SERODINE, Giovanni
– Originario di Ascona, un paese sulle rive dell’alto lago Maggiore, che dal 1513 era un baliaggio dei cantoni della Svizzera interna e i cui abitanti, in particolare i maschi, emigravano spesso, soprattutto verso Roma. Nel 1595 Cristoforo Serodine, padre di Giovanni, fu arrestato e incarcerato a Tor di Nona; aveva sgarrato nella sua professione di «bancherottus», cioè di piccolo operatore finanziario (Corradini, 1987, p. 139 n. 1; Pupillo, 2012, p. 177); nel 1597 risultava «mercator vini»: e da lì in poi la sua vita lavorativa sembra tutta orientata nel mondo della ristorazione e dell’ospitalità (pp. 177, 179 nota 7). Cristoforo aveva una moglie, Caterina Porta, con cui risultava già sposato nel 1601: nel dicembre di quell’anno lei era ad Ascona, quando faceva da madrina in un battesimo (Ascona, Archivio parrocchiale). Pochi mesi dopo anche Cristoforo è documentato nel suo paese d’origine, perché il 17 marzo 1602 faceva da testimone a un matrimonio (Ascona, Archivio parrocchiale). Nel 1603 era di nuovo a Roma, dove stipulava una società «super exercitio hospitii»: forse un albergo (Chiappini, 1983, p. 145). Al 3 marzo di quell’anno risale la prima menzione di un figlio di Cristoforo e Caterina: Pietro, che, a Roma, faceva di professione l’«ordearolus», cioè forse il venditore d’orzo (Corradini, 1987, p. 139 n. 3; cfr. Le postille..., 2016, p. 57). La famiglia risiedeva nel rione Monti, tra il Quirinale e la Colonna Traiana, dove non erano pochi gli emigrati del lago Maggiore (Terzaghi, 1999, pp. 22 s.). Dal 1603 si segue la vicenda di un altro figlio di Cristoforo: Andrea, destinato alla carriera ecclesiastica. Studiava a Roma presso il collegio dei Gesuiti (Corradini, 1987, p. 146 n. 51).
Per trovare dei contatti del clan Serodine con il contesto figurativo bisogna arrivare al 13 giugno 1609, data da cui decorre – fino al 29 maggio 1612 – una serie di pagamenti a un altro figlio di Cristoforo: lo scultore Giovanni Battista. Era al lavoro nel palazzo del Quirinale (Fonti..., 1995, pp. 86, 93, 140, 178). Intanto il 5 dicembre 1610 Andrea Serodine si laureava in utroque iure al Collegio romano e già il 12 febbraio 1612 era di ritorno ad Ascona (Corradini, 1987, pp. 143, 146 nn. 36, 51); da lì fu un susseguirsi di impegni che lo videro assumere, a partire almeno dal 24 agosto 1613, la carica di canonico in S. Vittore a Muralto. Quel giorno si celebrava il matrimonio, presente don Andrea, di un altro dei fratelli Serodine: Bartolomeo, che sposava l’asconese Lucia Viola (Chiappini, 1983, p. 144). Don Andrea era in continuo contatto con Roma: per ragioni difficilmente comprensibili, nella posta recapitatagli ad Ascona compaiono tre lettere destinate all’arcivescovo di Milano, il cardinale Federico Borromeo. E lui, il 19 febbraio 1614, si affrettava a farle avere all’illustre destinatario (Calvesi, 1990, pp. 383 s.).
Reca la data 1615 e il nome di Paolo V la targa sulla facciata della chiesa di S. Francesca Romana a Roma: spetta al pontefice, infatti, il restauro dell’edificio. Fanno parte dell’intervento le cinque statue che occupano il timpano: una postilla anonima a un esemplare delle Vite di Giovanni Baglione, un manoscritto anonimo del 1660 e la guida di Roma di Giovanni Battista Mola del 1663 fanno il nome di Giovanni Serodine quale autore della Madonna in pietra che occupa il culmine del timpano. Facile è pensare, come suggerivano Roberto Longhi e Wilhelm Suida, che quel Giovanni sia il Giovanni Battista al lavoro come scultore al Quirinale; il bisticcio onomastico tra i due fratelli era all’ordine del giorno, tanto che fino al 1924 erano considerati una sola persona (Borrani, 1924). Una volta accettata la Madonna del Foro nel corpus dello scultore, è legittimo chiedersi se l’intervento di Battista non si possa estendere a qualcun’altra delle statue sulla facciata: in particolare la S. Francesca Romana e il Santo sulla sinistra (Agosti - Stoppa, 2015, pp. 12 s.). L’8 gennaio 1616 lo «scoltore lombardo», insieme all’architetto palermitano Vincenzo della Greca, era coinvolto in una rissa (Corradini, 1987, p. 139 n. 10).
