SPATARO, Giovanni
– Nacque a Bologna nel 1458 o 1459, figlio di Guido di Conte Spataro e di Perpetua di Giovanni Bertuccini (Frati, 1917, p. 456).
L’anno di nascita 1459 si ricava da due lettere datate (4 gennaio 1529 e 30 gennaio 1531) in cui Spataro menziona la propria età (settanta e settantadue anni) e da uno dei suoi testamenti datato 26 ottobre 1535, in cui afferma di aver raggiunto i settantasei anni. Il riscontro effettuato sui registri battesimali bolognesi, conservati proprio a partire dal 1459, non ha però dato esito positivo; è pertanto possibile che Spataro sia nato negli ultimi mesi del 1458, forse il 26 ottobre, giornata da lui scelta per stilare due dei suoi testamenti (Tirro, 1974, pp. 171 e 176). La lapide sepolcrale, un tempo collocata in S. Petronio, riportava l’anno di morte 1541 e la dicitura «vixit annos LXXX», il che implicherebbe una nascita al 1461, datazione altrimenti non confermata; trattandosi di una fonte secondaria (Frati, 1917, p. 463), non è da escludere qualche errore di trascrizione.
Spataro abitò tutta la vita nella casa paterna, ubicata nel borgo delle Casse (presso l’odierna via Marconi) sotto la parrocchia di S. Lorenzo di Porta Stieri, e richiamata nei suoi testamenti. Il nome di famiglia è direttamente legato all’attività del nonno, maestro Conte Spataro – da lui Giovanni ereditò un cospicuo lascito –, il quale esercitava la «merzaria spadaria», ovvero il commercio di spade e la «fabreria», come si ricava da documenti relativi alla morte dell’avo del musicista (ibid., p. 455). Non sappiamo con certezza se Giovanni abbia proseguito tale attività; nel secondo testamento (29 luglio 1527) lasciava al compare maestro Giampietro fabbro un’incudine di ferro di circa 4000 libbre «del quale sino allora erasi servito» (ibid., p. 459). La sua estrazione popolare venne enfatizzata da Franchino Gaffurio, con cui fu più volte in polemica, tanto che costui gli dedicò un epigramma dall’incipit Qui gladios quondam corio vestibat et enses («Colui che un tempo rivestiva di corame spade e sciabole»).
La prima formazione musicale risale agli anni Settanta, grazie all’incontro con il teorico e musico Bartolomeo Ramis de Pareia, suo «preceptore» fino al 1484. Spataro dichiarò che Ramis gli impartiva lezioni «stando a solazo cum mi nella mia apotecha» (Honesta defensio, c. F3v), forse il negozio dov’egli commerciava. Nonostante questa educazione informale, lontana dalla consueta prassi delle scholae cantorum, Spataro raggiunse competenze ragguardevoli nel campo del canto, della composizione e della riflessione teorica sulla musica; lo stesso Gaffurio riconosceva in lui un «Vir (quamquam illiteratus) in Musicis acutissimus» («Illiteratus» perché non scriveva in latino). Negli anni Ottanta entrò in contatto con la famiglia Bentivoglio, della quale fu forse insegnante di musica. Ad Antongaleazzo, protonotario apostolico di Bologna dal 1483, Spataro dedicò il suo primo trattato a stampa: Honesta defensio in Nicolai Burtii Parmensis opusculum (Bologna, Platone [Girolamo?] Benedetti, 1491). L’indole polemica e a tratti irascibile di Spataro è già pienamente rappresentata in questo opuscolo, concepito per difendere il proprio riverito maestro Ramis dalle critiche mossegli da Nicolò Burzio nel Musice opusculum, apparso nel 1487 (Gaspari, 1867, 1969, pp. 42-47). Per il rampollo più giovane dei Bentivoglio, Hermes, Spataro compose la Missa della pera e la Missa Pera, pera (oggi perdute ma documentate in alcune lettere), in omaggio al frutto che figura sul blasone del nobile (A correspondence of Renaissance musicians, 1991, p. 53).
