SEGALA, Giovanni
– Primo di nove fratelli, nacque a Venezia nella parrocchia di S. Maria Nuova il 3 giugno 1662 da Antonio, di professione sarto, e da Meneghina Padovani (Vielli, 1998, p. 176).
I documenti finora emersi smentiscono l’origine muranese della famiglia, sostenuta da Giannantonio Moschini (1806) e ribadita in seguito nella storiografia. Nel periodo compreso tra il 1685 e il 1713 egli compare negli elenchi della fraglia dei pittori veneziani, alla quale contribuì con una tassa modesta, senza peraltro rivestire cariche ufficiali al suo interno (Favaro, 1975, passim).
Il critico veneziano Anton Maria Zanetti, che lo considerava «uno de’ genii più forti in pittura dell’età sua», riferisce di un alunnato presso Pietro Della Vecchia, che abitava nella stessa contrada (1771, p. 414). Ammessa l’attendibilità della notizia, è stato comunque riscontrato che la lezione di Della Vecchia, morto quando Segala aveva sedici anni, sembra marginale nella formazione dell’allievo. Lo dimostrano le sue primizie, risalenti al nono decennio del secolo, come ad esempio il Cristo che risana il cieco e il Cristo e la Samaritana nella chiesa di S. Pantalon a Venezia, dove all’intonazione tenebrosa della generazione precedente si predilige un chiarismo più affine a Giovanni Antonio Fumiani (Pallucchini, 1981, p. 381). Stesso discorso per il Cristo davanti a Caifa, pervenuto alle Gallerie dell’Accademia dal convento lagunare di S. Salvatore con un’attribuzione a Gregorio Lazzarini (Gallerie dell’Accademia, 1970, p. 105).
Alla fine degli anni Ottanta Segala raggiunse fama e prestigio sulla scena artistica, non solo a Venezia, al punto da essere ingaggiato dai marchesi von Platen per la decorazione del castello di Linden ad Hannover (von Rohr, 1978). Per l’occasione ideò un soffitto raffigurante Borea rapisce Lucrezia che, dopo la distruzione dell’edificio, fu smembrato in tre frammenti per essere esposto all’Historisches Museum di Hannover, dove pure si conserva una sua tela firmata con Ercole e Onfale.
Come attesta un inventario del 1692, entro questa data Segala consegnò un telero da soffitto alla Scuola di S. Teodoro con la Ss. Trinità e la Vergine in gloria (Gallo, 1961-1962, p. 483). In quella stessa congiuntura si scalano alcuni notevoli dipinti di soggetto religioso come la pala, assai lodata da Zanetti, con i Ss. Cecilia e Lorenzo Giustiniani, tutt’oggi nella chiesa di S. Martino a Venezia, la Guarigione dell’ossesso per la Scuola di S. Fantin (ora sede dell’Ateneo veneto) e il Cristo deposto compianto da due angeli, giunto alle Gallerie dell’Accademia dal monastero di S. Andrea della Certosa (Gallerie dell’Accademia..., 1970, p. 105).
Lacunosi e dal soggetto quasi indecifrabile sono invece gli affreschi di Segala riscoperti recentemente in palazzo Savorgnan a S. Geremia, che il solito Zanetti aveva definito «un gran saggio del suo pennello» (1733, p. 57), e nei quali l’artista dimostra in effetti buone doti di frescante (Craievich, 2011, p. 46).
Da un documento datato 1697 si evince che egli viveva nella contrada di San Canciano con la madre e cinque fratelli, condividendo la casa con il pittore Andrea Celesti (Vielli, 1998, p. 176). La familiarità con il collega veneziano spiega forse il motivo per cui l’anno prima, nel 1696, Segala consegnò ai carmelitani di S. Pietro in Oliveto di Brescia una lunetta con il Transito di s. Teresa d’Avila per un ciclo cui aveva partecipato lo stesso Celesti (Begni Redona, 1981). Sullo scorcio del secolo si dovrebbero situare anche il Giudizio di Paride e le Tre virtù teologali che, insieme a quattro tele di Niccolò Bambini, decorano il portego di palazzo Barbaro-Curtis a Venezia (Aikema, 1987). Le opere di questo periodo mostrano un classicismo di marca bolognese che ricorda quello di Lazzarini, benché dotate di un vigore compositivo e di una stesura più sciolta e semplificata (Ruggeri, 1991, p. 243).
