SORANZO, Giovanni
– Nacque a Venezia il 24 agosto 1520, terzo dei cinque figli maschi di Francesco di Giacomo e di Chiara Cappello di Lorenzo di Bernardo. La famiglia era assai ricca: il padre fece edificare una cappella alla Certosa e, oltre al Soranzo, due suoi fratelli, Francesco e Girolamo, conseguirono il titolo di cavaliere, frutto di dispendiose ambascerie.
Pertanto Soranzo iniziò la carriera politica con cariche dell’ordine senatorio e fu savio agli Ordini per il semestre ottobre1549 - marzo 1550, poi ancora per il secondo semestre del 1551 e per il primo del 1553; quindi nel 1555 sposò Marietta Zane di Girolamo cavaliere e procuratore, dalla quale avrebbe avuto cinque figli maschi, dando così origine a un altro ramo del casato, dal momento che suo fratello Lorenzo ne aveva già assicurato la continuità sposando nel 1548 Marina Cappello di Filippo.
È possibile che allora si siano verificati dissidi famigliari, per cui la carriera politica di Soranzo continuò a un livello inferiore: il 28 ottobre 1556 fu eletto ufficiale alle Cazude; quindi, il 19 febbraio 1559, provveditore al cottimo di Alessandria e provveditore sopra le Camere il 28 gennaio 1560. Poi la svolta: il 2 agosto 1561 risultò eletto ambasciatore in Spagna; ricevette le commissioni il 31 marzo 1562 e si fermò a Madrid due anni e mezzo, rimpatriando alla fine del 1564 ; gran parte dei dispacci sono cifrati, l’ultimo fu spedito da Valenza il 17 ottobre e lesse la relazione in Senato agli inizi del 1565. Sostanzialmente negativo il giudizio che egli fornisce sugli spagnoli, i quali «nel negoziare e conversare… come nel principio si dimostrano umani e cortesi, così in un tratto si scuoprono oltre modo insolenti» (Relazioni, 1981, p. 406). Descritto con crudezza, e divenuto in seguito vero topos storiografico, il ritratto del diciannovenne erede al trono don Carlos: «E’ di aspetto brutto ed ingrato, ha la faccia più presto consumata che pallida, ed è di complessione malinconica e collerica, tanto che è difficilissimo in lasciarsi governare. E’ disordinatissimo nel mangiare e appetitoso fuor di ogni ragione; e in questo si governa così male, che la maggior parte dell’anno si trova con la febbre… E’ di natura molto crudele» (ibid., p. 443).
Rimpatriato, Soranzo venne eletto savio sopra le Fortezze (maggio 1565 - marzo 1566) e savio di Terraferma per il secondo semestre 1565, quindi, il 24 novembre dello stesso anno, ambasciatore in Germania. Rifiutò, non subito ma l’11 marzo 1566, allegando i dispendi sostenuti da suo fratello Giacomo, che già aveva sostenuto la stessa legazione e ancora l’avrebbe ripresa nel 1570. La famiglia si muoveva dunque in base a una strategia concordata e Soranzo dovette ripiegare su cariche di minor rilievo: nuovamente savio alle Fortezze dall’ottobre 1566 al marzo 1567, fu ancora savio di Terraferma da aprile a settembre 1566, dopo di che si recò a Bergamo, alla cui podestaria era stato eletto il 27 ottobre 1566.
Rimase quasi due anni nella città, dedicandosi soprattutto a reprimere la rissosità nobiliare e al completamento della cinta muraria, dove supplì il collega capitano Leonardo Pesaro, lungamente malato.
