Sercambi, Giovanni
Scrittore (Lucca 1348 - ivi 1424), fu per i suoi tempi uomo di " buona istruzione ", " a giudicare dai titoli dei libri esistenti nella sua biblioteca " (Sinicropi).
Figura tipica d'intellettuale della cultura municipale, egli fu letterato (il più significativo scrittore in volgare di Lucca nel sec. XIV) e cittadino attivamente impegnato nella vita pubblica della sua città (dal 1372 sino agli ultimi anni della sua vita, ricoprì costantemente cariche pubbliche; tale continuità fu legata anche alla fortuna politica della fazione dei Guinigi, la famiglia di mercanti economicamente più forte di Lucca, che giunse alla signoria della città nel 1400 con l'aiuto dello stesso S., allora investito della carica di gonfaloniere di giustizia, e che mantenne poi per molti anni saldamente il potere).
Della sua attività di letterato ci restano: una raccolta di 155 Novelle; le Croniche di Lucca (che si occupano degli anni 1164-1423); la Nota ai Guinigi (simile a un opuscolo politico, con una serie di riflessioni e consigli per la gestione signorile del potere, ben articolata e significativa per quei tempi); e infine la trascrizione del commento del Lana al Paradiso di Dante.
Per le relazioni del S. con l'opera di D. vanno ricordate, oltre alla trascrizione del commento laneo al Paradiso, due novelle, che hanno per argomento due aneddoti sulla vita di D., e le varie citazioni dall'Inferno e dal Purgatorio che compaiono nelle Croniche.
Il commento al Paradiso, contenuto nel codice Laurenziano-Mediceo Palatino n. 74 della biblioteca Laurenziana, fu attribuito al S. nel sec. XVIII. L'attribuzione si fondava sul titolo e su di una sottoscrizione vergata sul verso dell'ultima carta del codice Laurenziano Mediceo Palatino 74, di 382 carte in ottimo stato, chiare nella scrittura e adorne di splendide miniature.
A.M. Bandini, nel suo catalogo dei manoscritti della biblioteca Laurenziana del 1795, così trascriveva l'inizio del titolo del codice: Tertia para Comoediae Dantis, scìlicet Paradisus, cum comentario Iobannia Cambii.
Lo stesso Bandini riportava la sottoscrizione del codice (affermando di averla tolta dall'Excursus Literarius di F.A. Zaccaria, del 1754), dove, in inizio, si legge: " La soprascritta expositione, chiose o vero postille, oe scripto io Ioanni Ser Cambi, secondo che a me minimo intendente pare che fusse lo intellecto dell'auctore ".
Sul Bandini si fondò poi C. Minutoli, che nel pubblicare nel 1855 Alcune novelle di G.S. che non si leggono nell'edizione veneziana, riportò sia il titolo che la sottoscrizione, confermando l'attribuzione del commento al S.; e dal Minutoli, a sua volta, copiò (senza citarlo) il Ferrazzi nel suo Manuale dantesco (1865-77).
Fu R. Renier, nella Prefazione alla sua edizione delle Novelle inedite di G.S. tratte dal codice Trivulziano CXCIII, del 1889, a confutare la vecchia attribuzione e a stabilire con l'aiuto di F. Novati che si trattava di " una copia ad litteram " del commento del Lana.
Nel 1965, ha confermato questa posizione G. Sinicropi (Di un commento al " Paradiso " erroneamente attribuito al S.) riassumendo i dati della questione e avanzando alcune ipotesi sui punti rimasti tuttavia incerti: per ciò che riguarda l'interpretazione da dare alla sottoscrizione del codice (sottoscrizione che erroneamente - lo ha sottolineato L. Rossi - il Sinicropi afferma essere ora introvabile), è possibile che il S. sia non già l'autore ma soltanto il copista (" oe scripto io ") del commento: supposizione già avanzata dal Bongi. Il codice potrebbe tra l'altro essere identificato col " Liber Dantis Aligherii, in membranis, cum cubertis ligneis vetere corio rubeo foderatis et cum claustris " citato negli atti della confisca dei beni del Guinigi avvenuta nel 1431. È inoltre circostanza di non trascurabile peso - la segnalò già il Novati - che la grafia del Laurenziano 74 è la medesima dei codici delle Croniche. Infine la presenza nelle Croniche di citazioni dall'Inferno e dal Purgatorio seguite da brani del commento del Lana (ma senza l'indicazione del nome) autorizza l'ipotesi dell'esistenza di altri due tomi del codice Laurenziano 74, accanto a quello rimastoci con il commento al Paradiso, contenenti il commento laneo delle altre due cantiche (va rilevato, a proposito delle citazioni del commento laneo nelle Croniche, la tendenza del S. a interventi riduttivi sul testo del Lana, almeno rispetto all'ediz. Scarabelli del 1856-67, e a integrazioni al testo con osservazioni funzionalizzate al suo discorso in quel preciso punto delle Croniche).