Nel 1700 Vincenzo Maria Coronelli, cartografo ed enciclopedista veneziano, riconobbe i meriti di Segala citandolo tra gli specialisti della pittura di storia (1700, p. 15). Del tutto occasionale è l’impegno dell’artista in ambito incisorio, che annovera l’antiporta calcografica per il trattato di numismatica di Lorenzo Patarol, licenziato a Venezia dai torchi di Antonio Bartoli con il titolo di Series Augustorum, Augustarum, Caesarum et tyrannorum omnium (1702).
Per tornare al versante pittorico, entro il 1702 si datano due tele con il Transito di s. Giuseppe e S. Giovanni Evangelista donate alla parrocchia di Dossena (Bergamo) da un notabile del luogo, tale Giovanni Battista Astori, che si fece ritrarre insieme al figlio nel secondo quadro (Olivari - Stradiotti, 1987). Tra gli esiti più eclatanti della carriera di Segala è il dipinto che rappresenta la Morte di s. Lorenzo Giustiniani per la chiesa di S. Pietro di Castello, «sia per la verità con la quale inscena [...] la morte del Patriarca, sia per i mezzi linguistici d’una ricchezza pittorica pastosa, che tien conto del rapporto con l’ambiente» (Pallucchini, 1981, p. 382). Un altro importante lavoro di Segala è senza dubbio il telero da soffitto della chiesa di S. Canciano, raffigurante S. Massimo in gloria, che fu terminato a stretto giro di tempo, così come la Gloria di s. Filippo Neri, opera identificata da Ugo Ruggeri nella chiesa di S. Martino di Castello (1991, p. 247).
Nel 1704, su commissione del collezionista lucchese Stefano Conti, Segala dipinse l’episodio di Sansone e Dalila che si trova nella villa Bernardini a Vicopelago (Lucca), dove giunse per via ereditaria (Betti, 2003, p. 119). All’ultima fase della sua carriera, verosimilmente dopo il 1710, appartiene la tela con la Benedizione di Isacco, già nella celebre collezione del maresciallo von Schulemburg (Binion, 1990, p. 58).
Segala morì il 16 ottobre 1717, affetto da febbre e mal di petto, come recitano i registri parrocchiali di S. Canciano a Venezia, presso cui risiedeva (Vielli, 1998, p. 177).
Le importanti commissioni in cui egli fu impegnato e il favore dimostrato da mecenati e collezionisti stridono con le difficoltà economiche che dovette fronteggiare per sostenere la famiglia dopo la morte del padre Antonio. Dal testamento del pittore, dettato pochi giorni prima di morire, traspare infatti una situazione precaria: gravato dalla miseria e dai debiti, egli dispose dei pochi beni che gli rimanevano destinandoli alla sorella Caterina (pp. 176 s.). Questo documento rivela inoltre un rapporto stretto con la famiglia Widmann e, in particolare, con Pietro Retano, erede della loro impresa commerciale. Erano stati proprio i Widmann, del resto, a commissionargli quattro tele di grande formato raffiguranti la Cacciata dei mercanti dal Tempio, la Resurrezione di Lazzaro, la Guarigione dell’ossesso e Cristo e l’adultera per la cappella di famiglia nella chiesa di S. Margherita a Villach (Austria), oggi custoditi nella vicina chiesa di S. Giacomo (Aikema, 2012).
Apprezzata dai contemporanei, Zanetti in testa, la pittura di Segala godette in seguito di una scarsa fortuna critica, gradualmente risarcita nel secondo Novecento, grazie soprattutto a Nicola Ivanoff e Rodolfo Pallucchini, che riportarono il pittore al livello che gli compete. Maturato a contatto con Bambini, Antonio Bellucci, Lazzarini e Antonio Molinari, da cui si distinse per estro creativo e una tavolozza più luminosa, Segala segnò infatti un momento chiave nella fase di passaggio della pittura veneta dal Sei al Settecento (Pallucchini, 1981, p. 384). In particolare, svincolandosi dalla dominante corrente tenebrosa, egli aprì la strada al nuovo stile chiarista che avrebbe caratterizzato tutto il secolo successivo, da Giambattista Tiepolo ai Guardi.
