogeropoulou); era il primogenito di sei fratelli.
Entrambi i genitori, modesti commercianti – l’anagrafe scolastica di Giovanni definiva il padre «agente privato» – appartenevano alla fiorente colonia greca della Serenissima, che alla caduta della Repubblica (1797) contava oltre diecimila membri. Il bisnonno paterno di Giovanni era arrivato attorno alla metà del Settecento dall’isola di Tinos (nell’Egeo) a Venezia, ove erano nati il nonno Dimitri e il padre Giuseppe. La madre era originaria di Corfù.
I legami con la ‘nazione’ furono marcati in Giovanni sin dai primi studi al Collegio greco; questo era stato istituito nel 1665 e intitolato a Tommaso Flangini (Thomas Phlaggínes, 1579-1648, originario di Corfù), che, alla sua morte, aveva nominato la comunità greca di Venezia erede dei suoi beni, disponendo la nascita del Collegio. La parziale dispersione di questa comunità, provocata dalla fine della Serenissima e successivamente dalla guerra d’indipendenza greca (1821), mise in crisi anche il Collegio; Veludo proseguì quindi gli studi al liceo-convitto Santa Caterina (oggi liceo Foscarini), molto celebrato nel periodo in cui fu diretto da Antonio Maria Traversi, tra il 1807 e il 1832 (al Flangini Veludo sarebbe tornato come docente nel 1835, quando il Collegio venne riaperto dall’amministrazione austriaca).
A causa della scomparsa della madre (8 settembre 1826) ma soprattutto in seguito alla morte del padre (il 9 maggio 1830, a soli trentanove anni), Veludo, non ancora diciannovenne, dovette assumersi la responsabilità di provvedere ai suoi fratelli.
Tra questi, Giorgio (1818-1836), Dimitri (1820-1840) e Maria (1823-1839), scomparvero molto giovani, mentre Spiridione (1815-1866) divenne direttore e poi proprietario della stamperia di San Giorgio (specializzata in testi greci), condotta dopo la sua morte e fino al 1882 dall’altro fratello, Costantino (1817-1888).
Maturato il desiderio di rivolgersi agli studi classici, a partire dall’età di vent’anni Veludo attese a numerose versioni di codici greci e latini, testimoniate «dall’ampio numero delle schede raccolte ora in buste e fascicoli e [dopo la sua morte] lasciate con altri manoscritti e libri, se greci alla Biblioteca d’Atene, se latini od italiani alla Marciana» (Bernardi, 1889-1890, 2011, p. 704). Fu anche autore di saggi e pubblicazioni, iniziando con un’Iscrizione in morte del prof. Spiridione Blandi, scomparso il 6 giugno 1830.
Da tali attività egli sperò in un primo tempo di poter trarre sostentamento: a disilluderlo fu lo storico e grecista Andrea Mustoxidi (Andrèas Moustoxìdis) che, in una lettera dell’agosto 1832, lo invitò ad accantonare l’idea di far fortuna con gli studi, da coltivare invece «per esercizio dell’ingegno e per contento dell’animo, ma a non derivare da essi la speranza di soddisfare alle molte e ognora crescenti necessità che accompagnano la vita» (Bernardi, 1889-1890, 2011, p. 715).
Sempre nel 1832, uno dei massimi referenti della comunità greca, Emilio Amedeo De Tipaldo – cognato di Mustoxidi – suggerì a Veludo la traduzione del Myriobiblion (Diecimila libri, noto come Bibliotheca Photii; 855 circa) del patriarca di Costantinopoli Fozio I.
Alcuni capitoli di quest’opera (quelli dedicati agli storici ‘profani’) erano stati tradotti dall’erudito di origine greca Spiridione Blandi (Spyrídon Vlandís, 1765-1830) – maestro di Veludo al Flangini – e pubblicati nella raccolta Storici minori volgarizzati ed illustrati (I-IV, 1826-1831), facente parte della Collana degli antichi storici greci volgarizzati della casa editrice milanese Sonzogno, promossa e animata dallo stesso Mustoxidi.
L’episodio è confermato da una lettera, scritta da Veludo a Mustoxidi nel giugno del 1832, in cui il primo si rivolgeva al secondo per ricevere incoraggiamento e forse per ipotizzare una soluzione editoriale. In una successiva lettera del settembre 1837, tuttavia, Veludo informò Mustoxidi di aver desistito dal progetto dopo la comparsa della traduzione della Bibliotheca curata da Giuseppe Compagnoni – con lo stesso intento antologico ristretto ai capitoli di argomento profano – e pubblicata l’anno precedente dall’editore Giovanni Silvestri di Milano (Biblioteca di Fozio, patriarca di Costantinopoli; tradotta in italiano dal cavaliere Giuseppe Compagnoni e ridotta a più comodo uso degli studiosi, I-II).
Nel 1835 Veludo poté iniziare, come detto, la sua attività di docente al Flangini, durata fino al 1838. Vi aggiunse insegnamenti in altre scuole – ora al liceo Santa Caterina, ora alla Scuola armena (in questo caso grazie anche ai buoni uffici di Niccolò Tommaseo) – oltre a lezioni private e alla catalogazione della biblioteca di Spiridione Papadopoli (Spyridon Papadópouloi), altro esponente di spicco della comunità greca.
