TAMBURINI, Giovanni (in religione Ascanio)
– Nacque nei pressi di Marradi, in località Biforco, nell’allora Romagna fiorentina, all’incirca nel 1594; non si conosce il nome dei genitori.
Il suo nome di battesimo era Giovanni, mutato poi all’atto della professione nell’Ordine vallombrosano. Secondo Luca Giuseppe Cerracchini, si laureò in teologia sacra allo Studio fiorentino, dove poi avrebbe anche insegnato. Le ricordanze di diverse abbazie ne confermano il dottorato, ma non chiariscono se ne conseguì un secondo in utroque iure.
Ricoprì a lungo cariche all’interno del proprio Ordine religioso: nel 1638 era visitatore nel capitolo generale a Passignano e nel 1640 definitore. Due anni dopo, oramai già noto per la sua esperienza negli affari della religione vallombrosana, sostenuto dal granduca Ferdinando II, ne venne eletto presidente generale per un quadriennio. In seguito fu ancora definitore dell’Ordine e quindi abate di diversi monasteri: a Passignano fino al 1658, poi per ordine di Alessandro VII a S. Trinita di Vallombrosa e a S. Mercuriale a Forlì (1662).
Assai legato al fratello del granduca, il cardinale Carlo de’ Medici, fu suo teologo e auditore per gli affari di Vallombrosa. Lo stretto rapporto con i Medici appare chiaramente in alcuni episodi significativi, come l’invio di Tamburini nel 1659 a Roma per smentire alcune voci che lamentavano l’ingerenza medicea nell’Ordine vallombrosano. Nel 1662 supplicò il cardinale di sostenerlo nell’elezione di abate a Vallombrosa, carica che, a differenza degli altri superiori generali, non aveva ancora ricoperto, probabilmente per un certo ostruzionismo che da sempre ebbe nell’Ordine per il suo attaccamento allo studio e la non provenienza da famiglia nobile. Con l’unione fra vallombrosani e silvestrini, attuata da Alessandro VII per diminuire l’influsso della dinastia toscana nelle vicende interne dei primi, nell’aprile del 1665 Tamburini venne eletto (con pochi voti di scarto) superiore generale del nuovo Ordine. Si distinse per un’opera di conciliazione, che traspare più complessivamente come cifra interpretativa del suo governo come abate.
Fu valente giurista, autore di due importanti e diffuse opere canonistiche. Il De iure abbatum, centrata sull’abate e sulle altre dignitates ecclesiastiche inferiori all’episcopato, apparve a Roma in due volumi fra 1629 e 1630, ma venne ristampato poi a Lione nel 1640 (e nel 1650) con un terzo volume e arricchito da una collezione di decisioni rotali. Lo scopo dichiarato fu quello di dare una trattazione esaustiva di una materia non molto battuta dalla scienza giuridica e che aveva fornito plurime occasioni di controversie dottrinali. Effettivamente, i tre tomi ebbero il merito di profondersi su larga parte della disciplina inerente agli uffici ecclesiastici: status, prerogative in spiritualibus e giurisdizione temporale.
La seconda, il De iure abbatissarum, è un analogo lavoro che prende a oggetto le prerogative delle badesse in ordine alla disciplina tracciata dai canoni tridentini, corredata da una collezione di decisiones rotali e un formulario. Uscì a Roma nel 1638, ma fu oggetto di altre edizioni lionesi nel 1648 e 1668. Interessante è in esso lo sforzo per inquadrare giuridicamente i poteri della badessa. Non equiparabile alla giurisdizione spirituale degli altri prelati, che derivava dalla potestas clavium, e priva di potere di ordine, Tamburini la riconduceva alla sfera della iurisdictio domestica esplicata dalla madre sui figli, atta a consentire di spiccare ordini vincolanti ai propri sottoposti, ma anche a una quaedam iurisdictio civilis, cosa che spiegava la facoltà di conferire benefici ecclesiastici. Entrambi i trattati vennero ristampati a Colonia (1691) e Augsburg (1698).
Per struttura e caratteri le due opere si collocano a pieno titolo entro il genere letterario della trattatistica di diritto comune d’età moderna. L’impianto, a partire dalla suddivisione in disputationes, a loro volta ripartite in quaestiones, è casistico e prende le mosse dall’esame e dalla soluzione di quesiti concreti. Ampio, talora sovrabbondante, è il ricorso alle allegazioni dottrinali, combinate con una folta platea di fonti scritturistiche e teologiche. Il De iure abbatum è per molti versi un vero e proprio zibaldone, non solo per il formulario di atti che comprende, ma anche per i numerosi testi, antichi, in versione integrale (privilegi imperiali, atti pontifici e decreti di congregazioni romane, responsi di altri giuristi, regole di ordini religiosi, come quelle di S. Benedetto, S. Francesco e S. Basilio), sovente utilizzati come titoli fondativi di diritti.