Fonti e Bibl.: V.M. Coronelli, Guida de’ forestieri sacro-profana..., Venezia 1700, p. 15; N. Melchiori, Notizie di pittori e altri scritti (1720), a cura di G.P. Bordignon Favero, Venezia-Roma 1968, p. 128; A.M. Zanetti, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia, Venezia 1733, passim; Id., Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de’ veneziani maestri, Venezia 1771, pp. 414-416; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, II, 1, Bassano 1795-1796, pp. 203 s.; G. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino a’ nostri giorni, III, Venezia 1806, p. 62; R. Gallo, La Scuola Grande di San Teodoro di Venezia, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXX (1961-1962), pp. 461-495; C. Donzelli - G.M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze, 1967, pp. 372-374; Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte dei secoli XVII, XVIII, XIX, a cura di S. Moschini Marconi, Roma 1970, pp. 104 s.; E. Favaro, L’arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, passim; C. Grigoletto, G. S., tesi di laurea, Università di Padova, a.a. 1976-77; A. von Rohr, Zu den barocken Wand- und Deckengemälden aus dem Schloß in Linden bei Hannover, in Niederdt. Beiträge zur Kunstgeschichte, XVII (1978), pp. 133-162; P.V. Begni Redona, G. S., in Brescia pittorica 1700-1760. L’immagine del sacro (catal.), a cura di B. Passamani, Brescia 1981, pp. 41 s.; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, I, Milano 1981, pp. 381-384; E. Martini, La pittura del Settecento veneto, Udine 1982, p. 464; B. Aikema, Le decorazioni di Palazzo Barbaro-Curtis a Venezia fino a metà del Settecento, in Arte veneta, XLI (1987), pp. 147-153; M. Olivari - R. Stradiotti, Presenze venete e bresciane, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Seicento, IV, Bergamo 1987, p. 241; A. Binion, La Galleria scomparsa del maresciallo von der Schulenburg. Un mecenate nella Venezia del Settecento, Milano 1990, pp. 58, 204; M. Carminati, S. G., in La Pittura in Italia. Il Settecento, a cura di G. Briganti, II, Milano 1990, p. 867; U. Ruggeri, Nuove opere di G. S. e una proposta per il giovane Tiepolo, in Studi di storia dell’arte, 1991, n. 2, pp. 243-262; M.G. Vielli, Nuovi documenti per G. S., in Arte veneta, LIII (1998), pp. 176-179; F. Valcanover, Non Paolo Veronese, ma G. S., in Lezioni di metodo. Studi in onore di Lionello Puppi, a cura di L. Olivato - G. Barbieri, Vicenza 2002, pp. 221-227; P. Betti, Nuovi ritrovamenti per la Galleria Conti di Lucca, in Arte veneta, LX (2003), pp. 113-129; A. Craievich, Alcune opere di G. S. in Istria e altre notizie sull’artista, in Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria, n.s., LII (2004), pp. 233-250; V. Bralić, Dvije slike Giovannija Segale u Rovinju in Umjetnički dodiri dviju jadranskih obala u 17. i 18. stoljeću uredil: Vladimir Marković i Ivana Prijatelj-Pavičić. Atti del Convegno... 2003, a cura di V. Marković - I. Prijatelj-Pavičić, Split 2007, pp. 203-213; A. Pasian, “Se non perfetti, originali certamente”: contributi per l’arte veneta da Lazzarini a Bortoloni, in Arte in Friuli. Arte a Trieste, 2009, vol. 28, pp. 47-78 (in partic. pp. 53-55); A. Craievich, G. S. a Ca’ Savorgnan, ibid., 2010, vol. 29, pp. 45-52; F. Pedrocco, Un soffitto di G. S. a Ca’ Rezzonico, in Bollettino dei Musei civici veneziani, s. 3, V (2010), pp. 66 s.; B. Aikema, G. S., la committenza dei Widmann e il rinnovamento della pittura veneziana ai tempi di Sebastiano Ricci, in Sebastiano Ricci 1659-1734. Atti del Convegno... 2009, a cura di G. Pavanello, Verona 2012, pp. 395-404.