A Venezia divenne poi savio di Terraferma per il primo semestre del 1569 e, dall’ottobre, per un anno consigliere ducale di S. Polo. Non aveva ancora completato l’incarico quando fu eletto (27 agosto 1570) ambasciatore a Roma. Partì subito: si trattava di affiancare (in realtà sorvegliare e poi sostituire) l’ambasciatore in carica Michele Surian, sospettato di eccessiva condiscendenza verso il papa e Filippo II nelle trattative per la lega antiturca, stipulata il 25 maggio 1571. Anche Soranzo apparteneva a famiglia filospagnola e filocuriale, ma con ben altra levatura rispetto al Surian, che una volta a Venezia sarebbe morto per il dolore e l’umiliazione patita. Toccò dunque a Soranzo condividere con la corte pontificia la gioia della vittoria di Lepanto, nell’ottobre 1571.
Spedì l’ultimo dispaccio l’11 maggio 1572, quindi fu savio del Consiglio dall’ottobre 1572 a marzo 1573, carica prolungata sino a giugno dello stesso anno; contemporaneamente fu provveditore sopra il Danaro e membro del Consiglio dei dieci; eletto il 31 gennaio 1573, il 17 aprile venne nominato ambasciatore in Spagna. Ancora una volta si trattava di affiancare il titolare dell’ambasceria, Leonardo Donà, nello spinoso compito di giustificare la Repubblica per la pace separata conclusa con gli ottomani. Soranzo partì a maggio, ma solo il 18 luglio potè avere udienza da Filippo II, che differì la data dell’incontro con vari pretesti.
Rimpatriato, il Soranzo, considerato ormai uno dei più influenti senatori, dovette assumere varie cariche, in un incalzare che spesso non consentiva di portarle a termine. Savio del Consiglio per poche settimane tra febbraio e marzo 1574, fu poi eletto consigliere ducale (28 marzo 1574), ambasciatore a Roma (27 gennaio 1575) e ambasciatore straordinario in Francia (18 marzo 1575): elezioni, queste due ultime, annullate; membro del Consiglio dei dieci (30 ottobre 1575 e 8 aprile 1576), savio del Consiglio per il primo semestre 1576, sopraprovveditore alla Sanità (18 agosto 1576), conservatore delle Leggi (24 novembre 1576), podestà di Brescia (25 novembre 1576). Questo rettorato poteva presentare minori problemi rispetto al precedente bergamasco, ma così non fu perché la permanenza del Soranzo coincise con la comparsa e poi tutto il decorso della peste, che comportò una fortissima contrazione demografica e lo squilibrio della vita sociale.
Tornato a Venezia, ricominciò il sovrapporsi delle elezioni: provveditore sopra i Beni Comunali (28 settembre 1578), savio del Consiglio da ottobre a dicembre; membro della zonta del Consiglio dei dieci dal primo ottobre, consigliere ducale di S. Polo (23 novembre); poi, il 3 agosto 1581, fu eletto ambasciatore straordinario a Roma, ufficialmente per appianare i contrasti suscitati dal patriarca di Aquileia, Giovanni Grimani, in merito alla giurisdizione del feudo di Taiedo, ma in realtà per sottrarne la gestione all’ambasciatore in carica, Leonardo Donà, notoriamente anticuriale. La missione si svolse fra il dicembre 1581 e il marzo 1582, quindi il Soranzo venne nuovamente eletto consigliere ducale (25 marzo 1582), poi provveditore all’Arsenale (1° luglio 1583) e fu savio del Consiglio per il primo semestre 1584.
Dopo di che seguirono quasi cinque anni di latitanza dalla politica, un vulnus nella carriera del Soranzo provocato dall’accusa, rivoltagli nell’aprile 1585, di tramare per far assolvere dal bando suo fratello Giacomo, incolpato di collusione con paesi stranieri. Il vero motivo va invece ricondotto alla lotta allora in corso fra il partito dei “giovani” e quello dei “vecchi”, i conservatori, dei quali Soranzo ed il fratello erano tra i principali esponenti.
