VALENTINI, Giovanni
– In assenza di registrazioni anagrafiche o battesimali, la data di nascita presunta (1582/1583) si deduce dai registri mortuari dello Stadtarchiv di Vienna che, nell’annotare il 30 aprile 1649 il decesso del maestro di cappella imperiale, gli attribuiscono sessantasei anni (Federhofer, 1967, p. 219). Nulla è noto circa estrazione familiare, luogo di nascita e formazione musicale. Antimo Liberati, che nei primi anni Quaranta del Seicento, musico dell’imperatrice vedova Eleonora Gonzaga, dovette avere contatti diretti con Valentini, lo qualificò poi «veneziano, della famosa scola de’ Gabrielli» (Lettera scritta [...] in risposta ad una del Sig. Ovidio Persapegi, Roma 1685, p. 52). Nel 1626 Giovanni Rovetta, nella prefazione ai suoi Salmi concertati, riferì che Valentini, come Alessandro Striggio e Giovanni Priuli, sarebbe stato strumentista prima che compositore.
Nel 1604 o ai primi del 1605 venne assunto come organista alla corte reale di Polonia: doveva dunque essere versato negli strumenti da tasto. Il 20 gennaio 1609 da Cracovia dedicò a Sigismondo III Vasa il primo libro di Canzoni a 3, 5, 6 e 8 voci (stampato a Venezia, come tutte le sue musiche successive, salvo diversa menzione), alludendo alla «mia servitù di quattr’anni [...] a la Maestà Vostra Serenissima».
Dal 1596 il sovrano polacco aveva arruolato numerosi musicisti italiani, tra di essi Luca Marenzio per maestro di cappella: gli erano succeduti Giulio Cesare Gabussi e dalla fine del 1602 Asprilio Pacelli, in carica per più di vent’anni, dunque per tutto il decennio scarso trascorso da Valentini in Polonia. Una lista del 18 marzo 1602 documenta la presenza di ventisette italiani su trentotto membri di cappella. Ai primi del 1604 Vincenzo Bertolusi, dal 1595 primo organista, manifestò con altri musici l’intenzione di passare alla corte reale di Danimarca: l’assunzione di Valentini andrà vista in questo contesto, sebbene Bertolusi si sia poi trasferito a Copenaghen soltanto nel 1607.
Poco si sa del periodo polacco. Delle citate Canzoni strumentali del 1609 rimane il solo libro-parte del tenore, che elenca venticinque brani, di cui uno in due parti. Soltanto un brano a quattro voci è pervenuto completo, trascritto nell’intavolatura organistica conservata nel seminario di Pelplin (Szweykowska - Szweykowski, 1997, pp. 362-365, 377): è una composizione di tipo moderno, articolata in brevi sezioni di tempo diverso ma concatenate mediante ricorrenze motiviche. Dei Motecta IIII, V & VI vocum (1611) è pervenuto il solo libro-parte del Quintus. Sono trentadue composizioni, tra cui mottetti dal Cantico dei cantici, salmi, uno Stabat mater, dedicate il 10 marzo 1611 da Vilnius a Jan Karol Chodkiewicz, grande etmano di Lituania: il musicista era al seguito del sovrano, che puntava ad assicurarsi il sostegno del comandante in capo delle truppe lituane per una campagna contro la Russia. In Polonia, Valentini dovette pubblicare almeno altri due libri di musiche strumentali, giacché un inventario della corte di Kassel datato 14 febbraio 1613 registra le altrimenti ignote «Canzoni a 4. 5. 6. 7. et 8. voci, di Giovanni Valentini organista, libro terzo» (Federhofer, 1955, p. 196). Forse agli anni polacchi risale anche un primo libro di madrigali, perduto.
A Varsavia sposò in prime nozze una certa Barbara. I registri della cattedrale di S. Giovanni annotano il 15 dicembre 1613 il battesimo di Francesco Domenico, il primo di almeno sei figli della coppia, e meno di un anno dopo, il 16 novembre 1614, di Katarzyna, probabilmente morta da piccola. La moglie doveva dunque essersi trattenuta a Varsavia, il musicista avendo frattanto assunto un posto di organista a Graz alla corte di Ferdinando III arciduca dell’Austria Interiore (il futuro imperatore Ferdinando II d’Asburgo): il 27 maggio dello stesso anno il sovrano aveva disposto che si erogassero «vnsern neuangenombnen Camerorganisten aus Pollen» (al nostro neoassunto organista di camera venuto dalla Polonia) i 150 fiorini pattuiti (ibid., p. 242).
