SEMERIA, Giovanni
– Nacque a Coldirodi (Sanremo) il 26 settembre 1867 da Giovanni, commissario del regio esercito, e da Carolina Bernardi; orfano di padre (morto di colera a Brescia prima della nascita), crebbe a Torino.
Dall’ottobre del 1877 frequentò il collegio Girolamo Vida dei gesuiti a Cremona; dopo aver conseguito la licenza ginnasiale, entrò nel novembre del 1881 nel reale collegio Carlo Alberto di Moncalieri gestito dai barnabiti e, dall’agosto 1882, nel noviziato dei chierici regolari di S. Paolo a Monza.
Pronunciati il 22 ottobre dell’anno seguente i voti religiosi, si trasferì a Roma, dove riprese gli studi nel seminario romano, allora presso la sede adiacente la basilica di S. Apollinare, e ottenne la licenza liceale presso il regio liceo Umberto I nel luglio del 1885. Il contatto con l’ambiente romano si rivelò decisivo per la sua maturazione intellettuale: studente di teologia presso lo studentato dell’Ordine, a Propaganda Fide e nella facoltà di lettere della Sapienza, ottenne la laurea nel 1893, seguita da una seconda laurea in filosofia nel 1897, presso l’Università degli studi di Torino. Il ‘ritorno’ a Torino del 1897 non deve far dimenticare gli incontri romani che formarono la personalità di Semeria nel decennio che separa la seconda laurea dalla professione solenne del 2 febbraio 1887. A Roma, egli ascoltò Giovanni Battista De Rossi, che lo iniziò all’archeologia cristiana attraverso una serie di conferenze tenute presso la casa dei barnabiti.
Dopo la sua ordinazione sacerdotale, il 5 aprile 1890, frequentò la casa di Giulio Salvadori, dove si tenevano le riunioni del circolo di studi San Sebastiano; divenne socio e consigliere della società per gli studi biblici e tenne una serie di conferenze pubbliche sui Vangeli. Affiancata all’attività di insegnante (allora nello studentato dell’Ordine), quella di conferenziere fu per il religioso barnabita una vocazione sempre fortissima, rafforzata dal risveglio culturale che, nell’ultimo quindicennio del XIX secolo, sembrò attraversare la Roma di Leone XIII. Vi operavano personalità di rilievo come i già menzionati De Rossi e Salvadori, precedute da uomini come il confratello Luigi Bruzza (morto nel 1883), epigrafista e archeologo, amico di De Rossi e benevolo consultore dell’Indice. Ma, come ha ricordato Annibale Zambarbieri (1998), non va dimenticato che la forza della formazione romana di Semeria sta anche nella sua predisposizione a osservare «visuali filosofiche e ideologiche dissimmetriche, se non alternative, rispetto a quelle cattoliche, come ad esempio l’indirizzo marxista di Antonio Labriola» (p. 10). A Labriola va accostato almeno, dal 1894, il barone Friedrich von Hügel: del primo Semeria seguì le lezioni all’università; con il secondo ebbe conversazioni ripetute, che lo segnarono in profondità.
Il trasferimento a Genova, nel settembre del 1895, fu il banco di prova di quanto appreso e meditato negli anni romani. Il ritorno in Liguria come vicerettore e docente dell’istituto Vittorino da Feltre ne rafforzò la vocazione pedagogica, ma non a scapito della sua attività di filantropo e predicatore. Lasciando esperienze come quelle romane di S. Lorenzo al Verano e di S. Carlo ai Catinari, egli allargò il suo campo d’azione, muovendo da Genova (dove cominciò a tenere seguitissime omelie in occasione dell’avvento), tornando a Roma (celebre il suo quaresimale del 1897, in S. Lorenzo in Damaso, alla presenza della regina Margherita) e ancora a Genova (dove inaugurò nello stesso anno l’esperienza della scuola superiore di religione, insieme al confratello Alessandro Ghignoni).
