SANTI, Giovanni
– Figlio di Sante e di Elisabetta di Matteo di Lomo, nacque a Colbordolo (Pesaro - Urbino) tra il 1440 e il 1445.
Il nonno Peruzzolo, dopo il sacco malatestiano del 1446, decise di vendere ogni proprietà e trasferirsi a Urbino (Pungileoni, 1822). L’agiata famiglia accrebbe così il proprio status sociale: alcuni documenti della confraternita del Corpus Domini testimoniano Sante impegnato in una fiorente attività di doratore (Moranti, 1990).
Giovanni dovette svolgere l’apprendistato artistico in qualche bottega urbinate, riuscendo a raggiungere lo status di maestro negli anni compresi tra il 1465 e il 1475. Nel 1469 è attestato in un documento concernente l’attività di Piero della Francesca per la Comunione degli apostoli, commissionata dalla confraternita del Corpus Domini: l’8 aprile ricevette dieci bolognini «per fare le spese a maestro Piero del Borgo ch’era venuto a vedere la taula per farla a conto della fraternita» (Martelli, 1984, p. 11). È pur vero che l’incarico venne affidato a Giovanni dalla confraternita della quale era membro, ma è comunque testimonianza di un certo ruolo raggiunto tra gli artisti locali e del rapporto che intratteneva con il pittore più celebre (Varese, 1992).
Parimenti Santi si formò come valente uomo di lettere: nel 1474, coinvolto nei festeggiamenti per Federico d’Aragona, sceneggiò e diresse lo spettacolo teatrale Amore al tribunale della Pudicizia (Saviotti, 1920); la critica letteraria ha ricostruito la sua continuità nella scrittura e nel teatro umanistico, dove poté far dialogare le sue vaste passioni per le diverse forme d’arte. Il suo capolavoro fu La vita e le gesta di Federico di Montefeltro duca di Urbino, poema in terza rima (1482; a cura di L. Michelini Tocci, I-II, Città del Vaticano 1985), un lungo componimento epico-storico di quasi ventitremila versi, essenziale per ricostruire il mondo cortese italiano, grazie alla sua «vastità di orizzonti d’informazioni» (Scrivano, in Giovanni Santi..., 1999, p. 24).
La cronaca è una fonte importante per comprendere il percorso di Santi nei suoi viaggi formativi in Italia tra il settimo e l’ottavo decennio del secolo, quando soggiornò in Toscana – come documentano gli elogi ai letterati dell’Etruria e alla prospettiva –, per proseguire lungo la direttrice adriatica fino a Venezia e giungere nel Settentrione padano, conoscendo la cultura e l’arte dei maggiori interpreti del tempo (Donatello, Andrea Mantegna, Cosmè Tura, i Bellini e altri). Una questione problematica concerne la familiarità con la corte di Urbino (Arbizzoni Artusi, in Raffaello e Urbino, 2009, pp. 44-51): la documentazione è limitata, ma sempre dai componimenti emerge una buona conoscenza della biblioteca di Federico.
Nel 1480 Giovanni sposò Magia di Battista Ciarla, figlia di un facoltoso mercante, che nel 1487 gli consegnò una dote di 150 fiorini. Nel 1483 nacque Raffaello, ma «questa del figlio è una storia diversa da quella di Giovanni Santi e che poco lo riguarda» (Varese, 1994, p. 21). Una parte della critica novecentesca ha evidenziato che il rapporto tra i due dovette essere limitato nel tempo: Giovanni, per l’epoca, era un padre anziano impegnato in una bottega itinerante, e Raffaello, per quanto dotato, aveva solo undici anni quando egli morì. Perciò, il mito vasariano di Giovanni inadatto maestro che affida a Perugino il giovane Raffaello e la conseguente ricerca di tracce della pittura del figlio nell’estrema produzione del padre rimangono episodi importanti della letteratura artistica, ma sono nella sostanza ancora senza esito (Varese, 2003).
Quando si cerca di definire un corpus ragionato delle opere pittoriche di Santi, si incorre in due ordini sostanziali di problemi: lo scarso numero di dipinti datati e la qualità mediana del suo stile, che si mantenne quasi invariata negli anni. Secondo la storiografia la prima fase della sua arte fu caratterizzata da un chiaro rapporto con la pittura fiamminga (Urbach, 2006), cui negli anni si associò l’influenza di celebri maestri italiani, come Melozzo da Forlì e Marco Palmezzano, Giovanni Bellini e Antonello da Messina, ma anche Marco Zoppo e Perugino.