A questo periodo deve risalire un gruppo di messe e mottetti anch’essi non conservati, ma discussi ampiamente da Spataro in lettere a Giovanni Del Lago e Pietro Aaron (edizione moderna in A correspondence of Renaissance musicians, 1991). Il carteggio, una cinquantina di lettere, è uno dei documenti più interessanti relativi al teorico bolognese e al contesto storico-musicale di appartenenza. Caratteristiche salienti delle composizioni ivi menzionate sono la presenza di canoni enigmatici da risolvere per poterle eseguire e il ricorso a proporzioni ritmiche, espresse attraverso ingegni notazionali artificiosi. Rientrano nel gruppo, oltre alle già citate messe ‘delle pere’, le messe Da pacem, Tue voluntatis, De santa Maria Magdalena e soprattutto la Missa de la tradictora, la cui melodia costitutiva, di probabile origine popolare, era talmente elaborata nelle parti polifoniche da risultare quasi irriconoscibile. Il mottetto Ubi opus est facto, discusso in alcune lettere del 1517 ma certamente anteriore, è esemplare di questo stile esoterico: le chiavi con cui cantare le voci si ricavavano da motti-indovinello sui pianeti Saturno e Giove; il tenor non aveva neppure una nota ma solo un cerchio, una pausa di breve e un motto enigmatico mediante il quale ricavare la cantilena (ibid., pp. 71 s.).
Nel marzo del 1505 Spataro divenne cantore in S. Petronio, attività che lo impegnò poi fino al 1512. Tale occupazione non gli fruttava di certo un gran reddito, a giudicare dalle retribuzioni note (Gambassi, 1987, pp. 59-61), il che conferma che l’eredità del nonno dovesse essere tanto consistente da permettergli di vivere di rendita. Il 30 giugno 1512 Spataro venne infine nominato maestro del canto, posizione che conservò sino alla morte e che gli permise di godere di un salario fisso (ibid., pp. 61-69). Dal 1520 cominciò il contrasto con Gaffurio, con il quale era pure in contatto epistolare. Nella Apologia Franchini Gafurii [...] adversus Joannem Spatarium (Torino, Agostino da Vimercate, 1520) il teorico lodigiano lo attaccò frontalmente per aver criticato il suo De harmonia musicorum instrumentorum opus (Milano, Gottardo da Ponte, 1518). Il bolognese rispose senza indugi con gli Errori de Franchino Gafurio da Lodi, da maestro Ioanne Spatario, musico bolognese, in sua deffensione, et del suo preceptore maestro Bartolomeo Ramis hispano subtilmente demostrati (Bologna, Benedetto di Ettore Faelli, gennaio 1521) e le Dilucide et probatissime demonstratione de maestro Zoanne Spatario musico bolognese, contra certe frivole et vane excusatione, da Franchino Gafurio (maestro de li errori) in luce aducte (Bologna, Girolamo Benedetti, maggio 1521). Il confronto con Gaffurio fu a dir poco acceso, al limite dell’ingiuria; dal canto suo il teorico lodigiano non risparmiò gli insulti personali a Spataro, il quale a sua volta gli rispose a tono nei due trattati suddetti e in altri saggi non pervenuti (Appostille ed Epistole; Gaspari, 1867, 1969, pp. 47-53).
Tra gli argomenti della disputa teorica, due in particolare agitavano Spataro: il sistema musicale classico, ereditato dai greci, e le proporzioni, in particolare la sesquialtera. Per entrambi si scontrò sul versante teorico con Gaffurio, ma ne fece pure esperienza concreta nella pratica compositiva. A proposito del primo tema, in un mottetto dedicato a Leone X, Cardinei cetus, descritto in dettaglio nelle lettere, Spataro congegnò un tenor in cui venivano usati tutti e tre i generi musicali teoricamente concepiti: diatonico, cromatico ed enarmonico (A correspondence of Renaissance musicians, 1991, pp. 67-70). Quanto alle proporzioni, il teorico bolognese sosteneva che il valore delle note in regime di sesquialtera doveva essere sempre ‘perfetto’ (ossia ternario) a prescindere dalla mensura binaria o ternaria che la precedeva. L’attenzione spasmodica per questo argomento lo indusse a concepire l’unico tra i suoi trattati usciti a stampa privo di intenti apologetici o confutatori, seppur non immune da spunti polemici: Tractato di musica di Gioanni Spataro musico bolognese nel quale si tracta de la perfectione da la sesqualtera producta in la musica mensurata exercitata (Venezia, Bernardino Vitali, 1531). Invero Spataro puntava alla pubblicazione di almeno tre trattati, dedicati rispettivamente al canto figurato – una versione primigenia è sopravvissuta nelle manoscritte Utile et breve regule di canto composite per maestro Zoanne di Spadari Bologna (London, British Library, Add. Ms. 4920); edizione moderna a cura di G. Vecchi, in Quadrivium, 1962, vol. 5, pp. 5-68 –, al contrappunto e alle proporzioni. Nessuno dei tre vide il torchio, salvo il Tractato sulla sesquialtera; la gestazione di questo e degli altri trattati è però ampiamente descritta nel carteggio con Aaron. Spataro aveva già terminato il trattato nel 1523, sperando di trovare un traduttore per volgerlo in latino ed evitare le critiche di cui già era stato oggetto, salvo poi accantonarlo. Solo nel 1531, non essendo riuscito nell’intento di pubblicare gli altri tre trattati per tramite di Giovanni Del Lago, Spataro si rivolse nuovamente ad Aaron, inviandogli il solo Tractato sulla sesquialtera, infine stampato e dedicato proprio ad Aaron.