Il 12 marzo 1617 don Andrea Serodine era presente alla posa della prima pietra della Madonna della Fontana, ad Ascona. Era al seguito dell’arciprete di Locarno, il comasco Francesco Ballarini, di cui, dopo la sua morte (1623), occupò il posto (Gilardoni, 1979, p. 174).
Nel 1618, a Roma, Cristoforo Serodine e suo figlio Bartolomeo prendevano in subaffitto una casa alla salita di Marforio, alle spalle del Campidoglio. Chi la cedeva loro era Simone Daria, uno stuccatore di Pellio Inferiore, in Val d’Intelvi (Corradini, 1987, p. 139 n. 11; Pupillo, 2012, p. 178). Nel 1619 Cristoforo era censito tra i proprietari di osterie (Corradini, 1987, p. 139 nn. 12-14). Il 14 novembre di quell’anno anche suo figlio Bartolomeo si meritava l’epiteto di «mercator vini in Urbe» (p. 139 n. 15). Intanto il 9 giugno ad Ascona si era celebrato il battesimo di suo figlio Bernardino: la cerimonia era officiata da don Andrea e il padrino era Giovanni Battista (Ascona, Archivio parrocchiale).
A quella data erano già iniziati i lavori di rifacimento e di ampliamento della casa che la famiglia Serodine possedeva proprio nella piazza principale del paese. Un’epigrafe sulla porta d’accesso dichiara: christophorvs serodinvs / restavravit et ampliavit / io. baptista eivs filivs fecit / anno mdcxx. L’autore era quindi Giovanni Battista; al padre spettava la volontà di realizzarla, segno tangibile della posizione raggiunta. Non sono mancati i tentativi di riconoscere l’intervento di Giovanni tra gli stucchi della casa, tanto più che a una sua attività di scultore e persino di architetto fa riferimento l’iscrizione apposta nel 1633 al Cristo rimprovera i figli di Zebedeo (Ascona, parrocchiale). E inoltre Baglione (1642, 1995) aveva scritto: «Intagliò anche in marmo, con grandissima diligenza, varie cose» (p. 312). Il programma iconografico degli stucchi, ancora da chiarire, è improntato all’Antico Testamento, anche se non manca una Madonna con il Bambino, che si confronta bene con le figure in travertino sulla facciata di S. Francesca Romana a Roma. Nei primi mesi del 1620, mentre verosimilmente Giovanni Battista lavorava agli stucchi di Ascona, Cristoforo e Bartolomeo erano ancora a Roma (Corradini, 1987, pp. 139 s., nn. 17-19; Rambotti, 2008, p. 47).
Spetta proprio alla Pasqua del 1620 il primo ricordo di Giovanni Serodine nello stato delle anime di Ascona (Pomponi, 2011, pp. 159, 186 nota 159): la famiglia Serodine annoverava il padre Cristoforo, la madre Caterina, i quattro figli superstiti (Pietro era già morto, chissà quando) e l’unica nuora. Qui Giovanni, il minore dei fratelli, sembra avere 26 anni: sarebbe nato perciò nel 1594 (Corradini, 1987, p. 139 n. 16). Il dato è però in contraddizione con le rilevazioni successive, ivi inclusa quella relativa alla morte, tutte concordi nel considerarlo nato nel 1600. Si può ipotizzare che il 26 dello status animarum asconese del 1620 sia un errore di scrittura, o di trascrizione, per un 20?