Gli Asburgo e la corte polacca, legati per via dinastica – il re di Polonia ebbe per mogli due sorelle di Ferdinando –, erano accomunati anche dalla fede cattolica e dagli orientamenti culturali, sotto il segno della Controriforma. Anche nella cappella di Graz prevalevano i musicisti italiani, tra cui due altri organisti, Alessandro Tadei (dal 1606) e Alessandro Bontempo (dal 1607). Il nuovo maestro di cappella Giovanni Priuli, proveniente da S. Marco, approdò in Stiria probabilmente nel secondo semestre del 1614. L’adesione della cappella di Graz a tendenze musicali moderne traspare dal Parnassus musicus Ferdinandæus (Venezia 1615), che reca tra l’altro mottetti a poche voci di almeno nove musicisti attivi a corte, tra cui una cinquina sia di Priuli sia di Valentini: nella concentrazione su pochi elementi motivici assiduamente elaborati, sono tra i più avanzati della monumentale collettanea (cfr. Steinheuer, 2017).
Valentini dovette godere di tutto l’apprezzamento dell’arciduca, testimoniato da ingenti regalie (Federhofer, 1955, pp. 242 s.); gli fu affidata l’educazione musicale del principino, nato nel 1608, il futuro imperatore Ferdinando III, poi illustratosi anche come compositore. Il quinquennio abbondante trascorso alla corte di Graz fu assai produttivo anche sotto il profilo compositivo. Il Secondo libro de’ madrigali a quattro-undici voci (1616), dedicato all’arciduca, contiene tra l’altro cinque brani a grande organico con tre o cinque parti strumentali obbligate ed è tra le prime raccolte a offrire composizioni di questa mole. La cosa è ancor più vistosa nelle Musiche concertate con voci et istromenti a sei-dieci voci (1619): tutti e dieci i brani prevedono fastosi organici misti di voci e strumenti. In entrambi i libri un brano esibisce con palmare evidenza i procedimenti che nel 1638, nella prefazione all’ottavo libro dei suoi madrigali, Claudio Monteverdi designò come «concitato genere». La dedica delle Musiche (15 luglio 1619) a Ferdinando di Baviera, arcivescovo di Colonia e fratello della prima moglie dell’arciduca, Maria Anna di Baviera (morta nel 1616), andrà vista alla luce dell’imminente elezione dell’Asburgo al soglio imperiale (fine agosto); nel biennio precedente gli erano già stati conferiti i titoli di re di Boemia e re d’Ungheria, e Valentini, con Priuli e altri musicisti di corte, aveva preso parte alle cerimonie dell’incoronazione a Praga e a Presburgo (oggi Bratislava). Nella prefazione della Messa, Magnificat et Jubilate Deo a sette chori (Vienna 1621; dedica a Leonhard Helfried, primo camerlengo imperiale) l’autore stesso dice che il Magnificat era stato concepito per l’incoronazione a Presburgo, mentre si ignorano le occasioni per le altre due composizioni solenni, concepite in un «nuovo modo di concertare le trombe con voci e instromenti» (Saunders, 1991, p. 359).
Ricade negli anni di Graz la pubblicazione di due altri libri di musiche da chiesa: le Missae concertatae a sei-otto voci con l’organo (1617), dedicate a Giovanni Carlo, principe ereditario, che contengono quattro cicli dell’ordinarium; e i Salmi, hinni, Magnificat, antifone, falsibordoni et motetti concertati a una-quattro voci e organo (1618). Questi ultimi, dedicati a Carlo Giuseppe, fratello cadetto di Ferdinando, vescovo di Breslavia e Bressanone, andranno ricondotti alla visita che nel 1617 l’arciduca effettuò nella residenza episcopale di Neiße in Slesia: nell’occasione, secondo la testimonianza di Urbanus Vielhauer von Hohenhau, organista alla corte episcopale, Valentini si sarebbe esibito su un cembalo cromatico-enarmonico di 19 tasti per ottava, già appartenuto a Carl Luython, organista camerale dell’imperatore Rodolfo II in Praga e pervenuto a Neiße nel 1613.