A partire dalla fine del 1533, divenuto ormai maestro vecchio del canto, Spataro venne assistito da Michele Cimatore, che gli succedette nell’incarico dopo la sua morte. Egli stesso spiegò la necessità di un assistente in una lettera ad Aaron: gli occorreva maggior tempo per occuparsi della revisione dei suoi scritti, a cui non si stancò mai di dedicarsi.
Durante l’incarico da maestro, compose musica d’uso per la cappella musicale di S. Petronio, parzialmente conservata nei libri-corali dell’archivio della basilica (mss. A.XXIX, A.XXXI, A.XXXVIII, A.LXV, A.LXVI, sui quali cfr. Tirro, 1986). Vi si annoverano mottetti per la Vergine (Ave gratia plena, Gaude Maria virgo, Hec virgo est preclarum vas, Virgo prudentissima; dai testamenti di Spataro risulta la sua viva devozione per la Madonna) e per le ricorrenze liturgiche (Nativitas tua, Tenebrae factae sunt), nonché un numero ragguardevole di Magnificat (ne sono noti più di una ventina): brani dalla scrittura più semplice, privi di complicazioni mensurali e canoniche.
Il testamento del 26 ottobre 1535, oltre a indicare i lasciti, contiene prescrizioni relative alla sua sepoltura, che doveva avvenire in S. Petronio dinanzi alla cappella di Maria Vergine, in una tomba di pietra bianca con scolpito lo stemma araldico di famiglia (un braccio armato che impugna un bastone, con tre catene e altrettante palle). Ai canonici della basilica, ultimi eredi dei suoi beni ed esecutori delle sue disposizioni funerarie, Spataro chiedeva pure di cantare annualmente, nell’anniversario della morte, una messa solenne da requiem in canto piano, di fronte alla cappella della Madonna.
Morì il 17 gennaio 1541: così l’epigrafe, che per dei lavori interni fu levata dalla sua collocazione il 7 novembre 1664; da allora è andata perduta (Frati, 1917, pp. 463 s.).
Fonti e Bibl.: Per un elenco dettagliato delle opere e altra bibliografia: B.J. Blackburn, S., G., Oxford music online, http://www.oxfordmusiconline.com (23 settembre 2018). G. Gaspari, Ricerche, documenti e memorie risguardanti la storia dell’arte musicale in Bologna, Bologna 1867 (rist. in Musica e musicisti a Bologna, Bologna 1969, pp. 35-72); L. Frati, Per la storia della musica in Bologna dal secolo XV al XVI, in Rivista musicale italiana, XXIV (1917), pp. 454-467; F. Tirro, G. S.’s choirbooks in the archive of San Petronio in Bologna, tesi di dottorato, University of Chicago 1974; Id., La stesura del testo nei manoscritti di G. S., in Rivista italiana di musicologia, XV (1980), pp. 31-70; C.V. Palisca, Humanism in Italian Renaissance musical thought, New Haven-London 1985, pp. 232-235; F. Tirro, Renaissance musical sources in the archive of San Petronio in Bologna, I, G. S.’s choirbooks, Stuttgart-Neuhausen 1986; O. Gambassi, La cappella musicale di S. Petronio, Firenze 1987; A correspondence of Renaissance musicians, a cura di B.J. Blackburn - E.E. Lowinsky - C.A. Miller, Oxford 1991 (in partic. pp. 51-73); A.M. Busse Berger, Mensuration and proportion signs: origins and evolution, Oxford 1993, ad ind.; B.J. Blackburn, Publishing music theory in early Cinquecento Venice and Bologna: friends and foes, in Music in print and beyond: Hildegard von Bingen to The Beatles, a cura di C.A. Monson - R.M. Marvin, Rochester 2013, pp. 36-61.