Il 23 marzo 1621 Giovanni Battista Serodine era ad Ascona, quando faceva il padrino a un battesimo (Ascona, Archivio parrocchiale). Il 29 aprile nella contabilità del contestabile Filippo I Colonna compariva una voce di pagamento «a Giovanni Serodine scarpellino per saldo dei lavori per li depositi di Paliano» (Nicolai, 2008, p. 266). L’identità di questo «Giovanni Serodine» attivo a Paliano, uno dei feudi della famosa famiglia romana, è stata discussa tra Giovanni Battista, di cui è nota l’attività plastica, e il futuro pittore Giovanni, che avrebbe praticato un mestiere presto abbandonato (Terzaghi, 2012, p. 200). Di certo Battista era ancora ad Ascona, a fare di nuovo da padrino, il 21 agosto (Ascona, Archivio parrocchiale). È stato supposto che i «depositi» siano le edicole funerarie, in marmi e stucchi, che ancora oggi occupano l’abside della chiesa di S. Andrea a Paliano, una sorta di Pantheon dei Colonna (Agosti - Stoppa, 2015, p. 15).
Nello stato delle anime romano del 1622 «Giovanni di Christofaro Serodini», qualificato come «pittore», abitava da solo (Corradini, 1987, p. 140 n. 20). Cristoforo, che continua a essere registrato come oste, viveva adesso con la moglie, il figlio Bartolomeo e la cognata Lucia in una casa a Macel de’ Corvi (p. 140 n. 21). Il tentativo di Giovanni di stare da solo non durò a lungo, perché nella Pasqua del 1623 sembra di ritrovarlo insieme ai suoi familiari (p. 140 n. 22). Ma, a indicare la fragilità di questi dati, lo stesso censimento lo registrava, insieme al fratello maggiore Battista, che era ritornato a Roma, in casa di «mastro Maria chirurgo» (p. 140 n. 23). Intanto proseguiva la carriera di don Andrea, che il 7 maggio 1623 era nominato protonotario apostolico (pp. 143, 146 nn. 36, 51).
La fisionomia di Giovanni come pittore nel 1623 è restituita dal Cristo rimprovera i figli di Zebedeo, una pala malandata nella parrocchiale di Ascona, sulla quale, dopo la sua morte, la pietà familiare del padre e del fratello Andrea ha apposto l’età, 23 anni, in cui il pittore l’aveva eseguita. Se ne ignora la destinazione originale, probabilmente diversa da quella odierna; per omogeneità stilistica il dipinto richiama a sé un’altra tela, l’Arrivo nella locanda di Emmaus, pure approdata nella chiesa di Ascona.
In queste prime prove si avverte il desiderio di reinventare la tradizione caravaggesca, riandando all’origine di quella deflagrazione e lasciando perdere accomodamenti e riletture del tutto correnti in quel momento: sono già gli anni della Manfrediana methodus. Qui, invece, una presa diretta dentro la camera scura caravaggesca con modelli veri e luci di taglio, unita a un rigore quasi apostolico nei confronti di un maestro mai conosciuto. Si avverte inoltre la volontà del pittore di non adeguarsi alla più corriva routine iconografica, sottoposta a salutari scossoni.
Appena più maturo è il cosiddetto Miracolo di s. Margherita del Prado (inv. P00246), da intendere invece come un Miracolo di s. Marta (Marta resuscita e battezza un ragazzino caduto nel Rodano: Agosti - Stoppa, 2015, p. 16).
Nel 1623 Giovanni era al lavoro, come pittore, nel palazzo romano del principe Marcantonio Borghese in via Condotti. Gli spettavano i fregi, apparentemente non conservati, in tre ambienti contigui dell’«appartamento fatto di novo […] nella logia di cima del cortile». Raffiguravano «fogliami», «imprese di draghi e aquile» (cioè l’insegna dei Borghese), puttini con stemmi, «rose», «vasi», «cascate di festoni di frutti naturali» e «medaglioni fini di camei» (Faldi, 1988, pp. 175-178). Negli stessi mesi, e per lo stesso committente, era al lavoro Battista Serodine, che realizzava i capitelli delle colonne «messe in opera nella piazza Borghese che dividono la strada pubblica da detta piazza» (ibid., pp. 178 s.; Fumagalli, 1994, p. 98 nota 98). E ancora il 26 ottobre Battista era pagato di nuovo dai Borghese per lavori in stucco «per ornamento del’arme posta sopra il portone del giardino» in una proprietà imprecisata della famiglia (forse Villa Borghese; Papi, 1993, p. 20 nota 54; Fumagalli, 1994, p. 98 nota 98).