Pertanto solo nell’ottobre 1588 Soranzo avrebbe ripreso il servizio pubblico come senatore, cui fece seguito, il 27 agosto 1589, la nomina a podestà di Padova, che tuttavia sottintendeva un risvolto punitivo, espletato il quale egli avrebbe potuto riprendere il cursus honorum, secondo la prassi del governo marciano. Nella città euganea non furono le usuali turbolenze degli studenti a occupare i suoi dispacci, ma l’accentuarsi di una carestia che già da qualche anno vessava la popolazione.
Rimpatriato nel 1592 Soranzo, benché ultrasettantenne, riprese la carriera politica: il 26 maggio fu eletto nel collegio delle Acque, l’11 settembre savio del Consiglio, il 16 ottobre riformatore dello Studio di Padova, il 22 novembre consigliere per il sestiere di S. Polo, ma è difficile precisare se e per quanto tempo abbia realmente esercitato tali cariche. Il 13 dicembre 1593 fu chiamato a occuparsi della riorganizzazione delle truppe e il 16 febbraio 1594 divenne provveditore alle Fortezze; nello stesso 1594 (4 febbraio) ricevette l’impegnativo incarico di provveditore alla costruzione del ponte di Rialto, il 30 marzo fu eletto savio del Consiglio e il 4 ottobre provveditore all’Arsenale. Nuovamente savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre 1595, il 24 marzo 1596 fu eletto consigliere ducale, il 29 settembre divenne savio alle Acque e il 30 dicembre conservatore del deposito in Zecca; il 18 settembre 1596 era stato eletto procuratore di S. Marco de Citra, in riconoscimento del lungo servizio espletato. E tuttavia gli furono appoggiati ulteriori incarichi: riformatore dello Studio di Padova il 26 giugno 1597, savio del Consiglio per i primi tre mesi del 1598, il 7 marzo dello stesso anno fu eletto fra i quattro ambasciatori che, all’inizio di giugno, andarono a Ferrara per rallegrarsi con papa Clemente VIII dell’acquisto di quel ducato, allora devoluto alla Santa Sede.
Fu la sua ultima missione; quasi ottantenne, il 7 novembre 1599 fece testamento, singolare documento in cui dispone di essere posto in una barca sotto casa la sera prima del funerale.
Morì il primo luglio 1603, «di febbre e vecchiezza».
Su disposizione del figlio, il cavaliere e procuratore Girolamo, nel 1640 Baldassare Longhena realizzò la facciata della chiesa di S. Giustina, con statua marmorea di Soranzo e iscrizione.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. Codd. I, St. veneta 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii…, VII, pp. 53, 55; Segr. alle voci. Elez. Pregadi, regg. 1, cc. 17, 31; 3, cc. 10, 11, 41, 44, 72, 74; 4, cc. 4, 5, 7, 20, 35, 55, 71, 83, 85, 86, 90, 103; 5, c. 104; Arch. di Stato di Venezia, Senato dispacci Spagna, fzz. 4–5, passim (1562-64); 9, passim (1573); Senato dispacci Roma, fzz. 6-8, passim (1570-72); 15-16, passim (1581-82); 41, nn. 65, 67, 69 (1598); Capi del Consiglio dei dieci. Lettere ambasciatori Roma, fzz. 27, nn. 60-64; Ibid., Lettere rettori Bergamo, fzz. 2, nn. 124-127, 129-130; Lettere rettori Brescia, fzz. 24, nn. 1-4, 6, 10, 14; Notarile testamenti, b. 1244/382; Provveditori alla Sanità. Necrologi, reg. 831, sub 1° lug. 1603; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., VII.823 (= 8902), Consegli, reg. 12, c. 147; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 64s., 90 s.; Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, a cura di E. Alberi, X (s. 2, t. IV), Firenze 1857, pp. 199 (qualche notizia sull’ambasceria romana del 1572, di cui non abbiamo la relazione); G. Giuriato, Venezia, facciata dell’ex chiesa di S. Giustina, in Archivio Veneto, I (1871), p. 268; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, pp. 9, 35 s.; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, VIII, Spagna (1497-1598), Torino 1981, pp. 403-446.