Le due novelle che si riferiscono a D. sono la LXXI e la LXXII della raccolta. Esse s'inseriscono nel filone dell'aneddotica che si venne formando sulla persona e la vita di D., a testimonianza della fama e della fortuna ‛ popolare ' del poeta fiorentino nella cultura municipale del sec. XIV. Anche nel Trecentonovelle del Sacchetti (v.) compaiono due novelle (CXIV-CXV) che prendono spunto da due episodi della vita di D.; ma è interessante notare che mentre il D. arguto e faceto del Sacchetti è visto ancora nella sua dimora fiorentina, gli aneddoti ripresi dal S. riguardano viceversa gli anni dell'esilio del poeta, quando cioè " non potendo stare in Firenze né in terra dove la Chiesa potesse, si riducea il preditto Dante alcuna volta con quelli della Scala et alcuna volta col signore di Mantova, e tutto il più col duga di Lucca, cioè con messer Castruccio Castracani ".
Entrambe le novelle narrano della presenza di D. alla corte di re Roberto d'Angiò di Napoli, e del modo con cui, con il suo comportamento e le sue parole, egli convinse il re che la " sua scienza " fosse " da più che non li era stato ditto " e la sua " vertù " fosse " più che altri non dicea ".
Nella prima novella, D., essendo stato invitato dal re Roberto, si reca a Napoli e si presenta a corte " vestito assai dozinalmente come soleano li poeti fare ". Giunta l'ora del pranzo, egli viene messo a sedere " in coda di taula ". Seccato di questa scortesia, mangia e se ne parte senza salutare. Il re lo fa raggiungere e richiamare. D. si presenta allora vestito " d'una bellissima robba " e questa volta gli viene assegnato un posto accanto al re. Al sopraggiungere del cibo e delle bevande, D., invece di gustarle, comincia a sfregarle " al petto e su per li panni ", tra la costernazione generale. Alla domanda del re, che chiede spiegazione di così sconcio comportamento, D. dà la sua risposta, con cui riesce a rintuzzare la scortesia precedentemente subita: " Santa corona, io cognosco che questo grande onore ch'è ora fatto, avete fatto a' panni; e pertanto io ho voluto che i panni godano le vivande apparecchiate ".
Nella seconda novella re Roberto, per " provare " come D. fosse " forte a sostenere le ingiurie ", si accorda con sei buffoni della sua corte, affinché, vestiti come comuni cortigiani, cerchino di cimentare la pazienza del poeta. Costoro, infatti, con l'aria di mettere in dubbio la saggezza di D., gli pongono sei quesiti.
D., intuendo che a organizzare tutto è stato il re, decide di " rispondere per figura " in modo tale da far ricadere " tutta la vergogna a dosso a' re ".
Le Croniche del S. sono cosparse di citazioni di versi e brani di prosa altrui (spesso senza il nome dell'autore) in chiave moraleggiante.
" Suoi fornitori di moralità sono principalmente la Divina Commedia, il Dittamondo, e le poesie di alcuni suoi contemporanei, specialmente di Niccolò Soldanieri, mediocre verseggiatore fiorentino, che mette spesso a contribuzione senza mai mentovarlo " (Bongi).