Il primo pagamento a Giovanni per i fregi Borghese era del 23 agosto: il giorno successivo, al Collegio romano, il giovane pittore e lo «scarpellinus» carrarese Santi Ghetti, più anziano e più esperto di lui, si impegnavano a ornare la tribuna della chiesa della Concezione di Maria a Spoleto, più nota con il nome di S. Maria della Piaggia, con marmi, stucchi, dorature e pitture. Il soggetto doveva essere la «Santissima Trinità con l’Immacolata Concettione et gloria d’angeli et con diversi altri santi, che se ne farrà disegno, o gli sarrà detto a bocca dal padre Nazario, o il suddetto padre Gironimo», cioè il potente Gerolamo Alaleone, maestro delle cerimonie pontificie. Si prevedeva inoltre, per contratto, che nel sottarco fossero raffigurati gli «attributi della Beatissima Vergine con li fogliami, et segni nel fregio, et anco gli fogliami nelli doi primi pilastri» e due «quadri sotto li coretti». I lavori dovevano essere consegnati il 31 maggio 1624 per quanto concerneva stucchi e dorature, il 30 settembre successivo per quanto riguardava la pittura (Corradini, 1987, p. 140 n. 24). Ma Giovanni il 13 luglio aveva già finito di lavorare; il suo compenso superava di 60 scudi la somma pattuita (pp. 140 s., n. 25). In S. Maria della Piaggia ci sono ancora gli stucchi e i dipinti pagati a Serodine: i primi si allineano con le produzioni eseguite in questo materiale nell’ambito della bottega familiare; appena dietro le spalle è la decorazione della casa di Ascona. Quanto alle pitture, faticano a coincidere, per come si presentano oggi, con il corpus noto di Serodine, innanzitutto per ragioni di qualità (su questa vexata quaestio: Agosti - Stoppa, 2015, pp. 16-19).
Nel 1624, a Pasqua, a Roma, il nucleo familiare dei Serodine era compatto: padre, madre, i tre figli maschi e la nuora (Corradini, 1987, p. 141 n. 26). Il 24 settembre moriva a poco più di trent’anni Battista (p. 141 n. 27).
Se si deve provare a immaginare che cosa del magro catalogo di Giovanni Serodine può stare in questo primo tratto di storia, prima che arrivi all’aprirsi dell’anno 1625 la commessa dei quadri per la raccolta di Asdrubale Mattei, fortunatamente tutti sopravvissuti e quindi decifrabili stilisticamente, si può provare a rivolgersi a due tele che sono state forzosamente estromesse dal corpus dell’artista in cui le aveva inserite Longhi: il S. Giovanni Evangelista di Torino (Galleria Sabauda, inv. 100, catal. 462) e il Santo di Modena (Galleria Estense, inv. 481, ora in deposito presso il palazzo ducale di Sassuolo).
Il 31 gennaio 1625 erano emessi i primi pagamenti – gli ultimi sarebbero stati del 13 gennaio dell’anno successivo – per i tre quadri richiesti dal fratello minore di quel Ciriaco Mattei che aveva ospitato il Caravaggio nel 1601 e che conservava nella sua raccolta più opere del pittore. Asdrubale Mattei voleva coinvolgere nella sua nuova galleria, nel nuovo palazzo Mattei di Giove, nel rione Sant’Angelo, «giovani che abbino fatto qualche cosa di buono e abbino un nome», con una marcata preferenza per il côté caravaggesco. Serodine dipinse tre quadri «per traverso», orizzontali cioè, a due terzi di figura: sono oggi a Parigi, Musée du Louvre, inv. RF. 1983-4 (Gesù tra i Dottori); a Edimburgo, National Gallery of Scotland, inv. 1513 (Tributo della moneta); a Roma, Gallerie nazionali d’arte antica-Palazzo Barberini, inv. 1968 (Distacco di s. Pietro e s. Paolo condotti al martirio). In questo momento si situano l’unica opera nota di Serodine di tema profano, l’Allegoria della Pinacoteca Ambrosiana (inv. 134; cfr., per l’iconografia, Besomi, 2008), e la Sacra Famiglia del Patriziato di Ascona. Nel 1625 morivano la madre di Giovanni, Caterina (Corradini, 1987, p. 142 n. 32), e il fratello Bartolomeo (p. 142 n. 34); a quell’anno risale il primo testamento superstite del padre Cristoforo (p. 142 n. 33). Il contesto familiare di casa Serodine si ridisegnava: restavano solo il padre, la nuora vedova e Giovanni, cui cominciavano ad arridere commissioni di un certo livello.