Gli scritti rivelano una propensione umanistica all’apertura al contributo di altre discipline, come storia, erudizione e etimologia, ma sono presenti altresì capitoli di interesse prettamente sacramentale o liturgico (come quelli sui paramenti necessari per la benedizione), altri di rilievo morale, come le disputationes su abito, decenza e qualità di cui doveva esser dotato l’abate, che riprende un filone molto praticato anche in relazione ad altri uffici o dignitates, come quelle di giudice o di avvocato.
Svariati, del resto, sono gli episodi in cui si mostrò una vena storico-erudita di Tamburini. Uno è senz’altro la pianta (fagus) che, a mo’ di albero genealogico, egli stesso fece dipingere a Vallombrosa con personaggi della familia del suo Ordine, corredati da una didascalia. A questo lavoro, così come ai Fragmenta historica manoscritti di Tamburini (oggi perduti), sempre relativi alla religione vallombrosana, attinse molte notizie Venanzio Simi per il suo Catalogus di santi e uomini illustri. Un altro frutto di questo suo interesse furono i due grossi volumi manoscritti dal titolo Militia sacra, contenenti una serie di tavole sugli ordini cavallereschi istituiti a difesa della religione cattolica e di quelli che portarono la Croce santa, finemente illustrate con rilievi che raffiguravano cavalieri in abito con le insegne. Ogni rilievo fu accompagnato da brevissimi cenni storici sul singolo Ordine, molti dei quali ricorrevano anche in varie quaestiones della disputatio XXIV del De iure abbatum. È congetturabile che questo lavoro, condotto con rigore scientifico nella citazione delle fonti, fosse preliminare alla scrittura di una vera e propria storia degli ordini religiosi militari, non dissimile da quella realizzata qualche decennio dopo Pierre Hélyot. Del resto, nel 1662 Tamburini rivelava di volersi avvicinare a Firenze per poter usufruire delle biblioteche ivi presenti al fine di completare l’opera, destinata a esser stampata in Francia.
Fu membro dell’Accademia dei Filergiti di Forlì.
Già nel 1665 fu afflitto da alcuni problemi di salute, che minarono il suo progetto di dare nuove costituzioni al proprio Ordine. Morì il 7 giugno 1666 nella casa generalizia di S. Bartolomeo a Ripoli dopo cinque giorni di «male di pietra». Fra i meriti attribuitigli vi è la libreria del monastero di S. Pancrazio di Cetica.
Fonti e Bibl.: Il carteggio di Tamburini con il cardinale Carlo de’ Medici è in Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del principato. Sue notizie come abate e generale vallombrosano sono nei libri di memorie di alcuni monasteri, tra cui Archivio di Stato di Firenze, Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, 88, f. 71; 89, f. 53; 224, f. 201. Altre fonti inedite presenti nella biblioteca di Vallombrosa sono indicate in Paoli, 1975, e Zuccarello, 2005. L’opera Militia sacra è in Firenze, Biblioteca nazionale, Mss. Palatini, E.B.15.1 (1404-1405).
V. Simi, Catalogus sanctorum, et plurium virorum illustrium qui veluti mystici flores effloruerunt in Valle Umbrosa, Romae 1693, pp. 25 s.; D.F. Balestra, Cronologia degl’abati del monastero di S. Mercuriale della città di Forlì..., Forlì (dopo il 1715), pp. 42 s.; M. Armellini, Appendix de quibusdam aliis per Italiam ordinis D. Benedicti Congregationum scriptoribus..., Fulginei 1736, p. 61; L.G. Cerracchini, Fasti teologali ovvero notizie istoriche del collegio de’ teologi della sacra università fiorentina dalla sua fondazione fino all’anno 1738, Firenze 1738, pp. 394-396; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine divise ne’ suoi quartieri, III, Firenze 1765, p. 326; M. Maylender, Storia delle Accademie d’Italia, II, Certi-Filotomi, Bologna 1927, p. 411; U. Paoli, L’unione delle congregazioni vallombrosana e silvestrina (1662-1667), Fabriano 1975, pp. 130-139, 243-247; C. Fantappiè, Il monachesimo moderno tra ragion di Chiesa e ragion di Stato. Il caso toscano, XVI-XIX sec., Firenze 1993, pp. 134-138; M.T. Guerra Medici, Sulla giurisdizione temporale e spirituale della abbadessa, in Il monachesimo femminile in Italia dall’Alto Medioevo al secolo XVII: a confronto con l’oggi, a cura di G. Zarri, San Pietro in Cariano 1997, p. 84; U. Zuccarello, I Vallombrosani in età postridentina 1575-1669: tra mito del passato e mancate riforme, Brescia 2005, pp. 250-260, 293-304; F. Salvestrini, ‘Furti’ di identità e ambigue semantizzazioni agiografiche: Verdiana da Castelfiorentino santa vallombrosana, in Hagiologica. Studi per Réginald Grégoire, a cura di A. Bartolomei Romagnoli - U. Paoli - P. Piatti, II, Fabriano 2012, p. 1173.