Le citazioni dantesche (solo dall'Inferno e dal Purgatorio) in relazione alle Croniche sono le seguenti: I 455 = Pg X 121-126; I 580 = If VII 1-96; I 595 = Pg III 37-39; I 601 e 722 = If II 88-90; I 601 e II 249 = If XXXI 55-57; II 361 = If I 49-51; II 362 = Pg XX 106-108; II 363 = Pg XX 101-111; II 364 = Pg XX 112; Il 365 = Pg XX 113-114; II 366 = Pg XX 115-117 e (insieme collegati in rima) If XXX 13-21.
Anche quest'uso di citare D. come auctoritas morale o brani della Commedia come exempla moraleggianti, non risulta insolito negli scrittori contemporanei al S., a testimonianza di una particolare concezione culturale del tempo volta ancora a funzionalizzare la fruizione della poesia alla prassi del presente, all'azione che essa potesse esercitare sul lettore e a testimonianza ancora una volta del nascere nel Trecento di un particolare tipo di fortuna ‛ popolare ' di D. (come autore proverbiale, sentenzioso, maestro di moralità), che in vario modo era destinata a sopravvivere sino ai nostri giorni, accanto all'altra più complessa vicenda della fortuna di D. nella tradizione dotta della nostra storia culturale.
Basti pensare, per fare solo qualche esempio, al Libro di varie storie di A. Pucci, ricchissimo di citazioni dal poema dantesco, o, caso ancora più significativo per noi, alla Cronica di G. Villani (XII 19 e 97; e inoltre parafrasi in prosa in VIII 39, XII 44 e 55, ecc.).
A riprova di quanto si è ora detto, va rilevato che le citazioni dantesche che il S. riporta risultano tratte da un testo notevolmente scorretto e sicuramente di diffusione secondaria, con varianti spurie o addirittura inesistenti nella tradizione manoscritta, e tali da far supporre o interventi e manipolazioni personali del S. sui versi danteschi con la stessa spregiudicatezza con cui, come si è già notato, rimaneggiava, senza citarne l'autore, il commento del Lana che faceva seguire ai versi, o l'esistenza di un testo dantesco a cui il S. attingeva, con varianti e ricuciture di tipo ‛ popolare ' quali sono quelle che compaiono nelle citazioni dantesche delle Croniche.
Solo qualche esempio: If VII 60 " parola non ci li pultro ", dove " pultro " (invece di appulcro) non solo non rima con pulcro del v. 58 ma non si accorda neanche con la tradizione manoscritta, in cui, al più, " i copisti, incerti del termine, si sono lasciati indurre a ripetere pulcro del v. 58 " (cfr. Petrocchi, ad l.); If XXXI 56 " Col mal volere s'accosta et à la possa ", che ha una forma completamente avversa alla tradizione manoscritta antica (s'aggiugne al mal voler e a la possa; cfr. Petrocchi, ad l.); Pg XX 109 " del folle Acor ", dove " Acor " (invece di Acan) pur presente " in buoni codici... è strano errore, posto che Achor è, nel racconto biblico seguito da D. (Ios. 7), il nome della valle dove venne lapidato Achan; l'errore può essere nato dall'assorbimento nel testo di una parte di Chiosa (che finisse proprio col ricordare Achor), e ha subito forse l'influsso del nome di un altro (benché assai più positivo) personaggio biblico: Achior " (Petrocchi, ad l.); ma più significativo è il caso di Pg X 121: il S., narrando di come i Fiorentini, preoccupati per la pressione politica del duca di Milano sulla Toscana, tentassero " con denari rimuovere e rompere li capitani che in Toschana erano ", e rivolgendosi in tono deprecatorio contro i cittadini delle " comunità d'Italia ", " si macti " che non si accorgono " dell'inganni di tali caporali ", così continua: " E puosi dire di voi Toschani quello che disse D., quine u' dice così: O ciechi Toschani miseri lassi, ecc. "; che è appunto il v. 121 di Pg X, ma che, in realtà, suona: O superbi cristian, miseri, lassi, senza rilevanti oscillazioni nella tradizione manoscritta e in un contesto di significato moraleggiante non relativo a fatti politici, ma attinente ai difetti del genere umano in generale; adattamento di D. da parte del S. agli scopi della sua narrazione o semplice ripresa di versi danteschi già utilizzati diversamente, con valore proverbiale, in un'area di diffusione culturale minore e ‛ popolare '?
