SECCO SUARDO, Giovanni
– Nacque a Lurano, nei pressi di Bergamo, il 23 agosto 1798, da Girolamo e da Anna Maria Caterina Guzzan (Lurano, Archivio Secco Suardo [ASSL], Inventario, Serie I, n. 290). Fu secondogenito di tre fratelli, di cui il maggiore, Bartolomeo, fu uno dei più apprezzati poeti bergamaschi dell’epoca, e il minore, Giulio, intraprese la carriera di magistrato. Discendeva da un’antica famiglia bergamasca il cui capostipite, Lazaro Suardo, nel 1037 fu insignito, assieme al fratello Lanfranco, della carica di giudice del Sacro Palazzo di legge longobarda. Nel 1337 Ludovico il Bavaro concesse alla stirpe il titolo comitale.
Il ramo Secco Suardo ebbe origine nella prima metà del Cinquecento, quando Socino Secco, non avendo avuto figli maschi, donò il proprio patrimonio, compresa la tenuta di Lurano, al primogenito della figlia Maria, Marco, disponendo che la sua discendenza aggiungesse al cognome del padre Ludovico, Suardo, il cognome Secco. La famiglia Secco Suardo fu connotata da uno spiccato interesse umanistico e da uno stretto legame con la città di Bergamo, tanto che molti esponenti ricoprirono cariche di rilievo nella vita cittadina. La sorella di Girolamo, zia di Giovanni Secco Suardo, fu la poetessa Paolina Secco Suardo Grismondi, nota con lo pseudonimo di Lesbia Cidonia. Il fratello di Giovanni, Bartolomeo, fu autore, tra il 1844 e il 1865, del catalogo dei manoscritti della Biblioteca civica Angelo Mai.
Appassionato di pittura fin dall’infanzia, fu indirizzato dal padre agli studi giuridici e si laureò con una tesi dedicata allo studio delle leggi relative alla stampa a partire dal 1464 e fino alla contemporaneità (ASSL, Censimento, 1.2-54b). Nel gennaio del 1820 sposò Maria Teresa Caterina Ragazzoni (ASSL, Inventario, Serie I, n. 365), discendente di un’agiata famiglia bergamasca. Dal matrimonio nacquero sette figli: Gerolamo; Giulio Cesare, che fu presidente della Corte di Cassazione di Torino e continuò la vocazione umanistica della famiglia come primo traduttore di Heinrich Heine; Federico Giuseppe; Alessandro; Teresa; Anna Maria Virginia e Barbara Paolina.
Nel gennaio del 1831, avendo ricevuto la nomina a deputato della città di Bergamo presso la congregazione Centrale del capoluogo lombardo, Giovanni si trasferì con la famiglia a Milano.
Fin dagli anni giovanili era entrato in contatto a Lurano con l’ambiente artistico bergamasco, frequentando assiduamente i colti conoscitori che si incontravano all’Accademia Carrara: Guglielmo Lochis, Carlo Marenzi, Giovanni Brentani, Paolo Vimercati Sozzi, Pietro Moroni, Paolo Gagliardi. Il periodo del soggiorno milanese – dal 1831 al 1860 – fu occasione per inserirsi nella cerchia dei collezionisti, degli artisti e dei restauratori che si raccoglievano attorno all’Accademia di Brera e alla Pinacoteca Ambrosiana. Stabilì allora un importante legame con Giovanni Morelli, cui lo unirono amicizia e comunità di interessi che durarono una vita. Intessé rapporti con il pittore Giuseppe Bertini, con i restauratori Giuseppe Molteni e Alessandro Brisson, le cui botteghe erano all’epoca luoghi di incontro rinomati nel mondo del mercato e del collezionismo, e con il restauratore Luigi Cavenaghi; a Bergamo con Bartolo e Giuseppe Fumagalli, a Brescia con Bernardo Gallizioli e a Bologna con Giuseppe Guizzardi. Il lungo periodo milanese fu intervallato da brevi soggiorni di studio a Roma, Venezia, Firenze, occasioni per entrare in contatto con altre figure di spicco della cultura del collezionismo, dell’antiquaria e del restauro, quali Ulisse Forni e Gaetano Bianchi. Intrattenne rapporti epistolari con Paul Kiewert, Maximilian Pettenkofer, Karl Vogt (Giannini, 2006, p. 45).