Tale stile è evidente in una serie di tavolette dedicate al tema della Vergine con il Bambino che la critica gli ha ricondotto: la tavola della National Gallery di Londra con Gesù dormiente, quella di medesimo soggetto della Cassa di risparmio di Fano e quella con Maria in preghiera, in parte ridipinta, del Museo Albani di Urbino. A questo gruppo possono essere collegati altri due dipinti: rispettivamente la Madonna col Bambino del Museo nazionale di Poznań e quella già al Kaiser Friedrich Museum di Berlino, distrutta durante la seconda guerra mondiale (Varese, 1994, pp. 229-231). La tipologia iconografica è quella della Mater amabilis, la Vergine a mezzobusto che presenta Cristo fanciullo ritto in piedi, e associa agli influssi nordici e romagnoli l’attenzione ai modelli toscani, derivati anche dalla scultura.
La bottega di Santi si cimentò con un altro tema di ampia fortuna, il Cristo in pietà. Nel gruppo di opere interessato rientrano la tavoletta con il Cristo come ‘uomo dei dolori’ della Galleria nazionale delle Marche, a volte identificata come una delle prime opere del pittore (Mulazzani, 1973, pp. 619 s.) poiché discesa stilisticamente dall’arte di Pedro Berruguete (Dubos, 1971, p. 120); quella con il Cristo in pietà depositata alla Pinacoteca civica di Pesaro, il cui «prototipo, sia cronologicamente che formalmente, pare essere il Cristo della tomba Tiranni in Cagli» (Varese 1994, pp. 232 s.); seguono la tavola con il Cristo morto e s. Chiara proveniente dall’omonimo convento urbinate e ora alla Galleria nazionale delle Marche; infine, il Cristo sorretto da due angeli del Szépművészeti Múzeum di Budapest, che presenta l’aulico motivo della mosca sul torace del Salvatore, riferibile alla gara fra Parrasio e Zeusi tramandata da Plinio il Vecchio (ibid.).
Alla morte della moglie Battista (1481), Pietro Tiranni commissionò per la chiesa di S. Domenico a Cagli un degno monumento funebre, la cui decorazione fu affidata a Santi, che la dovette terminare entro l’anno successivo. L’opera, caposaldo del suo catalogo, è costituita da un affresco con la Pietà di Cristo tra i ss. Girolamo e Bonaventura che corona un sarcofago marmoreo. A una data di poco posteriore è stato ricondotto l’altare della cappella Tiranni nella medesima chiesa: ben indagato dalla storiografia, i suoi affreschi, con la Sacra conversazione e, nella soprastante lunetta, la Resurrezione di Cristo, palesano interessanti dinamiche spaziali, che fondono le propensioni toscaneggianti con la tradizione pierfrancescana; parimenti, la volta con Cristo e i putti si caratterizza per l’omaggio ai modi melozziani. Opera emblematica dei rapporti con Melozzo è la tela firmata con S. Girolamo in trono, proveniente dalla chiesa di S. Bartolo di Pesaro e oggi conservata nella Pinacoteca Vaticana.
In un documento del 1483 tra i collaboratori di Giovanni si annovera Evangelista da Pian di Meleto (Scatassa, 1901); quando il capobottega firmò la pala di Gradara (1484), Santi doveva essere un uomo facoltoso, le cui fortune crebbero alla morte del padre Sante (1485). Dirimenti appaiono poi i rapporti con alcuni sodalizi laici cittadini: per esempio, ricomprò (1486) dalla confraternita di S. Maria della Misericordia una vigna e mantenne (1486-87) come membro insigne una continuità lavorativa con il Corpus Domini, benché nel 1482 per breve tempo ne fosse allontanato (Moranti, 1990). Infine, nell’agosto-settembre del 1487 fu priore di Urbino.
La prima pala firmata da Santi e datata 1484 è la nota Sacra conversazione, già nella pieve di S. Sofia a Gradara e oggi nella Pinacoteca comunale della stessa località. Il dipinto è un chiaro esempio di una produzione con caratteristiche seriali, in cui il pittore media la cultura cortese – si noti l’attenzione botanica – con «una articolazione spaziale che riprende [...] suggestioni da Piero e da Melozzo, ma lo fa liberamente senza ricalchi» (Varese, 1994, p. 239); a questo gruppo appartengono sia la pala Mattarozzi (Cleri, 2012), già a Berlino, ma distrutta nella seconda guerra mondiale, sia quella di Fano con la Visitazione nella chiesa di S. Maria Nuova (Battistini, 2009), dove l’artista dovette probabilmente incontrare Perugino.