Dubbi simili pone, infine, anche il caso dei versi citati in II 366 delle Croniche: il S., in continuazione a II 360, in cui tratta di " Come il vitio della avaritia regna per tucto Ytalia e maximamente in nella città di Luccha ", pone nei capitoli successivi una serie di ‛ esempi ', prendendo spunto da ciò che " di tale avaritia... scrive D. in più luoghi "; il " sexto esemplo " è introdotto da queste parole: " Seguitasi di Polinestor, come si contiene capitolo XXX dello Inferno in questo modo, cioè... "; tuttavia la prima terzina dei versi che seguono è di Pg XX 115-117 e solo le altre tre sono di If XXX 13-21; il commento laneo che segue rispetta i due diversi passi della Commedia (anche se con i soliti mutamenti funzionali al discorso in atto: Lana, ediz. Scarabelli: " Polidoro... ordinò ch'elli fosse morto, e lì rimanesse " - Croniche, ediz. Bongi: " ordinò il dicto Polinestor per avaritia che 'l dicto Polidoro fusse morto, perché quello avere li rimanesse "); ma ciò che va soprattutto notato è che la terzina del Purgatorio e la prima dell'Inferno citate, sono perfettamente legate nelle rime (crasso di Pg XX 116, rima con lasso e casso di If XXX 13 e 15); e allora: fu il S. (che tuttavia dichiara di citare solo da If XXX) a operare questa contaminazione o trovava già così diffuso l'accostamento di versi riguardanti personaggi di una stessa vicenda (Polinestore, Polidoro, Ecuba, Polissena) e facilmente concatenabili nelle rime?
L'interesse maggiore che presenta lo studio del rapporto di D. con l'opera del S. sta, dunque, soprattutto nella possibilità di rilevare la diffusa e acquisita presenza di D. anche nelle zone più dimesse della cultura municipale del Trecento, come figura ‛ esemplare ' di uomo e di letterato nelle sue azioni e nei suoi detti, come maestro di saggezza e virtù nelle sue opere, ‛ autorità ' morale da citare accanto ai grandi del passato e alla pari con essi nelle varie circostanze del vivere quotidiano, e nella possibilità di rilevare la funzione ancora operante nella prassi concreta del presente che in quella cultura continuava a essere attribuita all'esperienza culturale e poetica nei suoi rapporti con il sociale, al di là di ogni preoccupazione filologica ed erudita.
Bibl. - Per la bibliografia completa sul S. si rimanda alla sezione Studi dedicati al S., in G.S., Novelle, a c. di G. Sinicropi, Bari 1972, II 791-794. Indispensabili, anche per misurare il discutibile esito dell'edizione del Sinicropi, sono gli studi di L. Rossi: Per il testo del Novelliere di G.S., in " Cultura Neolatina " XXVIII (1968) 16-63, 165-220; S. e Boccaccio, in " Studi sul Boccaccio " VI (1971) 145-177; e la sua recensione all'ediz. Sinicropi in " Cultura Neolatina " XXXII (1972) 168-179. Studi: F.A. Zaccaria, Excursus Literarius per Italiam ab anno MDCCXLII ad a. MDCCLII, I, Venezia 1754, 215; A.M. Bandini, Bibliotheca Leopoldina Laurentiana seu Catalogus Manoscriptorum qui nuper in Laurentianam translati sunt, XI, suppl. III, Firenze 1795, 125-126; C. Minutoli, Alcune novelle di G.S. che non si leggono nell'edizione veneziana colla vita dell'autore, Lucca 1855, XXIV-XXV; J. Ferrazzi, Manuale dantesco, Bassano 1865-77; A. Medin, Poesie politiche nella cronaca del S., in " Giorn. stor. " IV (1884) 398-414; R. Renier, Prefazione a Novelle inedite di G.S., Torino 1889, XXXIV-XXXIX; G.S., Le Croniche, a c. di S. Bongi, Lucca 1892 (cfr. Prefazione, pp. XVI-XVII e XXII); G. Sinicropi, Di un commento al " Paradiso " erroneamente attribuito a S., in " Italica " XLII (1965) 132-134.