SALVIUCCI, Giovanni
SALVIUCCI, Giovanni. – Nacque a Roma il 26 ottobre 1907, da Giuseppe e da Ernestina de Felicis, ultimo di una famiglia comprendente anche i fratelli Paolo, Pietro e Dolores. La passione per la musica, senza riscontro nelle radici familiari e condivisa solo con il fratello maggiore Paolo (che dal 1950 al 1952 ricoprì l’incarico di sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma), fu coltivata da Salviucci attraverso studi di composizione, pianoforte e organo condotti privatamente con Ernesto Boezi, direttore della Cappella Giulia in S. Pietro e maestro di composizione nella Pontificia Scuola superiore di musica sacra, la cui didattica era fondata primariamente sullo studio rigoroso della polifonia vocale cinquecentesca. Per compiacere i genitori Salviucci si iscrisse anche alla facoltà di giurisprudenza della Sapienza di Roma, senza tuttavia laurearsi. Ottenuto nel 1931 il diploma di composizione, divenne redattore musicale della Rassegna nazionale e, l’anno dopo, fu ammesso al corso di perfezionamento per compositori tenuto al Conservatorio di Roma da Ottorino Respighi. Per breve tempo prese anche lezioni private da Alfredo Casella; in seguito frequentò per qualche tempo anche il corso di direzione d’orchestra tenuto da Bernardino Molinari all’Accademia di Santa Cecilia.
Dopo un certo numero di pagine di apprendistato (diverse liriche per voce e pianoforte, brevi pezzi orchestrali), alcune composizioni di maggiore respiro rimaste incompiute o lasciate inedite (tra cui la suite per orchestra Campagna romana, i poemi sinfonici Saul e Samarith, il Quartetto per archi in Do), all’inizio degli anni Trenta il profilo del compositore cominciò a emergere in lavori sinfonici il cui tratto distintivo era dato dalla forte impronta polifonica. Le prime attenzioni della stampa e dell’ambiente musicale furono attratte dalla Sinfonia italiana e soprattutto dall’Ouverture in Do diesis minore che nel 1932 vinse il Concorso sinfonico nazionale e venne eseguita all’Augusteo impressionando positivamente musicisti e critici del tempo (Mario Rinaldi, nel 1937, ne segnalò la «solida costruzione, l’organicità della concezione e la logicità di sviluppo», p. 10). In quel tempo Salviucci entrò nell’entourage di Casella, stringendo amicizia in particolare con Goffredo Petrassi e Jan Meyerowitz, suppergiù coetanei. Nella classe di Respighi conobbe Ida Parpagliolo, giovane pianista e compositrice, che divenne sua moglie nel 1932. Dal matrimonio nacquero tre figli: Pierluigi, Stefano e Giovanna: quest’ultima (nata nel 1937, coniugata Marini) è divenuta poi notissima cantautrice ed etnomusicologa.
Nel 1933 Salviucci ottenne l’insegnamento di contrappunto e fuga presso l’istituto Muzio Clementi di Roma. Quello stesso anno portò a compimento il Salmo di David LX per canto pianoforte (successivamente elaborato in una versione orchestrale) e la Sinfonia da camera per 17 strumenti, la cui prima esecuzione, il 23 aprile 1934 a Roma, venne diretta da Casella: battesimo autorevole e non casuale per una partitura che, pur accettando il confronto con la tradizione classica, si colloca nel solco del neoclassicismo caselliano, esibendo profili ritmico-melodici spigolosi, piani armonici arditi, combinazioni timbriche inusitate e tratti di polifonia libera nella quale le parti si muovono spesso con grande disinvoltura. Con l’Introduzione, Passacaglia e Finale, terminata nel 1934, Salviucci diede prova di procedere lungo una propria traiettoria, che non si lasciava ricondurre ai modelli della generazione dell’Ottanta. Qui la costruzione tripartita dà luogo a episodi di forte tensione espressiva: dal lungo crescendo del primo movimento, scandito dal ritmo ossessivo dei timpani; alla passacaglia, esente da connotazioni archeologiche o parodistiche, dove il tema in valori larghi possiede una presenza corporea che si va via via rafforzando nel corso delle tre variazioni a cui è sottoposto; fino al movimento conclusivo, dove si può verificare in pieno la fondatezza della definizione di Salviucci come il «primo italiano del Novecento in cui il contrappunto è veramente presente, in carne e ossa» (d’Amico, 1937, p. 373).