Nella Sacra conversazione firmata della Pinacoteca civica di Fano, proveniente dalla chiesa di S. Croce, diversi brani paiono desunti da cartoni e disegni che ricalcano pedissequamente modelli precedenti, come la pala di Gradara (Tumidei, 2011). Nell’Annunciazione realizzata per la chiesa francescana di S. Maria Maddalena a Senigallia, oggi conservata a Urbino presso la Casa di Raffaello, si riscontrano chiare connessioni con la Visitazione fanese (I. Bacchiocca - M. Bacchiocca, 2009).
Nella Galleria nazionale di Urbino sono custodite due tavolette stilisticamente affini: il Cristo morto sorretto da angeli, dalla chiesa di S. Donato, poi di S. Bernardino, e la Santa martire, che palesa alcuni riferimenti stilistici alla coeva cultura di Sandro Botticelli. Nella stessa galleria si conserva anche la pala commissionata dai confratelli di S. Sebastiano, un tempo nell’omonimo oratorio. L’opera sviluppa il tema del martirio con dinamiche teatrali (Varese, 1994, pp. 246 s.): sulla sinistra Diocleziano impartisce ordini ai balestrieri, mentre sulla destra sono ritratti i confratelli con accenti veristici. Da un medesimo prototipo discende il lacerto d’affresco del Museo civico di Cagli; al contrario sviluppa un modello iconografico distinto la pittura murale dell’oratorio della Santa Croce a Urbino, ancora permeata da sottili rimandi alla pittura fiamminga.
Un problema a lungo dibattuto dalla critica è quello concernente le sette tavole con gli Apostoli, già nella cattedrale di Urbino e ora alla Galleria nazionale delle Marche. Se la paternità di Santi non pare più in discussione, restano aperti alcuni interrogativi riguardo alla datazione e alla ricomposizione del grande polittico al quale le diverse parti dovettero appartenere.
L’attività della bottega di Santi si dovette diversificare e moltiplicare: operò per alcune importanti chiese cittadine (cattedrale, S. Francesco, S. Sebastiano) e per la corte (Arbizzoni Artusi, in Raffaello e Urbino, 2009), e progressivamente acquisì una certa notorietà nella ritrattistica. Nel 1488, al tempo dei festeggiamenti per il matrimonio di Elisabetta Gonzaga e Guidubaldo da Montefeltro, il maestro rivestì un ruolo cardinale come autore e scenografo degli apparati effimeri: nelle missive di Benito Capilupi, segretario mantovano, oltre a essere esplicitamente citato l’artista, vengono descritti gli spettacoli teatrali, le danze e le feste in diverse città marchigiane (Calzini, 1912).
Nel 1489 Giovanni fu nominato esecutore testamentario del cognato Luca Zaccagna (Pungileoni, 1822), accanto a personaggi di notevole rilevanza (Gaspare Buffi, Nicola Gini e Ottaviano Ubaldini).
Un punto fermo del catalogo del pittore è la pala Oliva, firmata e datata 1489, commissionata dal nobile Carlo Oliva per la cappella di famiglia nella chiesa dei frati minori di Montefiorentino presso Frontino. La Sacra conversazione completa tuttora il mausoleo affidato all’abilità progettuale di Francesco di Simone Ferrucci, che si occupò anche delle decorazioni scultoree. Dirimenti sono perciò i legami con il mondo fiorentino, che si riflettono nell’impostazione spaziale e nella composizione, dove Santi gestisce con grande efficacia sia la cultura melozziana sia direttamente quella pierfrancescana (Cleri, 2012): il ritratto del condottiero inginocchiato è esemplato su quello di Federico da Montefeltro nella pala di Brera.
Nel 1489 Santi dipinse anche una pala commissionata da Gaspare Buffi per la cappella di famiglia nella chiesa di S. Francesco a Urbino (Pungileoni, 1822). La grande tavola, oggi nella Galleria nazionale delle Marche, è assurta a emblema del percorso stilistico del maestro, poiché vi trovano posto numerosi elementi del suo repertorio, «come ad esempio i due angeli reggicorona chiaramente desunti da Giusto da Gand» (Varese, 1994, p. 253).