Al periodo compreso tra il 1844 e il 1850 risale il viaggio in Germania – documentato da un taccuino di viaggio mutilo – durante il quale visitò Dresda, Lipsia, Berlino, Monaco e Vienna (Secco Suardo, 1995). La sua attenzione fu rivolta ad aspetti della vita e della forma delle città, ad alcune architetture, ma più di ogni altra cosa lo interessarono gli allestimenti museali, i restauri e lo stato di conservazione delle opere pittoriche esposte, temi sui quali espresse posizioni decise e originali per l’epoca, quali, ad esempio, la critica al criterio ordinativo delle pinacoteche per scuole pittoriche. Propose una visione dei musei come luoghi destinati ad accompagnare il visitatore offrendo informazioni sulle opere, auspicò che venissero indicati, oltre al nome presunto dell’autore, estremi cronologici e topografici, e suggerì accostamenti basati sul criterio dell’analogia stilistica anziché della provenienza geografica (Giovanni Secco Suardo. Fonti, strumenti..., 1995).
Frequentando la Biblioteca Ambrosiana e la biblioteca privata di Girolamo d’Adda – politico, letterato, collezionista e bibliofilo, personalità di spicco della città lombarda – studiò stili e tecniche esecutive, materiali costitutivi e aspetti conservativi e di restauro, e approfondì la letteratura artistica a lui contemporanea – il Traité complet de la peinture di Jacques-Nicolas Paillot de Montabert (1829-1851), i testi di Charles Eastlake e Mary P. Merrifield sulle tecniche pittoriche, gli scritti di Horsin Déon sulle tecniche di restauro (1851) – con impostazione filologica e costante attenzione all’analisi e alla comparazione con le fonti, da Vasari a Milizia, a Selvatico, da Teofilo a Plinio, fino al Libro di Cennino Cennini. Primo risultato fu, nel 1858, la pubblicazione del volume Sulla scoperta e introduzione in Italia dell’odierno sistema di dipingere a olio, dedicato a d’Adda.
Allo studio affiancò, alla metà del secolo, la creazione di un laboratorio in cui eseguiva sperimentazioni di nuovi metodi e materiali per il restauro dei dipinti, l’invecchiamento, la verniciatura, e mise a punto la tecnica dello ‘strappo’ per trasportare le opere in stato di degrado su un nuovo supporto.
Numerosi incarichi di direzione o esecuzione di restauri gli vennero affidati da committenze pubbliche e private. Fra essi, nel 1857, il trasporto del S. Pietro in trono con i ss. Giovanni, Battista e Paolo, dipinto su tavola di Cima da Conegliano – già trasferito su tela, ma il cui stato di conservazione era considerato insoddisfacente –, fu premiato nel 1863 con medaglia d’argento al concorso bandito dal Regio Istituto lombardo di Scienze, lettere ed arti, che promuoveva l’introduzione in Italia di una nuova industria. Su commissione dell’Accademia Carrara di Bergamo, nel 1863 Secco Suardo realizzò il trasporto della Madonna con Bambino di Antonio Maria da Carpi, poi inviata all’Esposizione universale di Parigi del 1867 dove fu messa in mostra nella sezione dedicata alle Arti industriali, essendo considerata un intervento tecnico da una cultura che distingueva nel restauro l’aspetto tecnico da quello artistico. La battaglia che Secco Suardo condusse a favore del salvataggio dei dipinti di Giovan Battista Castello a Gorlago (Giannini, 2006, p. 79) mette in evidenza la valenza civica del suo interesse verso il restauro e un impegno fortemente concentrato a garantire la sopravvivenza di opere cui riconosceva un valore storico, documentario, identitario.