Spesso raccolti in volume e pubblicati, quaresimali, omelie e conferenze non esauriscono l’attività del religioso barnabita: se l’incontro con il barone von Hügel fu significativo per gli anni formativi di Semeria, il viaggio a Jasnaja Poljana per avvicinare Lev Tolstoj lo fu per quelli della maturità. Il breve dialogo si tenne il 29 luglio 1903. Accompagnato da Salvatore Minocchi, egli si intrattenne poco tempo con l’autore di Guerra e pace e ne scrisse, in forma anonima, sul quotidiano Il cittadino di Genova. Le conseguenze di tale incontro furono profonde. Da una parte, Semeria cominciò a servirsi in maniera sempre più massiccia di pseudonimi e a tenere appunti autobiografici, dall’altra, egli entrò nel campo visivo degli intransigenti, che criticarono duramente gli scopi del suo pellegrinaggio – Peregrinus fu il nome adottato il 10 agosto per l’articolo del Cittadino – giunto fino in Russia.
La stesura, nel settembre 1904, su invito di monsignor Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, di un memoriale intorno al Non expedit inoltrato a Pio X, contribuì a scavare un solco ancora più profondo tra Giovanni Semeria e il vario intransigentismo che si apprestava a fare da cassa di risonanza all’enciclica Pascendi dominici gregis di papa Sarto, diffusa nel settembre del 1907. Nell’ottobre dello stesso anno, l’arcivescovo di Genova Edoardo Pulciano non partecipò all’inaugurazione del nuovo anno accademico della scuola superiore di religione. Gli spazi per predicare e pubblicare si restrinsero sempre di più e cessarono anche, nel 1908, le lezioni semeriane alla scuola. Gli anni più duri dell’antimodernismo culminarono con la sua destinazione a una sede fuori d’Italia.
Sul modernismo di Semeria ha scritto quasi cinquant’anni fa pagine nette Émile Poulat. Studioso, tra l’altro, di esegesi e di origini cristiane, il barnabita non poteva non incorrere nei sospetti che, dopo la relativa apertura di Leone XIII, attraversarono il pontificato di papa Sarto. Il 24 novembre 1910 egli ricevette una lettera autografa di Pio X con l’autorizzazione a prestare il giuramento antimodernista «con delle riserve», non ultima la possibilità di utilizzare pseudonimi e di essere sottoposto al controllo di padre Agostino Gemelli, a garanzia di ortodossia, intesa come «una dimensione della disciplina» (Poulat, 1969, p. 173). Nel settembre del 1912 egli fu dunque inviato da Genova, via Torino, a Bruxelles, presso il santuario di Gesù Bambino. L’anno seguente si recò in Palestina, a Gerusalemme (dove incontrò padre Marie-Joseph Lagrange), poi al Cairo e ad Atene. Lo scoppio della prima guerra mondiale lo colse in Svizzera. Risiedendo a Ginevra e insegnando Dante per un breve periodo all’Università di Losanna, Semeria preparò il suo ritorno in Italia. Il 13 giugno 1915, chiamato dal generale Luigi Cadorna, raggiunse Udine da cappellano del comando supremo dell’esercito. Il febbrile attivismo dispiegato lo portò, già in dicembre, a un crollo nervoso; da qui la scelta di tornare a Ginevra per curarsi, indirizzando ora la propria azione non più solo verso i soldati mobilitati, bensì anche verso gli orfani. A settembre ritornò a Udine, dove strinse un sodalizio con don Giovanni Minozzi, animatore delle bibliotechine da campo e delle case del soldato. Passato, dopo Caporetto, alle dipendenze dell’ordinario militare monsignor Angelo Bartolomasi, a Bologna, Semeria si trovò a continuare la sua opera di predicazione e assistenza ai soldati.
Al primissimo dopoguerra risale l’interesse del religioso barnabita per la questione meridionale, mediato dalla preoccupazione per gli orfani dei soldati inviati a combattere e a morire sulle frontiere settentrionali del Paese. Nel 1921 l’Opera nazionale per il Mezzogiorno d’Italia fu eretta a ente morale: padre Semeria vi assunse subito, affiancato da Minozzi, un ruolo centrale. Alla fine del decennio, nell’anno della conciliazione (di cui fu apologeta entusiasta), egli poté tornare a predicare in S. Carlo ai Catinari, a Roma.