Dalla stessa chiesa, e oggi nella medesima collezione, provengono le due tele complementari con S. Rocco e Tobiolo e l’Arcangelo Gabriele. La monumentalità delle figure, la loro qualità e l’utilizzo di un prototipo aulico nella figura dell’arcangelo (Battistini, 2009, pp. 143 s.) apparentano i dipinti alla Visitazione di Fano. Un simile modello è rintracciabile nella Musa Clio, che deriva da un disegno oggi nella biblioteca di Windsor (Varese, 1994, p. 256); la Musa è parte di un gruppo di otto tavole della Galleria degli Uffizi, già nella cappella delle Muse in palazzo ducale a Urbino (Wedepohl, 2009), le quali sono state ricondotte al tempo della committenza federiciana (Ferriani, in Urbino e le Marche, 1983, pp. 150-158).
Nel 1491 perse la consorte e una figlia, e nel maggio dell’anno successivo convolò a nuove nozze con Bernardina, figlia dell’orafo Piero di Parte, che gli assicurò una dote di 200 fiorini d’oro.
Negli ultimi anni della sua vita è menzionato in diverse imprese artistiche: nel 1490 dipinse un perduto ritratto della principessa milanese Bianca Maria Sforza per Elisabetta duchessa di Urbino, nel 1493 operò per il Corpus Domini e poco dopo, raccomandato sempre da Elisabetta, giunse alla corte mantovana dei Gonzaga, dove è citato in una lettera d’Isabella d’Este relativa a un suo ritratto (Calzini, 1912; Varese 1994, p. 24).
Nella città padana realizzò anche un altro ritratto scomparso di Ludovico, zio del marchese Francesco II e vescovo di Mantova, e si impegnò nel ritrarre lo stesso Francesco, senza riuscirvi a causa dei problemi di salute, come testimoniato da alcune missive marchionali tra l’aprile e l’ottobre del 1494 (Calzini, 1912; Varese 1994, p. 25): infatti, il clima malsano lo debilitò.
Rientrato a Urbino il 27 luglio, Giovanni, davanti ai familiari, ad Ambrogio Barocci e al fido Evangelista da Pian di Meleto fece testamento; il successivo 1° agosto spirò e fu inumato nella chiesa di S. Francesco.
Fino alla monografia di Luigi Pungileoni (1822) la principale fonte di conoscenza riguardante Santi furono le Vite vasariane, dissimili nelle due edizioni del 1550 e del 1568 (Varese, 1994, p. 95). La critica indagò la sua vicenda biografica con grande attenzione alla formazione di Raffaello e tutti i testi che si occuparono del figlio trattarono anche del padre (Raffaello e Urbino, 2009). Nell’Ottocento Giovanni fu gradualmente rivalutato e gli venne «riconosciuto un dignitoso posto di precursore della grande arte del Rinascimento» (Varese, 1994, p. 103), ma a questa corrente se ne affiancò una di segno opposto, capeggiata da Adolfo Venturi, che smantellò il suo corpus pittorico.
In occasione della Mostra di Melozzo e del Quattrocento romagnolo (Forlì, 1938) si compì un’efficace e piena contestualizzazione di Santi, e nei successivi anni Settanta, sulla base non soltanto dell’antica letteratura artistica, ma anche di altre discipline umanistiche, la considerazione della sua opera aumentò. Nei decenni successivi i restauri, le mostre della soprintendenza e le ricerche di alcuni studiosi, come Pietro Zampetti (1990), prepararono il campo alla monografia di Ranieri Varese (1994). Più di recente l’indagine su Santi è andata consolidandosi attraverso le novità sull’area adriatica (Tumidei, 2011) e alcune esposizioni d’inizio millennio (tra cui Raffaello e Urbino, Urbino, 2009).