Quando, intorno al 1860 (Giannini, 1986, p. 71), Secco Suardo eseguì con successo lo strappo del dipinto Salvataggio di una fanciulla dal pozzo (XVI secolo) del Maestro dell’Adorazione dei Magi, attirò l’attenzione di Alessandro Brisson, scaltro mercante e restauratore di fiducia di Guglielmo Lochis, che gli propose di creare una società. Il sodalizio ebbe però vita breve.
La distanza d’intenti tra il mercante restauratore e il nobile bergamasco si palesò quando Secco Suardo espresse la volontà di realizzare per il ministero della Pubblica Istruzione un corso rivolto ai restauratori, in cui rendere pubbliche le sue scoperte sul trasporto dei dipinti su nuovo supporto. Per Brisson l’atteggiamento del conte bergamasco, ormai divenuto un consumato restauratore, edotto anche sugli aspetti più spregiudicati del mercato d’arte, rompeva il tacito accordo su cui si era fondato il patto di fiducia con alcuni tra i più rinomati restauratori e mercanti, cioè il rispetto del segreto di bottega.
Secco Suardo si apprestava allora a lasciare l’incarico di deputato della città di Bergamo a Milano. L’ultimo rinnovo fu del 1858, e nel 1860, rimasto vedovo (Maria era morta il 27 ottobre 1852, come si ricava dalla lapide posta nella tomba di famiglia), si ritirò nel castello di Lurano. Qui cercò di liberare il restauro dagli ostacoli connessi alla persistente cultura dei segreti di bottega e di raccogliere ricette e formule per renderle verificabili e ripetibili, fermamente convinto della necessità di superare la figura del peintre-restaurateur e di riconoscere ai due percorsi una fisionomia distinta, che allontanasse il restauro dalla pratica della falsificazione.
Il corso sul trasporto dei dipinti, organizzato in collaborazione con il ministero grazie all’appoggio di Morelli, ebbe luogo dall’11 maggio al 20 giugno 1864 a Firenze, presso l’Accademia di belle arti. Al conte bergamasco, che a 66 anni era un colto aristocratico illuminato, il corso fiorentino apparve come l’occasione per avviare un confronto sulle tecniche di trasporto che coinvolgesse tutte le regioni d’Italia. Di fatto i restauratori presenti furono per la maggior parte fiorentini: Ulisse Forni, Ettore Franchi, Pietro Pezzati, Giuseppe Tanagli, cui si aggiunsero, avendo autonomamente fatto richiesta, Oreste Cambi e Pietro Gori. Da altre regioni d’Italia vennero Francesco Padovani (Palermo), Serapione Colombini (Parma), Eugenio Buccinelli (Torino), Antonio Zanchi (Bergamo), cui si unirono solo per poche lezioni Gustavo Mancinelli e Raffaello Tancredi (Napoli). Se Secco Suardo non fu accolto con l’entusiasmo che si aspettava, tuttavia raggiunse il suo principale obiettivo, cioè stimolare un dibattito e un confronto ampio sui metodi e sulle tecniche di restauro dei dipinti. Pochi mesi dopo – nel novembre del 1865 – era pronto per le stampe il suo più importante scritto, il Manuale ragionato per la parte meccanica dell’arte del ristauratore dei dipinti, che – dopo la lunga ricerca di un editore – Secco Suardo decise di pubblicare a proprie spese nel 1866, con una tiratura di 500 copie, vendendo, per raccogliere i fondi necessari, buona parte dei dipinti e dei disegni che aveva acquistato.