Nel 1840 passò a insegnare lingue e letteratura italiana nell’Imperial regio collegio dei cadetti di Marina, dove De Tipaldo era docente sin dal 1825. Rimase al suo posto anche durante la parentesi rivoluzionaria veneziana (marzo 1848-agosto 1849) guidata da Daniele Manin, cui era vicino; d’altra parte, il collegio di Marina era considerato un covo di sovversivi dalla polizia austriaca sin dalla spedizione rivoluzionaria in Calabria (giugno 1844) guidata da tre ex allievi di quella scuola, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera e Domenico Moro. Sollevato dall’incarico al rientro degli austriaci (agosto 1849), Veludo rimase disoccupato sino alla primavera successiva, quando entrò alla Biblioteca Marciana.
In quegli anni continuò comunque la sua attività di pubblicista. Accanto ai numerosi interventi (articoli, ma anche poesie, novelle, traduzioni) sui giornali – Il gondoliere (diretto dall’amico Luigi Carrer), Il vaglio, L’Euganeo – vanno ricordati i saggi pubblicati nella grande guida Venezia e le sue lagune, stampata dall’editore Giuseppe Antonelli e offerta dal Comune ai partecipanti al IX Congresso degli scienziati italiani, che si tenne in laguna nel settembre del 1847: Accademie, Biblioteche, Raccolte scientifiche, Medaglieri, Tipografie, Giornali di Venezia (II, pp. 425-436) e soprattutto Cenni sulla colonia greca orientale (I, 2, pp. 78-100), che Veludo avrebbe poi pubblicato anche in greco. Testi mai neutri, in cui egli non esitò a prendere posizioni scomode, non sempre condivise dai contemporanei.
Nel marzo del 1850 Veludo entrò alla Marciana con un contratto annuale di assistente provvisorio, grazie all’appoggio del direttore Luigi Valentinelli, che lo giudicava «modesto, subordinato, studiosissimo, perito a fondo nella lingua greca, latina, italiana e francese, pratico negli studi filologici e bibliografici» (Zorzi, 1987, p. 387). Stabilizzato come vicebibliotecario nel 1852, divenne bibliotecario nel 1873 e infine, dopo la morte di Valentinelli, prefetto della biblioteca (1875).
Tra i primi incarichi assegnatigli vi fu la stesura del catalogo sistematico; ma il compito più arduo della prima fase del suo lavoro fu quello che dovette affrontare tra il 23 e il 24 luglio 1866, quando l’Austria, sconfitta e in procinto di lasciare il Veneto, cercò di portare a Vienna quadri, documenti, volumi pregiati e codici antichi. In particolare, a cercare opere importanti nella Biblioteca di San Marco fu inviato uno storico ceco, il benedettino Beda František Dudik, che arrivò con sei casse da riempire: a contrastare i suoi tentativi fu posto proprio Veludo, il quale alla fine concesse 95 manoscritti (codici greci, latini e italiani), che riempirono solo una delle sei casse previste; questa venne restituita due anni dopo in virtù del trattato di pace, assieme a quanto asportato negli anni della dominazione austriaca di Venezia.
Numerosi i lutti familiari che Veludo dovette sopportare nel corso degli anni. Sposatosi nel 1842 con Elena Petrovich (Jelena Petrović), di origine bosniaca, perse progressivamente tutti i figli, a cominciare da Michele, scomparso a sei anni, nel 1849 (venne colpito dal colera durante l’assedio di Venezia); quindi Maria Sofia, a tredici anni, nel 1861, seguita dalla moglie, provata dal dolore; e infine Giuseppe, a ventidue anni (1867). Nel 1871 si risposò con la veneziana Adelaide Luigia Mertens, che aveva allora trentatré anni.
Nel periodo della direzione di Veludo, anche grazie al vicebibliotecario Giovanni Battista Lorenzi, molti studiosi trovarono nella Marciana collaborazione e suggerimenti alle proprie ricerche, in particolare stranieri come gli storici Leopold von Ranke, Rawdon L. Brown e Louis de Mas Latrie, l’archeologo e collezionista Austen H. Layard, l’artista e fotografo Edward Cheney e persino Vittorio Emanuele di Savoia, allora principe di Napoli e in seguito (dal 1900) re d’Italia.
Tanto generoso quanto severo e determinato nella difesa del patrimonio librario, Veludo fu protagonista di un lungo contenzioso per la definizione del legato del patrizio Girolamo Ascanio Molin.
Questi aveva lasciato alla città di Venezia le sue raccolte, depositate alla Marciana alla sua morte (1813): 3606 volumi (compresi numerosi incunaboli e aldine), 3835 stampe, 408 disegni, 136 carte geografiche, oltre a centinaia di oggetti diversi, tra cammei, marmi, bronzi, terrecotte, vetri antichi e un medagliere ricco di circa diecimila pezzi di grande valore.