Tralasciando i lacerti e altre attribuzioni ipotetiche, si ricorda inoltre che a Santi sono stati riferiti un S. Giorgio di collezione privata (Varese, in Giovanni Santi..., 1999, pp. 91-93), la decorazione di alcuni codici (Ciardi Dupré Dal Poggetto, ibid., pp. 105-118) e la celebre Madonna col Bambino dormiente della Casa natale di Raffaello (Varese, 1994, pp. 256 s.).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani... (1550), a cura di L. Bellosi - A. Rossi, Torino 1986, pp. 536, 611 s.; Id., Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori di nuovo ampliate... (1568), a cura di J. Recupero, Roma 1963, III, p. 323, IV, pp. 57, 60 s., 64 s.; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di F. Ranalli, II, Firenze 1846, p. 21.; L. Pungileoni, Elogio storico di G. S. pittore e poeta, padre del gran Raffaello di Urbino, Urbino 1822; J.D. Passavant, Rafael von Urbino und sein Vater G. S., Leipzig 1839-1858; A.H. Layard, Giovanni Sanzio and his fresco at Cagli, London 1859; G. Camponori, Notizie e documenti per la vita di G. S. e di Raffaello Santi da Urbino, Modena 1870; A. Schmarsow, G. S., der Vater Raphaels, Berlin 1887; G.B. Cavalcaselle - J.A. Crowe, Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, VIII, Firenze 1898, pp. 362-419; Documenti: G. S. pittore, in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, I (1898), 7-8, p. 142; E. Scatassa, Due opere sconosciute di Evangelista di mastro Bartolomeo di Pian di Meleto, ibid., IV (1901), 9-10, pp. 193-197; E. Calzini, Della scuola pittorica urbinate (dal XIV al XVI secolo), ibid., XI (1908), 11-12, pp. 189-196; Id., Per un quadro di G. S., ibid., p. 203; Id., Dei ritratti dipinti da G. S., ibid., XV (1912), 1-3, pp. 11-17; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, VII, 2, La pittura del Quattrocento, Milano 1913, pp. 96-221; E. Calzini, Di un bronzo di Bertoldo fiorentino e di un affresco di G. S., in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, XIX (1916), 11-12, pp. 126-128; A. Venturi, L’ambiente artistico urbinate nella seconda metà del Quattrocento, in L’Arte, XX (1917), pp. 259-293; XXI (1918), pp. 26-43; A. Saviotti, Una rappresentazione allegorica in Urbino nel 1474, in Atti e memorie della R. Accademia Petrarca di scienze, lettere ed arte in Arezzo, I, 1920, pp. 180-236; O. Fischel, A Pietà by G. S., in The Burlington Magazine, 1924, vol. 45, n. 258, pp. 137-139; L. Fröhlich-Bum, An unpublished drawing by G. S., ibid., 1928, vol. 53, n. 304, pp. 43-45; L. Serra, Guida del Palazzo Ducale e della Galleria nazionale di Urbino, Roma 1930, pp. 87-90, 92, 94, 107; W. Suida, Three unknown works by G. S., in Apollo, 1930, n. 69, pp. 191 s.; A. Colasanti, La pittura del Quattrocento nelle Marche, Milano 1932, pp. 68 ss.; R. van Marle, G. S., Bartolomeo di Maestro Gentile ed Evangelista di Pian di Meleto, in Bollettino d’arte, XI (1933), 11, pp. 493-503; D. Bulfaretti, G. S., in Celebrazioni marchigiane, Urbino 1934, pp. 67-93; R. van Marle, The development of the Italian schools of painting, XV, L’Aja 1934, pp. 113 ss.; L. Serra, G. S., in Rassegna marchigiana, 1934, vol. 12, pp. 258-274; Id., L’arte nelle Marche. Il periodo del Rinascimento, Roma 1934, pp. 152 ss.; C. Gnudi, G. S., in Mostra di Melozzo e del Quattrocento romagnolo (catal.), Forlì 1938, pp. 53-57; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance, Oxford 1953, pp. 510 s.; R. Buscaroli, Melozzo e il melozzismo, Bologna 1955, pp. 112-116; Il padre di Raffaello, a cura di L. Michelini Tocci, Pesaro 1961; L. Michelini Tocci, Pittori urbinati nell’adolescenza di Raffaello, Pesaro 1962; Id., Pittori del Quattrocento ad Urbino e Pesaro, Pesaro 1965, pp. 37 ss.; L. Bek, G. S.’s “Disputa de la pictura” – a polemic treatise, in Analecta Romana Instituti Danici, V (1969), pp. 75-102; G. Mulazzani, Schede, in Mostra di opere d’arte restaurate (catal.), Urbino 1970, pp. 267 ss.; P. Zampetti, La pittura marchigiana da Gentile a Raffaello, Milano 1970, pp. 16 ss.; R. Dubos, G. S., peintre et chroniqueur à Urbin, au XV siècle, Bordeaux 1971; G. Mulazzani, G. S., Visitazione, in Restauri nelle Marche. Testimonianze, acquisti, recuperi (catal.), Urbino 1973, pp. 273-275, 619 s.; L. Mravik, Peintures du Quattrocento: Italie centrale – Italie du Nord, Budapest 1978, p. 9; D. Bernini, Le ‘cappelline’ del Palazzo Ducale di Urbino, in Dieci schede di restauro, Urbino 1979, pp. 16-21; Il Convento di Montefiorentino, Atti del Convegno... 