Nel momento in cui egli poté tornare a predicare, il suo punto di vista sul nuovo regime aveva già subito significative evoluzioni, come dimostra il manoscritto Fascismo e cattolicesimo, steso forse nel 1924. Vi trova posto la convinzione che l’«anima del fascismo» coincida con «l’idea nazionale o patriottica»; «empiricamente», il fascismo fu «veemenza di manganello», nata dalla guerra come il bolscevismo. Ma a differenza di quest’ultimo, esso fu «in massima propizio [alla religione] e invocò, senza vergogna, il nome di Dio, e andò a Messa, almeno per le commemorazioni patriottiche, e volle la benedizione del sacerdote sulla bandiera italiana e sui suoi gagliardetti, e rimise il Crocifisso nelle scuole, e scomunicò la Massoneria anticlericale e l’anticlericalismo massonico». Anche per questo, da parte cattolica, vi fu un movimento «vario, ma insomma concorde di altrettanta simpatia verso il fascismo. Nessuna sconfessione ufficiale, molta simpatia nei circoli non ufficiali; qualche sonora rumorosa manifestazione benevola. Inutile precisare: i fatti sono ancora nel ricordo di tutti» (Lovison, 2010, pp. 283 s.).
Ormai ultrasessantenne, costantemente impegnato e consumato nell’opera di predicatore, conferenziere e filantropo, morì il 15 marzo 1931 in uno dei suoi orfanotrofi, a Sparanise, presso Caserta.
Cinque anni dopo, nel 1936, il trentunesimo volume dell’Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti conteneva un suo breve profilo, affidato a don Giuseppe De Luca, concluso da una sentenza secca: «Oratore sacro che sapeva soggiogare qualsiasi uditorio lo ascoltasse, il Semeria per un certo tempo prese parte attiva anche al movimento d’idee religiose, che poi abbandonò per darsi interamente all’apostolato». Il movimento d’idee religiose era il modernismo, di cui, come visto, il religioso barnabita «fu acremente sospettato e accusato di parteciparvi» (p. 344); insieme al fascismo, esso rappresenta uno dei due nodi della vita di Giovanni Semeria; nodi difficili, finalmente da sciogliere, che non cancellano il giudizio più penetrante sul ruolo avuto dal barnabita nella cultura italiana, formulato da Luigi Salvatorelli fin dal 1914: «Audace pioniere di tali studi nel mondo cattolico, aveva intrapreso una storia del cristianesimo che, nei limiti imposti dalla natura elementare dell’opera e dalla troppo necessaria prudenza, costituiva un contributo efficacissimo al progresso della cultura italiana, specialmente del clero» (p. 264).
Fonti e Bibl.: Le carte di Semeria sono custodite a Roma nell’Archivio storico dei barnabiti. L’ampiezza e la varietà della produzione semeriana suggeriscono di non procedere a un mero elenco; basti il rinvio ai due repertori più completi per lo studio delle opere e della figura del religioso barnabita: note biografiche e bibliografia di V. Colciago al secondo volume di G. Semeria, Saggi... clandestini, a cura di C. Argenta, II, Alba 1967, pp. 377-500, e A.M. Gentili, Padre G. S. nel 75° della morte, in Barnabiti studi, XXIII (2006), pp. 291-377. Con le rilevanti eccezioni di L. Salvatorelli, Saggi di storia e politica religiosa, Città di Castello 1914, e di G. De Luca, S. G., in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, XXXI, Roma 1936, p. 344, la stagione critica per gli studi semeriani comincia con il centenario della nascita, dopo la comparsa dei Saggi... clandestini: É. Poulat, recensione a G. Semeria, Saggi... clandestini, in Rivista di storia e letteratura religiosa, 1969, n. 5, pp. 172-174; A. Zambarbieri - A.M. Gentili, Il caso Semeria (1900-1919), in Centro studi per la storia del modernismo. Fonti e documenti, 1975, n. 4, pp. 54-527; S. Pagano, Il “caso Semeria” nei documenti dell’Archivio Segreto Vaticano, in Barnabiti studi, VI (1989), pp. 7-175; G. Zorzi, Auf der Suche nach der verlorenen Katholizität. Die Briefe Friedrich von Hügels an Giovanni Semeria, I-II, Mainz 1991; A. Zambarbieri, Semeria a Milano: influssi, amicizie, echi, in Barnabiti studi, XV (1998), pp. 7-72; G. Semeria, Anni terribili. Memorie di un “modernista” ortodosso (1903-1913), a cura di A. Zambarbieri - A.M. Gentili, Cinisello Balsamo 2008; F. Lovison, Dal “biennio rosso” all’avvento del fascismo. Appunti inediti di padre G. S., in Barnabiti studi, XXVII (2010), pp. 261-288.