Nell’epoca in cui si andava creando, attorno alle opere d’arte, un senso di unità e identità nazionale, quando l’attenzione internazionale aveva come effetto collaterale il fiorire del mercato del falso e delle esportazioni, il testo del conte bergamasco contribuì da un lato alla sistematizzazione delle procedure e all’analisi dei materiali utilizzati per restaurare – considerati attraverso la suddivisione dell’intervento in tre fasi: meccanica, chimica, e pittorica –, dall’altro all’identificazione del restauro come disciplina autonoma rispetto alla produzione artistica – di cui, tuttavia, si presupponeva la conoscenza tecnica e operativa –, con l’affermare che il restauratore dovesse «essere pittore in tutta la estensione del termine» (Manuale..., cit., pp. 33, 42 s.), un pittore che sia in grado di «dimenticare affatto le proprie tendenze ed uniformarsi strettamente agli svariatissimi stili degli infiniti autori, de’ quali deve riparar le opere» (p. 36). Il Manuale introduce inoltre, per la prima volta, un profilo etico del restauratore, cui si chiede di essere onesto, sincero, e di astenersi dal commerciare, onde evitare di piegare le proprie dichiarazioni a vantaggio di uno specifico interesse (p. 39). Rispettoso dei principi indicati, Secco Suardo non fu un vero collezionista, ma acquistò opere pittoriche e disegni, molti dei quali rivendette poi per esigenze economiche, e per portare a compimento progetti di ricerca sulla cultura del restauro.
Un’impostazione sistematica e analitica, arricchita da una preparazione chimica ottenuta da autodidatta (Marabelli, 2011), assieme alla densità di indicazioni tecniche e operative, fanno del Manuale un testo profondamente diverso da quelli fino ad allora pubblicati sul tema, e furono le ragioni del successo editoriale. La versione completa, comprensiva del secondo volume, fu pubblicata dagli eredi con il titolo Il restauratore dei dipinti per la casa editrice Hoepli nel 1894, ed ebbe poi successive edizioni: Hoepli, Milano, nel 1918 e nel 1993; Cisalpino Goliardica, Milano, nel 1927, nel 1979 e nel 1988.
Grande impegno pose il conte, negli ultimi anni di vita, nella diffusione del Manuale, pur continuando a scrivere e studiare. Del 1870 è la pubblicazione dei Pensieri sulla pittura a encausto, ad olio e a tempera, e del 1872 i Nuovi studi sulla pittura degli antichi. Donò gran parte dei dipinti e dei disegni di famiglia alle istituzioni civiche di Bergamo, l’Accademia Carrara e la Biblioteca civica Angelo Mai.
Poco prima della morte, il 19 giugno 1873, Secco Suardo dettò l’ultimo testamento. Alcuni principi di una vita restano nelle parole con cui raccomandò ai suoi figli di «continuare ad essere onesti […] a costo anche di qualche sacrificio», come già aveva scritto nel Manuale, rivolgendosi ai restauratori (ASSL, Testamento, Censimento, 1.2-54, c. 4 rv).
Morì a Lurano l’8 giugno 1873.
Fonti e Bibl.: C. Giannini, G. S. S. restauratore e teorico. Appunti per una prima ricostruzione dei lavori eseguiti in ambiente lombardo, in Paragone, XXXVII (1986), 437, pp. 68-75; A. Conti, Giovanni Morelli ed il restauro amatoriale, in Giovanni Morelli e la cultura dei conoscitori. Atti del Convegno... 1987, a cura di G. Agosti - M.E. Manca - M. Panzeri, I, Bergamo 1993, pp. 159-179; C. Giannini, Giovanni Morelli e il conte S.: conservazione, restauro e connoisseurship nel secondo Ottocento lombardo, ibid., pp. 199-220; G. S. S. Fonti, strumenti, materiali di ricerca, a cura di E. De Pascale - C. Giannini, Bergamo 1995; G. Secco Suardo, Taccuino di viaggio: Dresda, Lipsia, Berlino [1844-50], ibid., pp. 113-172; G. S. S. La cultura del restauro tra tutela e conservazione dell’opera d’arte. Atti del Convegno..., Bergamo... 1995, in Bollettino d’arte, XCVIII (1996), Supplemento; S. Rinaldi - C. Mani, Documenti sulla genesi e l’epilogo del corso di restauro dei dipinti tenuto a Firenze da G. S. S. nel 1864, in OPD restauro, XVII (2005 [2006]), pp. 343-374; C. Giannini, G. S. S.: alle origini del restauro moderno, Firenze 2006; M. Marabelli, Il trattato del conte S. S. “Il restauratore dei dipinti”. Le scienze chimiche per la conservazione dei dipinti nell’Italia dell’Ottocento, in Kermes, XXIV (2011), 81, pp. 33-49.