Prima della fine del 1619, al seguito del neoeletto imperatore, Valentini si trasferì a Vienna, la residenza stabile prescelta da Ferdinando II come già dal predecessore, Mattia, invece di Praga. In un ruolo di corte del 10 dicembre la cappella imperiale annovera diciotto cantori, dodici pueri, tre organisti, ventiquattro strumentisti e trombettieri, oltre al maestro, Priuli. Con 360 fiorini annui più 28 extra di guardaroba, Valentini figura al secondo posto dopo Priuli (500 fiorini; cfr. Federhofer, 1967, pp. 267-271). A onta dello scoppio della guerra dei Trent’anni, la corte viennese dispiegò in quel periodo una florida vita musicale, documentata tra l’altro dalla pubblicazione di altri cinque libri di musiche di Valentini, che furono di fatto gli ultimi. Due sono di musiche da chiesa: le Missae quatuor partim octonis partim duodenis vocibus (1621), due messe a doppio coro e due a triplo, dedicate a Hans Ulrich barone di Eggenberg, presidente del Consiglio privato e ciambellano dell’imperatore; e i Sacri concerti a due, tre, quattro et cinque voci con il basso continuo (1625; unicum nella Biblioteca jagellonica di Cracovia), ventuno pezzi perlopiù a poche voci – antifone mariane, uno Stabat mater e musiche per la settimana santa di esagitata espressività – dedicati a Karl von Harrach, consigliere segreto del sovrano. In ambito mondano uscirono le Musiche di camera, libro quarto a due-sei voci (1621), dedicate alla reggente del granducato di Toscana, l’arciduchessa Maria Maddalena d’Austria, che esibiscono un ventaglio assai ampio di forme musicali, e Il quinto libro de madrigali (1625) a tre e a sei voci, dedicato a Paolo Savelli principe d’Albano, ambasciatore imperiale presso il soglio pontificio. Un terzo libro di musiche da camera, le Musiche a doi voci (1622), è connesso alle seconde nozze dell’imperatore, che il 2 febbraio 1622 a Innsbruck impalmò Eleonora Gonzaga, figlia cadetta del duca Vincenzo I: Valentini lo dedicò, il 19 febbraio, al fratello della sposa, Ferdinando, duca di Mantova regnante. Accanto ad alcuni idilli su versi di Girolamo Preti e Giovanni Battista Marino, vi figura la prima composizione integrale a noi nota della scena burlesca di Satiro e Corisca nel Pastor fido di Battista Guarini (atto II, vv. 840-974), tutta in stile recitativo con preludio e postludio strumentale; può darsi che sia poi stata utilizzata per la «Commedia da rappresentarsi in musica» recitata a Odenburgo (l’odierna Sopron) l’indomani dell’incoronazione dell’imperatrice Eleonora a regina d’Ungheria (26 luglio 1622; cfr. Seifert, 2014, p. 616): sarebbe il primo spettacolo drammatico-musicale documentabile alla corte viennese. Per l’edizione di una diversa composizione della stessa scena, di pugno di Tarquinio Merula (Venezia, novembre 1626), Valentini stilò un sonetto encomiastico in lode del collega, che in anni precedenti era stato organista alla corte polacca: in questo componimento egli si qualifica, fresco di nomina, «maestro di capella della Maestà Cesarea».
Mesi prima, Priuli si era licenziato per ragioni di salute; morì durante il viaggio di ritorno in Italia, nella seconda quindicina di luglio del 1626. Già il 25 giugno Valentini era stato nominato al suo posto. Come risulta da documenti seriori, il suo salario annuo ammontava a 800 fiorini, più 720 per l’insegnamento a due allievi e un’ulteriore «adiuta di costa» di 480 fiorini: in tutto 2000 all’anno (Seifert, 2014, pp. 619 s.). Già nel 1625 le ripetute, ingenti regalie sovrane gli avevano consentito di acquistare nelle immediate vicinanze della residenza la casa di tre piani in cui abitò poi fino alla morte (ibid., p. 618). Dall’ottobre del 1626 fino al 1631 fu inoltre maestro di cappella nella parrocchiale di S. Michele presso il palazzo imperiale. Ai primi di giugno del 1627 gli era morta la moglie, Barbara, e già il 5 settembre sposò Caterina Giovanelli, figlia di un mercante: nacquero altri quattro figli, Maria, Pietro, Sebastiano e Ferdinando. Nel luglio del 1627 fu nobilitato da Ferdinando II, e nel 1630 nominato consigliere cesareo. Nel 1637 Ferdinando III, succeduto al padre, lo confermò nell’officio, se ne valse come mentore nei propri ozi di compositore dilettante, e lo ricoprì di regalie, tanto che Valentini raggiunse un cospicuo grado di agiatezza.