Dovrebbe essere questo il momento delle due pale per S. Lorenzo fuori le Mura, la grande basilica retta allora dai canonici regolari lateranensi, sottoposta a ingenti lavori di restauro, avviati nel 1619 e dati per conclusi nel 1625. Dal 1621 titolare era il cardinale Francesco Boncompagni, nipote di papa Gregorio XIII. Le due pale furono l’occasione del primo ricorso a stampa – ma solo nel 1639 – del nome di Serodine nelle Nove chiese di Roma di Baglione, non certo tenero, a quelle date, nei confronti di chi si rifaceva, per quanto in maniera ormai tanto personale, alla lezione del Caravaggio. Nel 1642 il maldisposto e conformista collega si lasciava scappare, a proposito dell’Elemosina di s. Lorenzo (firmata: «Ioann»; oggi nel Museo dell’abbazia di Casamari), «assai buon quadro» e, per la Decollazione del Battista (oggi quasi ingiudicabile, per i danni della guerra), specificava che conteneva «figure tocche molto oscure» (Baglione, 1642, p. 311). Si ignora la collocazione originale della Madonna con il Bambino e i ss. Pietro Nolasco e Maria de Cervellón oggi alla Pinacoteca Züst a Rancate (inv. PZ 426), che attesta i contatti di Serodine con l’Ordine dei mercedari intorno alla metà del terzo decennio del Seicento.
Il 19 giugno 1626 Cristoforo Serodine faceva un altro testamento, dove chiedeva che Giovanni tenesse in casa con sé la cognata Lucia (Corradini, 1987, pp. 142 s., n. 35). Alla Pasqua del 1627 gli stati d’anime vedevano il nucleo romano dei Serodine ridotto ai minimi termini: Cristoforo, Giovanni e Lucia (p. 143 n. 37). Il pittore era riuscito a ottenere la commissione per la pala dell’altare maggiore – una Trasfigurazione, alta quasi quattro metri e mezzo e larga due e mezzo, oggi dispersa – di S. Salvatore in Lauro, allora retta dai canonici veneziani di S. Giorgio in Alga. La pala, già realizzata nel 1627, fu definita da Baglione (1642) «assai bizzarra, e fantastica, con poco disegno, e con manco decoro» (p. 311). Il pittore-storiografo segnalava anche un altro dipinto pubblico di Serodine, pure questo smarrito: un S. Michele Arcangelo con Lucifero in S. Pietro in Montorio (pp. 311 s.), dove restò fino al 1861.
Il 4 ottobre 1627 Giovanni Serodine – se è lui il «Giovanni Como» menzionato subito prima del milanese Alessandro Agazzini, cioè di chi gli sarebbe stato accanto al momento di stilare le sue ultime volontà – rischiò di essere presente all’assemblea dell’Accademia di S. Luca, l’associazione ufficiale dei pittori, scultori e architetti attivi a Roma (Lafranconi, 1999-2000, pp. 112 s., n. 154). Del 1628 è il Ritratto di Cristoforo Serodine (Lugano, collezione Città di Lugano), eseguito probabilmente ad Ascona, durante uno dei periodici rientri sul lago. Forse in quel soggiorno si erano poste le premesse per la grande pala per l’altare maggiore della parrocchiale, che doveva sostituire, arricchendolo di personaggi, l’affresco di metà Cinquecento con i Ss. Pietro e Paolo intenti a reggere il velo della Veronica sotto un’Incoronazione della Vergine e davanti a uno sfondo lacustre. Quell’impresa, la più importante agli occhi di tutti gli abitanti di Ascona, era voluta dal vecchio Giovanni Bettetini (1561-1644) e da sua moglie Antonia (1567-1647).
