TINNOLI, Giovanni.
– Nacque a Perugia nel 1529, presumibilmente nel mese di ottobre (Valeriani 1964-1965, p. 44, da Polione. Risulta sconosciuto il nome della madre.
Appartenente a una famiglia patrizia cittadina, Tinnoli ebbe tre fratelli: Vincenzo, Giulio e Asdrubale.
Poco è noto sugli anni della formazione, che si svolse comunque presso l’ateneo cittadino. Si addottorò in filosofia intorno al 1560 e successivamente (ma la data è dubbia) in medicina.
Nel 1561 fondò l’Accademia degli Insensati in collaborazione con Rubino Salvucci, Tommaso Perigli e Ottaviano Colombi, anch’essi alumni dello Studio perugino. L’Accademia degli Insensati si impose come il più significativo sodalizio letterario di Perugia, che richiamò, fra gli altri, figure di alto spessore politico, culturale o artistico, quali Maffeo Barberini (poi papa Urbano VIII), Giovan Battista Marino e Taddeo Zuccari. Tinnoli prese il nome di Cieco insensato e scelse come sua impresa uno sparviero che sfrega sugli occhi una pianta erbacea, riprendendo un tema figurativo già fissato nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio.
L’impresa del rapace che irrobustisce la sua debole vista con l’aiuto dell’Hieracium murorum, volgarmente sparviere dei boschi, appare nella serie di imprese degli Insensati visibile in un manoscritto dell’Archivio storico dell’Università di Perugia (parte III, n.n.)
Per gli Insensati Tinnoli compose due lezioni manoscritte, entrambe tramandate dal codice 1717 della Biblioteca Augusta di Perugia (rispettivamente alle cc. 192r-201v, 418r-419v).
Il primo scritto In lode della virtù intende celebrare lo studio delle humanae lettere quale prima e più nobile via di accesso alla virtù. Quest’ultima si configura in termini morali, pragmatici e mondani come una corrispondenza tra la bontà d’animo e di comportamento che reca lode a chi l’acquista: «la virtù adunque [...] è un retto dell’animo nostro, p[er] il quale siamo huomini da bene, et lodati da altrui, massimamante in operando» (c. 199r). La seconda lezione, che espone il sonetto petrarchesco Non d’atra et tempestosa onda marina, rientra perfettamente nel non trascurabile impegno esegetico degli Insensati sui componimenti del Canzoniere. Nell’illustrazione del sonetto Tinnoli abbina una prospettiva filosofica, con riferimenti a teorie platoniche e ficiniane, a uno spiccato interesse per la lettera del testo e le sfumature di significato dei termini adottati da Francesco Petrarca (Sacchini, 2016, pp. 113-115 e nota).
Nel 1566 Tinnoli ottenne la cattedra di filosofia ordinaria primo loco presso l’Università di Perugia. Mantenne questo incarico fino alla sua morte. Nel 1567 pubblicò la sua prima opera filosofica, la Praefactio in priora analitica (Perugia, Brixianum), un commento agli Analytica priora aristotelici. In parallelo con la sua attività di docente presso l’università, nel 1584 Tinnoli divenne anche protomedico in Perugia. Nello stesso anno diede alle stampe una nuova opera filosofica, i Compendiaria argumentandi methodus (Perugia, Petrucci).
Nel 1590 stampò gli Opuscola varia (Perugia, Orlando), in seguito riediti postumi a Venezia con il titolo di Viridarium philosophicum in varia opuscula distributum (Compagnia Minima, 1594).
Gli Opuscola sono una raccolta di dodici brevi trattati e due dialoghi composti tra gli anni della giovinezza e quelli della piena maturità. Questa collezione rappresenta una sorta di consuntivo dell’opera teorica di Tinnoli.