A più riprese si allontanò da Vienna al seguito dei due sovrani, in occasione dei soggiorni della corte a Praga (1628, 1638, e ancora nel 1647 e 1648) e a Ratisbona, per la Dieta del 1630 e di nuovo alla fine del 1636 per l’incoronazione di Ferdinando III. Due suoi Salve regina a tre voci apparvero nella collettanea Coronis Parthenia, reginæ cœlitum coronatæ promossa da Bartholomaeus Lutz (Luz), maestro di cappella a Hall nel Tirolo (Innsbruck 1629). Se all’epoca del servizio come organista fu ripetutamente a Venezia per accudire alla stampa delle proprie musiche, nel 1628 e nel 1630 valicò le Alpi per procacciare musicisti.
Per quasi ventitré anni alla testa della cappella di due imperatori, Valentini dovette produrre una notevole quantità di composizioni del più vario genere per chiesa e per camera – lo documentano i numerosi manoscritti di musiche da chiesa e i brani strumentali tramandati in diversi codici –, ma per ragioni ignote sotto Ferdinando III non pubblicò più in proprio. Per quanto probabile sia, non è finora accertato se abbia continuato a scrivere musica vocale per camera, né se abbia mai fornito musiche per spettacoli teatrali a corte.
Negli anni Quaranta si dedicò sempre più spesso all’invenzione di anagrammi e cronogrammi latini e italiani nonché di rime sacre, probabilmente non destinate al canto, e pubblicò a Vienna quattro testi in lingua volgare, assimilabili a oratori, genere fino ad allora ignoto a corte. Le Rime sovra la colonna, flagello, corona di spine, croce e lancia di Christo (Vienna 1642) e i Santi risorti nel giorno della Passione di Christo, et Lazaro tra quelli (1643), che furono i primi fastosi sepolchri eseguiti a corte in forma semiscenica per la settimana santa, potrebbero aver avuto un rivestimento musicale di suo pugno, come pure il Ragionamento sovra il Santissimo da recitarsi in musica (1642) e il «dialogo» su La vita di santo Agapito (1643), nulla ne rimane, tuttavia.
Morì il 30 aprile 1649 nella sua casa viennese sul Kohlmarkt e fu inumato l’indomani. Il 12 dicembre aveva sottoscritto il testamento, redatto da altra mano: aveva disposto di essere seppellito nella cripta della parrocchiale di S. Michele; a Ferdinando III aveva legato le proprie musiche, manoscritte e a stampa.
Diversamente da quanto si legge talvolta nella letteratura critica, Valentini fu un compositore tutt’altro che retrospettivo. Al contrario, il suo estro rifulse in uno sfaccettato prisma di invenzioni compositive, dalle più intricate architetture sonore alla più dimessa sobrietà, dai giganteschi impianti policorali agli organici misti di voci e strumenti giù giù fino alle sottigliezze declamatorie e armoniche che infiorettano i brani di poche voci. Sfoggia risorse multiformi: passi su basso ostinato, forme ritornellate, moduli declamatorii fissi, battute irregolari di 5/4, ma anche trattamenti ardimentosi delle dissonanze, sperimentazioni cromatico-enarmoniche, ingegnose correlazioni di motivi elaborati e concatenati con tecnica concettosa. In tutti i generi musicali da lui coltivati appartenne insomma al novero dei compositori più innovativi del primo Seicento. Nelle scelte poetiche aderì in netta prevalenza al gusto dominante: Guarini, Gabriello Chiabrera e soprattutto Marino, con emuli e satelliti (Gaspare Murtola, Girolamo Casoni, Preti, Claudio Achillini, Francesco Contarini), e qualche ripescaggio dal primo Cinquecento (Iacopo Sannazaro, Remigio Nannini).
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