1979, Urbino 1982, pp. 40 s.; Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello (catal., Urbino), a cura di M.G. Ciardi Duprè Dal Poggetto - P. Dal Poggetto, Firenze 1983, pp. 137 ss. (in partic. D. Ferriani, Le Muse del ‘tempietto’ del Palazzo Ducale di Urbino, pp. 150-158); F. Martelli, G. S. e la sua scuola, Rimini 1984; Id., G. S., Visitazione, in Pittura a Fano 1480-1550 (catal.), Fano 1984, pp. 14-16; B. Montevecchi, La pittura urbinate tra XV e XVI secolo, in Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino dalle origini a oggi, a cura di F. Battistelli, Venezia 1986, pp. 193-210; P. Joannides, Raphael and G. S., in Studi su Raffaello. Atti del Congresso internazionale di studi..., 1984, a cura di M. Sambucco Hamoud - M.L. Strocchi, Urbino 1987, pp. 55-61; L. Moranti, La confraternita del Corpus Domini di Urbino, Bologna 1990, pp. 35, 123, 221; P. Zampetti, Pittura nelle Marche, 2, Dal Rinascimento alla Controriforma, Firenze 1990, pp. 91, 93, 95; R. Varese, G. S. e l’influsso di Piero, in Piero e Urbino, Piero e le corti rinascimentali, a cura di P. Dal Poggetto, Venezia 1992, pp. 368-377; D. Bischi, Ancora sulla pala gradarese di G. S., in Pesaro, città e contà, 1993, n. 3, pp. 102-104; R. Varese, G. S., Fiesole 1994; G. S. Atti del Convegno..., Urbino... 1995, a cura di R. Varese, Milano 1999 (in partic. R. Scrivano, La “Cronaca rimata” di G. S., pp. 24-36; R. Varese, Un San Giorgio (?) di G. S., pp. 91-93; M.G. Ciardi Dupré Dal Poggetto, Un problema di coerenza: memoria e realizzazione nella pittura di G. S. Nuove prospettive cronologiche e attributive, pp. 105-118); R. Varese, G. S. e Pietro Perugino. Dipendenze e alterità, in Venezia, le Marche e la civiltà adriatica, a cura di I. Chiappini di Sorio - L. De Rossi, Monfalcone 2003, pp. 254-257; Id., G. S. e Pietro Perugino, in Pietro Vannucci, il Perugino. Atti del Convegno internazionale di studio... 2000, a cura di L. Teza, Perugia 2004, pp. 183-198; Z. Urbach, Joos van Gent and G. S. revisited: a case study on a ‘fiamminghismo’ in Italian painting, in Liber memorialis Erik Duverger, Wetteren 2006, pp. 375-407; I. Bacchiocca - M. Bacchiocca, La pala dell’Annunciazione di G. S. da Urbino: storia di un restauro, in Accademia di Raffaello. Atti e studi, 2009, n. 2, pp. 110-121; R. Battistini, G. S., Pietro Perugino e la sua bottega a Santa Maria Nuova, in La Chiesa di Santa Maria Nuova a Fano, a cura di G. Volpi - S. Bracci, Fano 2009, pp. 143-159; K.E. Butler, G. S., Raphael, and Quattrocento sculpture, in Artibus et historiae, XXX (2009), 59, pp. 15-39; C. Wedepohl, In den glänzenden Reichen des ewigen Himmels. Cappella del Perdono und Tempietto delle Muse im Herzogpalast von Urbino, München 2009; Raffaello e Urbino (catal., Urbino), a cura di L. Mochi Onori, Milano 2009 (in partic. G. Arbizzoni Artusi, Le arti sorelle. G. S. e la corte di Urbino, pp. 44-51; S. Tumidei, Studi sulle pitture in Emilia e in Romagna. Da Melozzo a Federico Zuccari, Trento 2011, pp. XII ss. ; B. Cleri, La collocazione originaria della Pala Matterozzi, in Le due muse. Scritti d’arte, collezionismo e letteratura in onore di Ranieri Varese, a cura di F. Cappelletti et al., II, Ferrara 2012, pp. 139-144; S. Borsi, La famiglia Vitelli e Città di Castello: nuove indagini e ricerche. L’affresco della Torre del Vescovo un’ipotesi per G. S., in Pagine altotiberine, XVII (2013), 50, pp. 97-114; M.R. Valazzi, Il disegno nascosto di G. S., in L’officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro, a cura di G. Bordi et al., Roma 2014, pp. 107-112.