Come affermato nella dedica del volume, la pubblicazione degli Opuscola era stata preceduta dall’invio degli scritti raccolti nell’estate del 1589 al cardinale e commentatore aristotelico Costanzo Torri (detto Sarnano), che fu suo collega nello Studio perugino. I lavori qui riuniti rivelano gli indirizzi principali della riflessione speculativa di Tinnoli, che combina problematiche pedagogico-formative con questioni filosofiche. L’interesse educativo è più evidente, per esempio, nei trattati De discendo, De contrahendis artibus, De producenda vita e nel Pro iis, qui in legendis libris plurimum temporibus insumunt. In questi scritti Tinnoli riflette da un lato sulla natura e sui metodi dell’insegnamento e dell’apprendimento, dall’altro ribadisce la sua profonda convinzione nell’utilità di una vita spesa per lo studio e l’erudizione. Il cammino verso il sapere infatti, secondo Tinnoli, rende l’uomo effettivamente longevo poiché gli consente di dedicare la sua esistenza a ciò che è proprio dell’essere umano, cioè l’attività intellettuale. I trattati rivolti a temi più prettamente filosofici si indirizzano verso lo studio della natura e dell’universo (De cognitione rerum naturalium; De perfectione universi), dell’intelletto e dei modi della conoscenza (De primo cognito; De intellectu agente) e di nuovo degli Analitici aristotelici (Paradologìa de scopo Aristotelis). I dialoghi finali, Glottochyrius primus e secundus, vogliono essere «maiorem partem hilares et facetos» (Opuscola varia, p. 278). Per la loro generale tonalità brillante e umoristica e per l’esplicita ripresa del personaggio del pedante Glottocrisio (‘lingua d’oro’), i due dialoghi si richiamano ai Cantici di Fidenzio (s.l. [1562?]) del giureconsulto vicentino Camillo Scroffa. Si discostano tuttavia decisamente dal precedente di Scroffa per la differente tipologia di opera e per il trattamento in alcuni punti serio dei temi proposti. Il primo scritto è incentrato principalmente sull’esposizione della teoria aristotelica dell’anima ed è arricchito da un’ampia serie di citazioni in lingua originale di autori greci e latini. Il secondo dialogo, ricordato anche nel Serraglio (Venezia 1613, p. 142) di Tommaso Garzoni, passa in rassegna le varie opinioni degli storici e dei filosofi sui pigmei, dando particolare risalto ai punti di convergenza delle tesi platoniche e aristoteliche.
Rispetto alla posizione filosofica di Giovanni Tinnoli, vale ancora il giudizio elaborato da Valeriani, che lo definì «filosofo fondamentalmente aristotelico e tomista», pure intenzionato a «conciliare il Platonismo con l’Aristotelismo» (1967, p. 292). Nei primi anni della sua nomina a professore dello Studio perugino, come dimostra nella De cognitione del 1566, Tinnoli si mantenne del tutto conforme alla teoresi tomistico-aristotelica, negando la validità delle teorie platoniche delle idee e della reminiscenza. Egli raggiunse gradualmente una maggior disinvoltura nel combinare insieme teorie filosofiche diverse e nell’accogliere concetti potenzialmente non del tutto graditi agli inquisitori della Controriforma. Le sue aperture di maggior interesse riguardano le vexatae quaestiones del sensus agens e soprattutto dell’intellectus agens, rispetto alle quali egli condivise almeno in parte le tesi degli averroisti di scuola padovana (Valeriani, 1967, pp. 293-298).
Morì il 22 agosto 1591 forse a causa dell’epidemia di peste che investì Perugia tra il marzo e il settembre di quell’anno.
Fonti e Bibl.: L. Jacobilli, Bibliotheca Umbriae..., Foligno 1658, p. 150; A. Oldoini, Athenaeum augustum..., Perugia 1678, pp. 191 s.; G.B. Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, II, Perugia 1829, pp. 303 s.; S. Pelli, Le accademie in Perugia, in Studi storici e letterari dei professori e studenti del liceo ginnasio A. Mariotti, Perugia 1901, pp. 182, 187; L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, II, Dal 1495 al 1860, Perugia 1879, p. 237; A. Valeriani, L’insegnamento di G. T. ‘magister’ dello studio perugino del sec. XVI, in Annali della facoltà di lettere e filosofia della Università degli Studi di Perugia, II (1964-1965), pp. 43-95; Id., Il pensiero filosofico di G. T., in Filosofia e cultura in Umbria tra Medioevo e Rinascimento, Gubbio-Perugia 1967, pp. 285-300; C.H. Lohr, Renaissance latin Aristotle commentaries: authors S-Z, in Renaissance Quarterly, 1982, vol. 35, pp. 164-256 (in partic. p. 196); L. Sacchini, Identità, lettere e virtù, Bologna 2016, pp. 46-47 e note 47 e 91, 113-115 e nota, 123, 190, 193.