Nel 1936 divenne docente di composizione e storia della musica nel Liceo musicale di Pescara; in quell’anno cominciò a lavorare all’«episodio per coro e orchestra» Alcesti: la selezione del testo tragico di Euripide si concentra sul momento drammatico del sacrificio della protagonista, mettendo al centro il coro e schivando la tentazione di usare voci soliste, con una trama polifonica densa, ora solennemente altisonante, ora pacatamente affettuosa.
All’inizio del 1937 Ferdinando Ballo sulle pagine della Rassegna musicale pose Salviucci al fianco di Petrassi e Luigi Dallapiccola nella triade dei talenti di maggior spicco nel panorama italiano del momento; alla soglia dei trent’anni, con l’ultima partitura da lui concepita, la Serenata per nove strumenti, Salviucci dimostrava in effetti di essere degno compagno di strada dei due più celebri e fortunati coetanei. Riprendendo lo spirito della precedente Sinfonia da camera, la partitura adottava un organico poco usuale nel quale, estromesso il pianoforte, si mescolavano in tessiture variabili quartetto di legni, quartetto d’archi e tromba. Il riferimento all’omonimo genere settecentesco, scevro da connotazioni di corriva piacevolezza, lontano dai vagheggiamenti di un rassicurante 'ritorno all’ordine' di stampo neoclassico, si giustifica per la leggerezza sottilmente inquieta che pervade la partitura, in uno spirito sperimentale capace di sorprendenti sonorità e trapassi umorali. La Serenata fu eseguita a Venezia l’8 settembre 1937.
Salviucci era morto a Roma il 4 settembre, per una meningite.
Fonti e Bibl.: Fondo Giovanni Salviucci, Istituto per la musica della Fondazione Giorgio Cini, Venezia, http://archivi.cini.it/cini-web/istitutomusica/archive/IT-MUS-GUI001-000009/giovanni-salviucci.html; G. Salviucci, Classicismo e Romanticismo musicale (commento ad una definizione di H. Riemann), in La Rassegna nazionale, 1933, n. 55, pp. 10-18; Id., Musica e insegnamento, in La Nuova Italia musicale, XII (1933), pp. 4 s.; F. Ballo, Musicisti del nostro tempo. G. S., in La Rassegna musicale, X (1937), pp. 7-12; A. Casella, G. S. (Roma, 1907-1937), in Rivista musicale italiana, XLV (1937), pp. 610-613; F. d’Amico, Giovane musica italiana, in Scenario, agosto 1937, pp. 373 s.; M. Rinaldi, Giovani musicisti romani, Milano 1937, pp. 7-14; G. Gavazzeni, Ricordo di G. S., in Letteratura, aprile 1938, pp. 178-183; F. d’Amico, G. S. vent’anni dopo, in I casi della musica, Milano 1962, pp. 171-175; Id., Il coro come personaggio, in L’Espresso, 15 ottobre 1967; G. Turchi, Il neoclassicismo in Italia, in La musica moderna, III, Milano 1967, pp. 167-176; C.A. Pizzini, Respighi insegnante (1979), http://www.carloalbertopizzini.it; F. Razzi, Petrassi ricorda…, in 1985 la musica, IV (1988), 19, pp. 33 s.; R. Badalì, Profilo di G. S., in Musica senza aggettivi. Studi in onore di Fedele d’Amico, a cura di A. Ziino, Firenze 1991, pp. 675-684; S. Koenig, Tradizione e innovazione in Petrassi e S. nei primi anni Trenta, in Nuova Rivista musicale italiana, X (2006), 2, pp. 149-179; P.P. De Martino, G. S., in G. S. 1907-1937, Udine 2011, pp. 9-17; A. Carone, Alfredo Casella and G. S. The story of a friendship told through archival documents, in Archival notes. Sources and research from the Institute of Music, 2, Fondazione Cini, Venezia 2017, pp. 31-39 (http://onlinepublishing.cini.it/index.php/arno/article/view/87).