TORTI, Giovanni
Poeta, nato il 24 giugno 1774 a Milano, dove coprì modesti uffici nelle pubbliche amministrazioni. Compromesso nei moti politici del 1848, al ritorno degli Austriaci emigrò a Genova, dove fu fatto presidente del consiglio d'amministrazione dell'università e dove morì il 15 febbraio 1852.
Giovinetto era stato scolaro del Parini, che poi esaltò in una Visione (1802) e nel più noto dei suoi scritti, L'epistola sui sepolcri, con la quale, nel 1808, confrontò le due più famose del Foscolo e del Pindemonte, notandone pregi e difetti. E reminiscenze pariniane non sono infrequenti in questi e negli altri suoi scritti giovanili, tra i quali è notevole un poemetto sul Teatro (1798). Divenuto più tardi amico del Manzoni, del Grossi, del Porta, accolse anch'egli le nuove dottrine dei romantici e le seguì nelle terzine Sulla passione di Cristo (1816), e, più apertamente, nei Sermoni sulla poesia (1818), che furono detti "l'arte poetica del romanticismo" ed ebbero perciò molte ristampe. Il Manzoni, che già nella lettera a Cesare d'Azeglio aveva lodato i versi del T., li definiva più tardi (cap. XXIX dei Promessi Sposi) "pochi e valenti". La traduzione in terzine del poemetto ossianesco Oinamora (1825) e un poema in ottave, La torre di Capua (1829), non hanno grande valore. Più notevoli sono le terzine Scetticismo e religione (1836) e l'epistola in morte della moglie (1838). Nel 1848 scrisse un focoso Inno delle cinque giornate, e durante l'esilio qualche sonetto politico e tre epistole in versi sciolti, Un'abiura in Roma, che furono condannate dalla Chiesa.
Cfr. le Poesie complete di G. T., con un discorso di G. B. Cereseto sulla vita e sugli scritti dall'autore (Genova 1853).
Bibl.: E. Bellorini, G. T., Napoli 1907.