L’8 marzo 1873 il sindaco di Venezia Antonio Fornoni chiese che la Marciana restituisse tutto al Comune – beneficiario, come detto, dell’intero lascito – anche per la contemporanea formazione del Museo Correr. Valentinelli prima e Veludo poi si opposero, chiedendo lumi al ministero della Pubblica Istruzione e al Consiglio di Stato; quest’ultimo diede ragione al Comune. Toccò quindi a Veludo compiere la catalogazione dei libri e degli oggetti (che non costituivano un fondo a parte); l’operazione si protrasse sino al 1884, con numerosi cambi di opinione da parte del ministero che indispettirono il già stanco Veludo, il quale il 17 maggio 1884 rassegnò le dimissioni.
La sua opposizione non fu vana: nel 1886 fu stipulata una convenzione fra ministero e Comune con la quale «si stabiliva definitivamente il principio che quest’ultimo era proprietario degli oggetti del legato, ma che il diritto di disporre circa l’uso e il luogo di deposito spettava allo Stato»; il lascito fu così trasferito al Correr, a eccezione dei libri, «in perpetuo uso» alla Marciana (Zorzi, 1987, p. 396).
Con l’uscita di scena di Veludo, tramontò anche il modello di direttore della Marciana inteso come un erudito veneto nel senso più ampio del termine: i suoi successori furono funzionari di carriera provenienti anche da altre regioni dell’Italia unita. Dieci anni dopo la sua morte, il governo dispose il trasferimento della sede della Biblioteca da palazzo Ducale alla Zecca, che avvenne nel 1904.
Socio dell’Ateneo veneto (dal 1836), dell’Istituto veneto (1855) e di molteplici accademie e istituzioni in Grecia e in Italia, cavaliere di ordini di molti Stati europei (a riprova della fama che si era guadagnato con gli studi e il lavoro), nel 1876 Veludo venne nominato bibliotecario della Fondazione Querini Stampalia, dove diede avvio all’aggiornamento del catalogo e della quale fu anche presidente; nel 1886 venne eletto guardian grande della Confraternita della comunità greca, di cui tracciò per primo la storia, in uno studio «modello per lo studio delle comunità dei greci della diaspora, sino agli anni ’60 del Novecento» (Koutmanis, 2011, p. 287).
Già colpito da attacco apoplettico il 25 dicembre 1889, Veludo morì a Venezia il 10 maggio 1890. È sepolto assieme a tutta la sua famiglia nel cimitero di San Michele, nel campo dei Greci.
Nel testamento aveva destinato i suoi libri greci alla Biblioteca nazionale di Atene, alla Marciana gli altri volumi, le miscellanee e la fitta corrispondenza epistolare, mentre al Correr lasciò i ritratti di famiglia. In realtà, parte della sua biblioteca restò alla comunità greca; le carte (appunti, studi, minute, traduzioni) sono oggi conservate alla Marciana, nell’archivio dell’Istituto ellenico di studi bizantini e postbizantini e in quello della Querini Stampalia, in cui sono contenuti anche gli appunti con la traduzione di Fozio.
Fonti e Bibl.: Venezia, Archivio storico Foscarini, Archivio del Liceo, I (1818-1836), c. 272, 1821-1824; Biblioteca Marciana, Archivio della Biblioteca, mss. Veludo A (nel fasc. II la lettera a Mustoxidi, s.d. ma 25 agosto 1832), C, E-H (l’insieme delle carte), bb. anni 1850-1854 e ad datam, b. Riservati, b. Legato Molin; Fondazione Querini Stampalia, mss. Cl. VI cod. CIV. Il testamento, datato 25 marzo 1889 è nell’Archivio del notaio Candiani, rep. 8210, reg. 294, 12 maggio 1890.
V. Cérésole, La vérité sur les déprédations autrichiennes à Venise: deux lettres à M. Armand Baschet, Padova 1866, pp. 11-19; J. Bernardi, Commemorazione del comm. G. V. [...], in Atti del Reale istituto veneto di scienze, lettere ed arti, XXXVIII (1889-1890), pp. 1007-1058, poi in Commemorazioni dei soci effettivi 1843-2010, a cura di M. Marangoni, I, Venezia 2011, pp. 701-729, cui si rimanda per la bibliografia completa; G.S. Plumidis, Ioánnis Veloúdis (1811-1890). Biograficò simeíoma, in Thesaurísmata, VII (1970), pp. 267-271, anche per altra bibliografia in greco e le fonti presso l’Istituto ellenico; M. Zorzi, La Libreria di San Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano 1987, pp. 387-396; S. Trovato, Greci di Venezia nell’Ottocento: un’introduzione, in Niccolò Tommaseo e il suo mondo. Patrie e nazioni (catal.) a cura di F. Bruni, Venezia 2002, pp. 95-121; M. Losacco, Antonio Catiforo e G. V. interpreti di Fozio, Bari 2003, pp. 26-35, 173-218; S. Koutmanis, G. V. (1811-1890) tra la storiografia greca e veneziana dell’800, in Adriatico: incontri e separazioni (XVIII-XIX secolo). Atti del Convegno internazionale di studi, Corfù... 2010, a cura di F. Bruni - Ch. Maltezou, Venezia 2011, pp. 287-295.