Già nella Pasqua di quel 1628, padre e figlio erano di nuovo a Roma, sempre con Lucia a fianco (Corradini, 1987, pp. 143 s., n. 38). Il 27 dicembre Cristoforo riapriva il suo testamento e decideva di donare a Giovanni «officium militis Pii», una carica all’interno dell’amministrazione pontificia che si poteva anche acquistare, a metà tra il titolo onorifico e la funzione amministrativa, e che prevedeva una rendita in denaro (pp. 144 s., n. 39). Non ci sono notizie esterne relative al 1629; e non si può dire dove fosse Giovanni: a Roma? Ad Ascona a dipingere la pala per i Bettetini? Un quadro, questo, così importante che diede vita a sottoprodotti realizzati con gli stessi materiali, come il S. Gerolamo del Museo civico di Torino (inv. 584 D) o il Ritratto di giovane disegnatore (Rancate, Pinacoteca Züst, inv. PZ 393). Ma quest’estrema stagione fu soprattutto quella del S. Pietro che legge (Rancate, Pinacoteca Züst, inv. PZ 25): per sempre «una capsula di dinamite gettata in un fornello» (Longhi, 1950, p. 21).
Alla Pasqua del 1630, in casa Serodine, accanto a Cristoforo, Giovanni e Lucia, compariva Giovanni Battista, un bambino di cinque anni (Corradini, 1987, p. 145 n. 40). Si tratta di un figlio naturale di Giovanni. Il 20 agosto il pittore, a nome del padre, riscuoteva del denaro (p. 145 n. 41); il 15 dicembre andava a confessarsi a S. Bartolomeo in Isola, il 18 riceveva il viatico, il 20 l’olio santo (p. 145 n. 44). Il 21 riusciva a fare testamento: oltre a un lascito a suo fratello Andrea, uno a Lucia, «in recognitione servitutis per eam prestitae in domo prefatorum de Serodinis», e a un vitalizio a una misteriosa «domina Catherina Mammana», tutto quanto possedeva doveva andare al piccolo Giovanni Battista. Chiedeva di essere sepolto in S. Lorenzuolo ai Monti. Avrebbe voluto una lapide con lo stemma di famiglia – l’aquila con i monti e le stelle e la cometa – scolpita da Rocco Porcari, uno scalpellino romano che era lì presente al momento dell’atto e che pochi mesi dopo sposò sua cognata Lucia (cfr. Renzi, 2015, p. 652 nota 6). C’era poi qualche altro amico: in testa il milanese Agazzini (Corradini, 1987, p. 145 n. 43). Lo stesso giorno, a 30 anni, in casa propria, moriva il «romanus pictor ac sculptor» (p. 145 n. 44).
Nella dimora romana dei Serodine, a pochi mesi dalla morte di Giovanni, erano inventariati 25 «quadri diversi» (p. 146 n. 49). A dicembre il padre Cristoforo, verosimilmente con il piccolo Giovanni Battista, era già tornato ad Ascona, dove moriva prima del 30 luglio 1634 (p. 146 n. 50).
Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le nove chiese di Roma (1639), a cura di L. Barroero, Roma 1990, p. 156; Id., Le vite de’ pittori, scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di papa Urbano VIII nel 1642 (1642), a cura di J. Hess - H. Röttgen, I, Città del Vaticano 1995, pp. 311, 312; S. Borrani, I Fratelli Serodine di Ascona e l’opera loro, Intra 1924; W. Suida, S., G., in Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, a cura di U. Thieme - F. Becker, XXX, Leipzig 1936, p. 517; R. Longhi, G. S., in Paragone, I (1950), 7, pp. 3-23; Id., G. S. (1954), in Studi caravaggeschi. Tomo II. 1935-1969, Firenze 2000, pp. 131-173; Id., «Giovanni della Voltolina» a Palazzo Mattei (1969), ibid., pp. 307-309; V. Gilardoni, I monumenti d’arte e di storia del Canton Ticino. Volume II. L’Alto Verbano. I. Il circolo delle isole (Ascona, Ronco, Losone e Brissago), Basel 1979, p. 174; B. Toscano, Rischio e calcolo nel primo Serodine, in Paragone, XXX (1979), 355, pp. 3-27; R. Chiappini, «Ioannes Serodini, Pictor in Urbe» non fu un semplice seguace del Caravaggio, in L’Almanacco. Cronache di vita ticinese, 1983, n. 2, pp. 143-149; S. Corradini, Appendice documentaria, in Serodine. La pittura oltre Caravaggio (catal., Locarno-Roma), Milano 1987, pp. 139-146 (dove però non è indicato a chi spetta la prima pubblicazione dei documenti); I. Faldi, G. S. a palazzo Borghese, in Strenna dei romanisti, XLIX (1988), pp. 175-179; M. Calvesi, Le realtà del Caravaggio, Torino 1990, pp. 383 s.; G. Papi, Riflessioni su G. S.: la data di nascita, la formazione, i primi anni caravaggeschi, la Cappella Razzanti, in G. S. 1594/1600-1630 e i precedenti romani (catal., Rancate), a cura di R. Contini - G. Papi, Lugano 1993, pp. 11-33; E. Fumagalli, Palazzo Borghese. Committenza e decorazione privata, Roma 1994, p. 98 nota 98; Fonti per la storia artistica romana al tempo di Paolo V, a cura di A.M. Corbo - M. Pomponi, Roma 1995, pp. 86, 93, 140, 178; M.C. Terzaghi, «Quasi tutti li pittori di Roma»: i Piemontesi, in Percorsi caravaggeschi tra Roma e Piemonte, a cura di G. Romano, Torino 1999, pp. 15-48 (in partic. pp. 22 s.); M. Lafranconi, L’Accademia di San Luca nel primo Seicento. Presenze artistiche e strategie culturali, tesi di dottorato, Università degli studi di Napoli Federico II, a.a. 1999-2000, pp. 112 s., n. 154; O. Besomi, Esercizio di lettura su una tela di G. S., in Storie di artisti. Storie di libri. L’Editore che inseguiva la Bellezza. Scritti in onore di Franco Cosimo Panini, Roma 2008, pp. 177-184; F. Nicolai, Mecenati a confronto. Committenza, collezionismo e mercato dell’arte nella Roma del primo Seicento. Le famiglie Massimo, Altemps, Naro e Colonna, Roma 2008, p. 266; F. Rambotti, «La musica è una mera opinione e di questa non si può dar certezza veruna». Antimo Liberati e il suo Diario sistino, con una riproduzione della lettera a Ovidio Persapegi, Perugia 2008, p. 47; M. Pomponi, Artisti a Roma nel primo trentennio del Seicento, in Alla ricerca di «Ghiongrat». Studi sui libri parrocchiali romani (1600-1630), a cura di R. Vodret, Roma 2011, pp. 107-187 (in partic. pp. 159, 186 nota 159); M. Pupillo, Tracce romane di Cristoforo Serodine, in Serodine e brezza caravaggesca sulla «Regione dei laghi» (catal., Rancate), a cura di R. Contini - L. Damiani Cabrini, con la collaborazione di S. Capelli, Cinisello Balsamo 2012, pp. 177-179; M.C. Terzaghi, Roma vista da Milano. Per una rilettura degli esordi dei pittori lombardi e piemontesi a Roma, in Roma al tempo di Caravaggio. 1600-1630. Saggi, a cura di R. Vodret, Milano 2012, pp. 189-207 (in partic. p. 200); G. Agosti - J. Stoppa, Serodine nel Ticino (catal., Rancate), Milano 2015 (con bibliografia precedente e una nuova campagna fotografica di Roberto Pellegrini); G. Renzi, Serodine, in The Burlington Magazine, 2015, vol. 157, n. 1350, pp. 651 s.; Le postille di Padre Resta alle Vite del Baglione. Omaggio a Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, a cura di B. Agosti - F. Grisolia - M.R. Pizzoni, Milano 2016, p. 57.